2016 Word of the Year: Post-Truth by Mike Licht, su Flickr

Post-verità, Pre-fatto, Meta-informazione

Ovvero: La società diventa (lentamente) autocosciente?

Marco Montanari
Citizen MMo
Published in
3 min readJan 22, 2017

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E’ finito l’annus horribilis che è stato il 2016 ed iniziato il 2017. Il 2016 ci ha strappato tanti personaggi che ci stavano a cuore, tante certezze, tante cose che davamo per scontate.

Ma ci ha donato anche un elemento straordinario: un nome per una situazione reale che ci troviamo tutti i giorni a vivere. Nel 2016, infatti, l’Oxford Dictionary ha introdotto la parola post-truth, ovvero post-verità.

Come diceva una battuta di Bonolis anni fa:

Ci sono le cose reali e le cose supposte. Se le reali le mettiamo da parte, le supposte dove le mettiamo?

Ecco, la post-verità sono le supposte. E con l’elezione di Trump e la Brexit abbiamo scoperto dove le mettiamo, ovvero nell’urna. Se le supposizioni diventano la fonte ufficiale delle informazioni per gli elettori durante le elezioni, allora abbiamo un problema: Sostanzialmente abbiamo dato sfogo agli istinti e alle volontà di pancia, generando un problema sistemico che viene da molto molto tempo fa: In uno dei più antichi testi, una metafora sociale ci racconta di un popolo scelse Barabba, il ladro dalla narrazione definita, e non Gesù, con la sua narrazione futuribile; ovvero, passa il tempo ma non siamo migliorati di molto.

Questo ci costringe, però, come ogni problema strutturale, ad affrontare il sistema “elevandoci” di un livello per guardare non tanto il sistema quanto più che altro l’ambiente del sistema, non più il problema ma la classe di problemi. Ed ecco il problema della Meta-informazione. In un’epoca di post-verità, l’importanza va sulla fonte dell’informazione. In un’epoca di post-verità a decretarne la valenza è l’autore, l’outlet giornalistico (nel caso di repubblica la zona della pagina dove viene pubblicata la notizia [si, le notizie in colonna di destra non valgono]). Paradossalmente, la post-verità ci riavvicina al medioevo dell’ipse dixit, pare. L’autorità come fonte della verità oggettiva.

Invece, purtroppo, proprio in questa direzione va la distruzione anche degli ultimi baluardi del pensiero forte. In un’epoca in cui tutti possiamo essere produttori di contenuti, tutti possiamo essere autorità, tutti siamo entitled ad un’opinione su quale che sia l’argomento. Che sia giusta o sbagliata non conta; conta che sia la nostra. E come in Black Mirror, non conta che sia argomentata ma che piaccia al nostro pubblico, conta quanti like riceviamo. Quindi, alla fine siamo tutti schiavi della stessa metrica. Per i giornali è le impressioni su schermo e le conseguenti impressioni di pubblicità, per noi è il like. E, per essere chiari, non ha minimamente a che vedere con la qualità del contenuto. O con la verità del fatto.

L’impatto di questo è devastante: Brexit, Trump, i nazionalismi, la paura. E tutto questo generato da notizie false, che per quanto generate da pochi hanno un impatto incredibile in quanto comunicano nel migliore dei modi e istigano alla vox populi, che il 1700 britannico equiparava alla vox dei. E che in quanto vox populi è arma straordinaria in mano a qualsiasi urlatore populista, in quanto espressione della democrazia, il governo delle masse.

L’unico modo per uscirne è diventare veramente autocoscienti, comprendendo l’impatto di uno share su un social. E comprendendo l’impatto di una notizia falsa.

La soluzione è quindi bloccare gli strumenti per la condivisione? No, in tutto questo la cosa più sacra è comunque la libertà di espressione. La soluzione è quella costosa, ovvero culturale.

E si, alcuni strumenti per la resa consapevole degli utenti. Quando condividiamo una notizia che vive in una sola immagine, chiediamoci se la notizia esposta è vera o falsa. Verifichiamo. Se vogliamo proprio vivere in un mondo di complotti, anche il complotto potrebbe essere risultato di un complotto contro la verità. Validiamo le fonti. Verifichiamo quello che leggiamo. Chiediamo di approfondire. Anche alle autorità: Nessun articolo di Repubblica.it ha mai pubblicato la fonte dati per le analisi ISTAT, ad esempio. Chiediamo nei commenti di darci le fonti dati. Chiediamo le fonti alle amministrazioni, chiediamo gli Open Data.

Solo chiedendo trasparenza avremo risposte reali sulle quali agire.

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Marco Montanari
Citizen MMo

Software Architect who lives for AI, Software Design, Software Philosophy and Art as well as everything around them, spanning from History to Archaeology…