Il futuro della consulenza

Da esecutori di progetti a partner strategici: come stanno cambiando i servizi di business consultancy sulla spinta delle trasformazioni del mercato, della società e della disponibilità tecnologica.

Sketchin
Verso il futuro
8 min readMay 7, 2020

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Una delle cose positive che ci ha regalato questo periodo di stasi, sospensione e incertezza definito dalla pandemia in corso è il tempo per riflettere sul futuro, della società in generale e del mercato in particolare. Che cosa succederà del nostro modo di vivere, lavorare, pensare all’iniziativa economica?

Noi abbiamo provato a sfruttare questo tempo per condurre una speculazione su come sarà il futuro della consulenza, come cambierà quindi il nostro modo di offrire servizi alle imprese da qui a 10 anni. Periodo arbitrario, perché la possibilità che un cigno nero — così come Nassim Nicholas Taleb, con una certa grazia poetica, ha definito un evento catastrofico, inaspettato e con eventi dirompenti — spieghi le sue ali è purtroppo nella natura delle cose. E quindi il cambiamento potrebbe arrivare più rapido, più dirompente.

Abbiamo parlato del futuro della consulenza con Fabio Troiani, CEO di Bip — multinazionale di servizi di consulenza di cui noi facciamo parte -, Augusto Fazioli, Partner di Ars et Inventio ed ExO consultant- e il nostro CEO Luca Mascaro. A tutti loro è stata chiesta una visione prospettica e dalle loro risposte sono scaturite considerazioni interessanti sul futuro delle imprese, sul lavoro delle società di consulenza e sui modelli di business che le sostengono.

Come cambieranno le imprese

Ci è sembrato doveroso cominciare questa esplorazione partendo proprio dai clienti delle società di consulenza. Saranno le loro trasformazioni a influenzare, più di ogni altra cosa, le forme e le funzioni delle realtà che le serviranno.

Le opinioni dei tre intervistati convergono verso uno scenario di profonde trasformazioni, in larga parte accelerate dalla pandemia e che hanno tutte a che fare con la capacità di gestire scenari complessi e di essere resilienti di fronte a variazioni del mercato e del contesto in cui queste operano.

Generare profitto, quello che è stato lo scopo principale delle iniziative economiche moderne, non è più l’obiettivo principale, che invece è diventato riuscire a restare rilevanti anche se il mercato e la società intorno cambiano velocemente. A volte con dei “salti quantici” che ci portano da una condizione all’altra brutalmente e in contesti incomparabili. Quello che funzionava bene in una situazione, di colpo diventa inutile dopo il salto.

In passato le sedi svolgevano due funzioni: accesso a risorse scarse e comunicazione sia interna che esterna. Avendo oggi accesso a tutte le risorse in cloud, nonché potendo collaborare da remoto, e comunicando primariamente su canali digitali, abbiamo ancora bisogno di sedi prestigiose e costose?

Adesso che la dematerializzazione dei consumi — ci siamo tutti abituati ad affidarci agli acquisti on line, anche per i generi di prima necessità — è diventata la regola, è diventato manifesto quanto sia importante concentrarsi sui servizi legati ai beni.Questa tendenza era già era in atto ed ha subito un’ulteriore accelerazione.

I beni materiali diventeranno una sorta di punto focale di un universo di servizi a questo legati. Per fare un esempio, non si compreranno più solo le automobili, ma anche i servizi di assistenza, le assicurazioni, le manutenzioni che la riguardano.

L’offerta diventerà così sempre più ibrida, a metà tra il mondo fisico e quello digitale e capace di servire entrambe le dimensioni. I prodotti, i servizi e le esperienze a questi collegate saranno sempre più liquide, distribuite, dotate di una parte digitale. Questo richiede delle strategie specifiche che sono diversa da quelle pensate esclusivamente per il mondo fisico o per quello digitale.

Trasformare lo scopo delle imprese, ammettere che tutti i prodotti avranno anche una controparte digitale, e quindi accettare la tendenza alla servificazione significa trasformare profondamente sia i modelli di business che tutto l’ecosistema in cui queste vivono.

Quando si reinventano i modelli di business si sta ripensando, ipso facto, la supply chain e quindi stravolgendo l’intera economia mondiale — Augusto Fazioli

Sono trasformazioni complesse e profonde che, per essere realizzate, necessitano di acquisire competenze diverse da quelle che costituivano il core business dell’azienda e investimenti importanti.

Si andrà quindi verso modelli di concentrazione tra le diverse industries: ci sarà un aumento nei fenomeni di fusioni, acquisizioni, inglobamenti e quindi il mondo delle imprese si sarà composto da grandi corporation internazionali servite da piccoli supplier distribuiti nel mondo.

Le aziende si struttureranno sempre di più verso un modello a piattaforma dove la produzione del valore è spostata fuori dall’organizzazione e deriva soprattutto dalla capacità di orchestrare le interazioni tra gli attori dell’ecosistema. Ma la capacità di orchestrazione non vale solo per i fornitori esterni, e le realtà che afferiscono alla “plat-firm”, ma è valido anche verso l’interno dell’impresa: le aziende porteranno al loro interno interi filoni di competenza che diventeranno business as usual e che solitamente erano affidate all’esterno, come ad esempio le competenze di visione dei processi,di disegno dell’esperienza, di sviluppo tecnologico, e di messa in sicurezza.

(Lo diciamo sommessamente, questo scenario non sarà privo di riflessi sulla dimensione normativa e giuslavoristica e solleverà una serie di dilemmi di non facile soluzione e che certamente esulano da questo articolo. Ma, per esempio, come conciliare la sicurezza sul lavoro con realtà distribuite? come armonizzare i diversi sistemi normativi se le imprese saranno sempre più sovranazionali? quali pesi e contrappesi per garantire la libera concorrenza?)

