L’attentato a Rafiq Hariri

marco
Siria — un diario in tempo di pace
3 min readNov 15, 2017

Il testo che segue è tratto dall’ebook Siria — un diario in tempo di pace (Delos Digital)

Damasco, 14 febbraio 2005

L’assassinio del primo ministro Rafiq Hariri. Più dei bombardamenti americani su Baghdad, più delle elezioni irachene, più delle decine di morti che ogni giorno insanguinano la capitale dell’Iraq, Damasco è stata scossa dalla terribile deflagrazione che oggi ha fatto ripiombare Beirut in un’atmosfera da guerra civile, in un passato che tutti vogliono dimenticare ma che nessuno è in grado di cancellare, nonostante la ricostruzione a tempo di record e i palazzi scintillanti della “downtown” di Beirut. Già, la ricostruzione. Ne era stato proprio Hariri il principale artefice, tra i peana di chi lo appoggiava e le critiche, anche ferocissime dei suoi detrattori (“un vampiro che ha dissanguato il Libano”, si dice da queste parti, ma si sa che qui non era molto amato, il “Berlusconi libanese”). Si dice che non fosse un grande amico della Siria, anche se nessuno che faccia politica in Libano può evitare di avere rapporti con Damasco, e non solo perché sono due stati confinanti. A Damasco non c’è un’ ambasciata libanese, né troverete quella siriana a Beirut: due stati “cugini”, con la zampa del “leone di Damasco”, il fu Hafez Al Assad, ben salda sul paese dei cedri e un contingente di 16.000 uomini dell’esercito siriano ancora presenti nei confini. Beninteso, qui in Siria non ci sono solo detrattori del defunto Hariri: anzi molti lo rispettavano e lo stimavano, reputando in fondo lecita la sua richiesta di ritiro delle truppe: “dal suo punto di vista ha ragione, anche se il Libano ripiomberà nel caos, senza l’esercito siriano”. Questo il punto di vista generale, non so se dettato da partigianeria o dalla perenne rivalità tra siriani e libanesi. Fatto sta che oggi, quando dagli schermi di tutte le televisioni ara‐ be sono apparse le spaventose immagini dell’attentato (e qui, vi garantiscono, gli zoom sono generosi di dettagli raccapriccianti che non ci si perita di eliminare per i bambini), i siriani sono stati colti da vero sgomento e paura. L’ho anche chiesto ai miei amici, ai miei studenti, ai miei parenti siriani: — Avete paura? La risposta è stata univoca: — Ma certo, questo è un fatto grave, che ci coinvolge in prima persona. Chiunque l’abbia fatto, non vuole il bene del Medio Oriente, non vuole la pace. Come capita sempre in questi casi, c’è anche chi si dice sicuro che sia stato il Mossad, i servizi segreti israeliani (“e quindi anche l’America”, si aggiunge a mo’ di necessaria postilla), chi invece incolpa i palestinesi (“come hanno scatenato la prima guerra in Libano, ora ne vogliono far scoppiare un’altra”), chi teme che i gruppi di Jihad, che a quanto pare rimarranno per un po’ inattivi in Israele (“nei territori occupati”), ne approfittino per aprire un altro fronte, sempre pronto ad incendiarsi alla minima scintilla. Il Libano, appunto. Un Libano, non dimentichiamolo, con i suoi tantissimi campi profughi palestinesi nella parte sud; con gli Hezbollah sempre all’erta, e sempre indicati dagli Usa come i più pericolosi nemici di Israele, e amici dell’attuale presidente siriano Bashar Al Assad; un Libano, che non si sa perché, non viene mai annoverato tra gli stati arabi democratici, ma che assurge alle cronache solo quando esplode qualche autobomba, come in questo caso.

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marco
Siria — un diario in tempo di pace

redattore editoriale, scrivo di tecnologie applicate alla didattica.