Innovation by design. Le strategie di innovazione delle corporate.
In un mercato che si fa sempre più veloce, complesso, volatile, le organizzazioni sono alla ricerca di strategie valide per rendere l’innovazione una componente fondamentale della propria identità.
Articolo di Alex Cascarano, Executive Design Director
Da qualche tempo le conferenze e la rete pullulano di uomini d’affari che, con tono grave e urgente, avvisano di come quelle cattivacce delle tech company in Silicon Valley non vogliano altro che fare le scarpe alle aziende tradizionali. A volte si fermano qui, a volte proseguono spiegando come sarebbero in grado di scongiurare questa sventura pagando loro una cifra ragionevole, naturalmente.
Ovviamente questa è una semplificazione: i disruptor stanno veramente travolgendo il mercato e rappresentano una minaccia per le aziende più tradizionali e restie al cambiamento; ma la questione non si esaurisce a questo livello. Non è ‘colpa’ o ‘causa’ delle tech company, è il contesto in cui viviamo ad essere cambiato: più veloce, incerto, volatile, incline a subire rapidamente i contraccolpi di effetti inattesi e spesso incontrollabili. Questo nuovo orizzonte richiede approcci diversi, nuovi.
Le organizzazioni stanno cercando a fatica di rimanere rilevanti, all’interno e oltre il loro mercato di riferimento, spesso perdendo di vista i nuovi business e le opportunità emergenti.
Ritorna al centro dell’agenda di ciascun attore economico — limitiamoci a questa categoria, almeno in questa sede — la dimensione della sostenibilità. Come fare a far sì che la produzione di valore da parte di un’azienda perduri nel tempo e sia garanzia di durevolezza e rilevanza?
Esplorare il futuro, valorizzare il presente
Rimanere uguali a se stessi, senza cambiare, era velleitario prima e assolutamente impossibile da considerare oggi. Non facciamo facili analogie con la natura, ma per restare rilevanti bisogna trasformarsi o, detto con il linguaggio del business, innovare.
L’innovazione però è una specie entrata a pieno titolo nel moderno pantheon mitologico: nessuno sa bene che cosa sia, come farla e il concetto si trascolora in una sorta di romantico tutto e niente difficile da trattare.
Di certo, l’innovazione non è una condizione innata e intangibile o un evento fortuito nella storia di un’azienda, e non è nemmeno il frutto di visioni — o allucinazioni, a seconda dei casi e degli esiti — di CEO ispirati.
L’innovazione di business è creazione di sostanziale nuovo valore per clienti e azienda.
Sawhney, Wolcott e Arroniz — 2006
Fare innovazione in azienda oggi vuol dire strutturarsi e dotarsi di competenze specifiche in grado di anticipare, sperimentare, testare e implementare nuovi modelli di business, prodotti e servizi. È un processo complesso, spesso stressante e che può portare i suoi frutti solo se investe con forza la dimensione culturale dell’azienda, in modo che la leadership, tutte le funzioni e le business unit sviluppino la giusta attitudine per accoglierlo, comprenderlo e supportarlo.
Per capire cosa significa innovazione è rilevante anche focalizzarsi sulla strategia da mettere in atto: ogni tipologia di innovazione richiede metodi, processi e una propensione al rischio distintiva.
Le aziende maggiormente competitive si rivelano quelle in grado di esplorare il futuro e, al contempo, sfruttano il presente. Danno quindi uguale priorità al mantenimento del business as usual e all’esplorazione di nuovi modelli, così da essere in grado di gestire il continuum e sviluppando al contempo una cultura in cui innovazione ed execution coesistono in un rapporto virtuoso e dinamico.
Se sembra un approccio oneroso è perchè lo è, molto, ma la capacità di gestire insieme esplorazione e valorizzazione non è limitato alle grandi aziende, ma si estende anche alle PMI e alle startup, visto l’accorciamento della vita dei modelli di business nei diversi settori.
Proverò a descrivere brevemente le possibili strategie di innovazione che le aziende possono scegliere di intraprendere, basando questa mia classificazione sulla mia esperienza.
Digital transformation
Si cominciamo proprio da quella che è la parola più inflazionata (prometto che non la ripetero piu all’interno dell’articolo) negli ultimi anni all’interno dell’ambito corporate? Cos’è ma soprattutto a cosa serve?
