Interaction20: qualche riflessione dopo la conferenza

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Verso il futuro
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4 min readFeb 25, 2020

Interaction20 si è chiusa due settimane fa: sembra avere segnato l’inizio di una nuova fase della disciplina, ma è stata penalizzata dalla mancanza di specificità e dalla latitanza degli studi milanesi.

Interaction20 è finita da poco, abbiamo spento gli entusiasmi, ci siamo ripresi dall’impegno che ha rappresentato per noi partecipare sia come sponsor, sia con un importante numero di noi. Ci siamo divertiti, abbiamo incontrato tantissime persone — nuovi e vecchi amici che vediamo solo in occasioni di grandi conferenze come queste — abbiamo ballato, aperto il nostro studio milanese e tenuto un workshop sul futuro della città.

Ora però è tempo di bilanci, e le riflessioni che seguono sono state affidate a Luca Mascaro, il nostro CEO, e Andrea Caperni, Senior Designer nel nostro studio di Roma.

Grande soddisfazione per la scelta dell’Italia e di Milano come sede della conferenza. Premia l’impegno, la maturità e la dinamicità della disciplina in un contesto, come quello italiano, dove ancora il design fa rima soprattutto con prodotto fisico e in cui, quindi, l’interaction design ha dovuto faticare per affermarsi.

Ogni volta, edizione dopo edizione, ci sembra che Interaction sia una conferenza nella conferenza: c’è il programma degli speech, certo, ma anche la conferenza che si genera nelle discussioni e negli incontri con gli altri designer. Si genera sempre un’energia bellissima: mille e più persone che si interrogano, discutono, propongono, di come migliorare quello che ci sta più a cuore: l’esperienza.

Una nuova agenda per il design

Abbiamo notato anche un cambiamento di direzione generale. Qualche anno fa la questione era affermare la capacità del design di differenza solo sei affiancato al business e si integrato nei processi aziendali. Bene, abbiamo ottenuto la sedia al tavolo, e adesso?

Adesso il temi sono cambiati. Crisi climatica, energetica, della partecipazione, politica… Interaction ha sempre avuto una dote importante: quella di dettare l’agenda della comunità dei designer e di influenzarne gli sviluppi futuri.

Due settimane fa abbiamo visto la conferenza rifocalizzare la disciplina verso la progettazione per il futuro, o meglio per i futuri, in un’ottica umanocentrica.

L’innovazione non è più di prodotto o di servizio, ma si è spostata su una dimensione sistemica e sulla capacità di immaginare nuovi futuri e sistemi che sostengono la trasformazione della società e degli esseri umani.

Progettare per il futuro, però, vuole anche dire aprirsi a nuove discipline — collaborazione con intelligenze artificiali, robotica, data science — e provare anche ad immaginare come potrebbero coesistere in una dimensione unitaria applicata non solo al business, ma alla società in generale. Pensiamo allo speech che ha riguardato come il generative design ha contribuito alla progettazione del mercato di Rotterdam, la design automation, alla gestione dei propri dati personali e della privacy in generale, la questione politica e come creare un quadro normativo che ammetta la complessità e difenda i diritti degli esseri umani. Basta scorrere il programma per poter apprezzare la complessità e la varietà dei temi trattati.

In questo senso, la conferenza è stata pienamente coerente con il titolo che si è data: A New Dawn. Ma qui iniziano anche i problemi e le questioni più spinose.

Grandi temi, ma ancora poca profondità

Alla conferenza è mancata profondità. Tanti i temi trattati, ma, forse proprio perché sono così nuovi ed emergenti, ancora vengono affrontati con superficialità: mettendo sul tavolo le questioni, non proponendo direzioni o soluzioni.

Stiamo dibattendo ancora sulla dimensione etica della disciplina, sulle sue implicazioni per le persone ancora in modo un po’ astratto. Sarebbe bello vedere, e magari accadrà a Montreal l’anno prossimo, uno scatto in avanti anche dal punto di vista metodologico. come affrontiamo davvero la complessità? Che strumenti schieriamo? Come evolviamo il nostro modo di praticare il design?

Un discorso a parte, invece, merita la partecipazione. Noi eravamo uno dei pochi studi di design attivi a Milano che ha deciso di sostenere fattivamente la conferenza.

“Eventi come questo si sostengono con l’impegno della comunità ospitante — conclude Luca — non basta farsi vedere solo agli open design studio. Dov’erano gli altri studi italiani a parte noi ed Experientia?”

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