Nuove sfide per la consulenza strategica

La consulenza strategica dovrà cambiare, di conseguenza, ma quanto profondamente? e lungo quali direttrici? Sarà ancora rilevante?

Crediamo che sì, le società di consulenza saranno ancora rilevanti, ma il loro compito diventerà soprattutto quello di aiutare le aziende a progettare servizi end to end e padroneggiare la dimensione tecnologica dei servizi. Più partner e meno esecutori, a differenza di quello che accade oggi, ma con lo stesso scopo: costruire e mantenere nel tempo il valore che le aziende sono in grado di erogare ai propri clienti finali.

Gli over the top — Amazon, Facebook…- stanno mangiando interi mercati, quanto ci metteranno ad arrivare al nostro che ancora è piccolo ed estremamente di nicchia?” — Fabio Troiani

Di certo, se si propone alle aziende di adottare modelli agili e snelli per essere resilienti e flessibili di fronte alle trasformazioni del contesto e per essere in grado di orchestrare la complessità, i consulenti dovranno essere i primi ad assumere queste organizzazioni.

Anche le stesse società di consulenza saranno spinte verso una logica di plat-firm al pari dei propri clienti. Il fattore critico di successo della consulenza sarà sempre di più la capacità di trasformarsi, diventando un modello sperimentale per i propri clienti.

Questo può avvenire solo rimettendo vigorosamente al centro del proprio agire l’eccellenza e il valore: verso il mercato ci si dovrà dotare di una minore massa di persone con competenze generaliste e invece investire sul talento per costruire un capitale di persone di altissimo profilo, iper-competenti e responsabili — nella duplice accezione del termine, in grado quindi di rispondere prontamente alle trasformazioni e di assumersi gli oneri delle scelte — in quei settori di avanguardia sui cui le aziende non avranno competenze e per cui avranno bisogno della consulenza.

Ma la competenza verticale da sola non è sufficiente, non basta poter mettere a disposizione dei clienti il miglior esperto di quell’altra disciplina, ma diventerà cruciale la capacità di orchestrare le diverse capacità, mansioni, azioni e persone per essere in grado di creare qualcosa che prima non esisteva.

Nuove competenze per un mondo che cambia

È proprio sulla creazione di nuovi servizi e soluzioni che si giocherà la vera sfida delle consultancies: quella di essere in grado di dare forma al futuro. Le aziende cercheranno soprattutto prospettive fresche, pensiero divergente e capacità di interpretare le tecnologie emergenti, le aspettative dei clienti, i segnali che vengono dalla società e dal mercato.

Anche i consulenti dovranno cambiare: tra dieci anni si occuperanno sempre meno di attività di scarso valore aggiunto — come benchmarking e analisi dei dati, che potrebbero invece essere automatizzate grazie alle tecnologie esponenziali e alle loro applicazioni — e invece dovranno acquisire competenze strategiche avanzate: progettazione, capacità di interpretare i comportamenti dei clienti, competenze tecnologiche avanzate.

Condividere il rischio

Se il mondo della consulenza avrà un impatto più cruciale sulle scelte strategiche e sul modo in cui le aziende operano, allora si passerà da un modello che oggi è basato soprattutto su fee di servizio a un rapporto di profit sharing. In altre parole, le società di consulenza condivideranno con i propri clienti il rischio di impresa legato a singole iniziative o progetti. Questo è un cambio radicale di scenario perché sottintende un modo diverso di concepire il rapporto di collaborazione, certo, ma ha anche implicazioni più profonde sul modo di lavorare .

Le società di consulenza si orienteranno verso un modello a royalty, in cui co-parteciperanno con il cliente al valore che ogni progetto genera sul mercato. — Luca Mascaro

Non basterà rimodulare, con le dovute variazioni del caso, un modello o cercare di replicare un caso di successo, ma di volta in volta sarà necessario costruire un percorso esclusivo e specifico con i propri clienti. Sarà il percorso progettuale a rappresentare la vera risorsa strategica e il valore aggiunto esclusivo che le società di consulenza saranno in grado di offrire. E che i clienti cercheranno di proteggere perché in quello si troverà il loro vero vantaggio competitivo. Ci saranno sempre più richieste di non concorrenza, almeno sui singoli mercati per garantire certo livello di protezione e di vantaggio competitivo del know how.

Le società di consulenza avranno due scelte possibili: o legarsi strettamente a uno o pochi clienti, così da diventare il loro centro di eccellenza e innovazione, oppure crescere e differenziarsi: diventare più internazionali, diversificare tipologie di clienti e mercati. Estendere quindi il proprio raggio di azione e le proprie tipologie di azione per non trovarsi intrappolate in mercati troppo rigidi e fragili.

È evidente come la transizione verso questo futuro del mondo della consulenza non si possa né improvvisare né realizzare rapidamente. Bisogna cominciare già da ora, sfruttando l’opportunità rappresentata da questo momento di incertezza e sospensione, a pensare a un processo di ibridazione tra le discipline, a sviluppare competenze di orchestrazione e a riflettere sui modi migliori con cui maturare le competenze che saranno necessarie tra poco.

Ovviamente quella che abbiamo tratteggiato in queste righe è una visione, un’intuizione, non certo una predizione. L’evoluzione della tecnologia e della società è molto più rapida della capacità degli esseri umani di trovare un senso o un denominatore comune. Ma l’intuizione dell’esperienza è una dimensione sottile che deve sempre più appartenere al management. In periodi di incertezza più che in altri.

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