Sempre più spesso le aziende si trovano nella condizione di dover proteggere il proprio business attuale, digitalizzare l’esperienza che offrono ai propri clienti e, nello stesso tempo, ridurre gli sprechi.
Il termine è entrato ormai nel lessico di base di ogni azienda che si trova ad avere a che fare con l’ammodernamento dei suoi processi e dei suoi servizi sulla spinta delle nuove potenzialità tecnologiche. È un processo che investe l’intero spettro dei processi aziendali e li trasforma e, così facendo, modifica la struttura stessa dell’azienda: cultura, management, natura dei servizi. Non ne modifica però radicalmente l’approccio al mercato, piuttosto lo migliora e lo semplifica, lo rende adatto alle sfide del presente.
Negli ultimi anni diverse grandi e grandissime in tutto il mondo hanno avviato processi di trasformazione fondendo alcune funzioni dall’IT e altre dal business e creando così i loro hub digitali, composti da team multidisciplinari di esperti di Business e IT per fornire supporto a tutta l’organizzazione.
In questo scenario, il design si trova a ricoprire il ruolo di interprete tra le esigenze del business e quelle dei Product Owner e dei team di sviluppo, interpretando le esigenze di ciascuno e facilitando l’emersione di un set di pratiche e di linguaggi condivisi che diventano una sorta di bene collettivo, un sostrato di senso che facilita la trasformazione dell’intera organizzazione. Mantenendo sempre però il punto di vista degli utenti finali, che rischiano spesso di venir dimenticati.
Costruire capabilities interne:
Le aziende possono espandere la propria business line investendo su loro stesse e sulle competenze a loro disposizione: possono quindi internalizzare alcune competenze esterne — di design, digitali, di gestione e analisi dei dati… — che l’azienda non possiede e renderle così disponibili per migliorare il business attuale.
Questa strategia porta innovazione in alcune aree dell’azienda, senza stravolgere l’esistente, ma costruendo delle aree specifiche dell’organizzazione demandate alla produzione di nuove visioni.
Lo scopo è ovviamente creare le condizioni e le capacità di sviluppare nuovi prodotti e servizi, servificare quelli fisici, creare nuovi servizi… in altre parole aggiungere elementi all’offerta esistente, e far fare così dei salti all’azienda, magari in mercati contigui. Come nel caso di Sky con l’offerta Wifi: un completamento e un’integrazione dell’offerta principale del colosso dell’entertainment.
In questo contesto il design gioca un ruolo importante nel supportare non solo la forma dell’esperienza che questi nuovi prodotti e servizi devono offrire a quanti li utilizzeranno, ma anche le modalità con cui queste nuove capabilities si integrano nel tessuto aziendale preesistente.
Innovation Labs
Altre volte, le aziende demandano i processi di creazione di nuovo valore ad alcune unità specifiche, entità formalmente indipendenti che però insistono su una relazione mutualmente esclusiva.
Il compito di queste unità è infatti unicamente quello di esplorare nuovi contesti e nuovi bisogni, creare, sperimentare e prototipare nuove idee, approcci, visioni, e di individuare quali di questi sono meritevoli di essere implementati all’interno della casa madre.
La separazione da questa è spesso il modo migliore per pensare out of the box: abbandonare le abitudini di pensiero, le consuetudini e la cultura aziendale e sviluppare una visione indipendente.
Questo però non deve generare isolamento dalla leadership esecutiva. Un Innovation Lab ha obiettivi di business a lungo termine, questo richiede una forte sponsorship interna, budget e comunicazione di lungo respiro. Per svilupparlo e mantenerlo è utile definire una solida value proposition che si allinei alla strategia aziendale e un dialogo efficiente tra gli stakeholder e i decision maker dell’azienda.
Ci sono molti framework esistenti che si possono adattare al contesto dell’innovation lab, dal design thinking alla metodologia Agile, così come strumenti flessibili che garantiscono efficacia nelle operations interne. In un contesto simile, un approccio design driven si rivela di enorme valore: le attività di ricerca per comprendere le persone e i loro bisogni, la sensibilità di individuare i trend di trasformazione emergenti, la capacità di leggere la realtà con l’occhio da una parte dell’etnografo e dall’altra dell’ingegnere permettono di scoprire nuove opportunità di business. E di validarle altrettanto rapidamente.
Lavorare con le startup
Per innovare servono idee, tecnologie, talenti e tutto questo non è sempre disponibile all’interno dell’azienda. È possibile però creare una rete di competenze discrete e decentrate, dove le aziende esternalizzano i proprio processi di innovazione coinvolgendo in un processo di open innovation alcune startup che hanno sia l’agilità che l’attitudine al cambiamento.
Adottare questo approccio mitiga alcuni “svantaggi” propri dello sviluppare in casa l’innovazione: alti costi, necessità di competenze verticali, rischi time to market a volte allungato. Relazionarsi con, ed eventualmente Integrare, realtà esterne e formate permette quindi di adottare soluzioni validate e pronte per essere utilizzate.
La collaborazione, accelerazione e, in molti casi, l’acquisizione delle startup stesse da parte delle aziende è l’attività tipica del Corporate Venture Capital e serve alle corporation per diversificare i propri investimenti, proteggersi da eventuali competitor disruptive, migliorare il core business.
Questo tipo di attività è sostenuto da una specie di corrispondenza di amorosi sensi: le startup innovative hanno bisogno di crescere, mentre le grandi aziende, attraverso il Corporate Venture Capital, hanno bisogno di continuare ad essere innovative.
Il processo di integrazione non è un’attività per nulla semplice ed è molto spesso motivo di inerzia e frizioni. Si devono integrare protocolli, piattaforme, processi, armonizzare le esperienze di prodotto o di servizio con quelle del brand, a volte far convivere culture differenti. In questo caso il design svolge un ruolo chiave: da una parte abilita la collaborazione tra le parti, grazie ad attività partecipative e collaborative, mentre dall’altra fluidifica le operations (anche le design operations stesse), aumentando il valore delle attività di progettazione e di delivery.
Creare New Ventures
A volte, invece, non basta trasformarsi, costruire nuove competenze o affidare l’innovazione a specifiche unità dentro o fuori l’azienda, ma è necessario creare un business completamente nuovo.
Negli ultimi anni, sempre più spesso, molte aziende, per rimanere competitive, adottano una strategia che consiste nel costruire rapidamente nuovi business per capitalizzare su nuovi mercati, tecnologie e comportamenti, diversificando purpose e offerta, attraverso la creazione di vere e proprie new-company in grado di stabilire nuovi standard di settore.
Per le aziende che cercano di respingere i “disruptors” e far crescere le loro organizzazioni oltre il loro business as usual, il Venture Design è un approccio strutturato per identificare e dare priorità alle opportunità scalabili, quindi svilupparle e convalidarle su un percorso di mercato mirato, veloce e comprovato.
Nessuna buona idea è tale senza aver considerato gli impatti sulle persone, sul business e sulla tecnologia dell’azienda. Per questo è necessario un approccio incrementale che riduca i rischi e trasformi l’idea da concept (con MVP testabili) a nuovo business pronto per essere scalato. Far bene new venturing oggi vuol dire aprirsi a opportunità future che potrebbero cambiare radicalmente il corso della storia di una corporate, rendendola reattiva e durevole sul medio-lungo termine.
Il ruolo delle design firm
Creare innovazione richiede un approccio plurale, per questo credo che i partner migliori per facilitare questo processo siano a loro volta quelli in grado di portare un approccio multidisciplinare, trasversale e inclusivo.
Le innovation firm, non tutte sia chiaro, peccano a volte dell’incapacità di comprendere gli impatti che la loro azione suscita all’interno e all’esterno della realtà che ne sono oggetto. Le stesse business consultancies, con un approccio che considera molto più la viability di business e troppo poco la desiderability hanno spesso difficoltà a concretizzare delle iniziative di vera innovazione.
A mio parere, il design è quella disciplina in grado di generare valore e impatto sui temi dell’innovazione, e sempre di più si stanno costituendo realtà che uniscono competenze progettuali molto forti con quelle di management in contesti di incertezza.
Le società di design hanno una capacità specifica e la predisposizione naturale nel dare forma ad artefatti tangibili, concreti, testabili, snelli e utili per validare rapidamente ipotesi e orientamenti. E un prototipo, fisico o digitale che sia, è uno strumento potente per allineare le persone a un orizzonte comune e testare le opportunità.
Questo, unito alle capacità di interpretare i segnali deboli, di fare da crocevia tra le necessità del business, da una parte, e delle persone, dall’altra, mette il design nella posizione ideale per sviluppare mindset, integrare pratiche e processi e quindi in ultima analisi, generare innovazione.

