Verso un approccio inclusivo alla progettazione

Come persone e progettisti siamo alla ricerca di una direzione per incorporare stabilmente i temi dell’inclusione nella nostra cultura e nella linea di design dello studio. Dilemmi, pratiche e prospettive di un percorso di consapevolezza e cambiamento.

Sketchin
Verso il futuro
7 min readJul 6, 2021

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Homo sum, nihil humani a me alieno puto.

Sono un essere umano, nulla di ciò che è umano mi è estraneo.

Publio Terenzio Afro

Giugno si è da poco concluso e con questo l’onda arcobaleno che ha investito i loghi di molti studi, agenzie, organizzazioni a testimoniare di come sia grande e diffusa la volontà di includere i temi della diversità e dell’inclusione nell’agenda di queste organizzazioni. Ci piace pensare che questa presa di posizione sia anche il genuino riflesso di un cambio culturale e sociale.

Il mondo è cambiato e bisogna fare i conti con una società nuova dove le differenze — di genere, identitarie, di accesso, culturali, etniche, ecc ecc — si moltiplicano e vanno prese in considerazione, per una questione meramente funzionale se proprio non si vuole scomodare la giustizia sociale.

Le persone giustamente pretendono di vivere in un contesto rispettoso delle specificità di ognuno, capace di garantire a ciascuno pari diritti e pari accesso alle risorse. I corpi sociali sono abbastanza maturi per riconoscere il tema e constatare, almeno quello, la distanza tra la realtà e la sua rappresentazione. Colmare il divario è una partita tutta da giocare.

Questo significa che se tutti — diciamo molti, per onestà — siamo concordi nel pensarlo, poi le relazioni, le norme, i luoghi di lavoro, le parole sono ancora ben distanti dall’obiettivo della piena inclusione. Noi per primi, come persone, come studio e come progettisti. E quindi ci poniamo due domande a cui cerchiamo di trovare una risposta o, più umilmente, un modo per cominciare a rispondere. La prima è che cosa intendiamo noi per inclusione e per diversità, quali sono i confini, come ci poniamo umanamente e moralmente di fronte a questi. La seconda è come si progetta per l’inclusione e si tiene conto della diversità nei processi di design.

Non abbiamo una risposta a nessuna delle due, non ancora, forse non ce l’avremo mai, ma abbiamo la ferma volontà di esplorarle e capire come ci collochiamo nei loro confronti. Forse non serve nemmeno avere una risposta, o tante, ma un abito mentale aperto alla critica e alla discussione per includere una mutevole pluralità di punti di vista e opinioni, adattandosi al continuo cambiamento della società e del costume.

Verso una cultura interna inclusiva?

Intanto una precisazione: diverso e normale sono termini che hanno un valore solo statistico e non dovrebbero avere sfumature morali o peggio etiche. Normale vuol dire solo più numeroso che definisce così la norma, non più giusto o migliore. Allo stesso modo, diverso non dovrebbe avere nessun giudizio di valore attaccato. La norma è una, la diversità è molteplice. È quindi più facile riferirsi alla norma che alla specificità, ma il fatto che sia facile non lo rende automaticamente più giusto o più accettabile.

Per fortuna in Sketchin ne siamo abbastanza consapevoli e quindi non dobbiamo fare i conti con questo tipo di pregiudizio, ma, da bravi figli e figlie della nostra cultura abbiamo per le mani questioni un po’ più subdole con cui fare i conti: i modelli che pervadono il nostro pensiero e le nostre azioni inconsapevolmente.

Siamo consapevoli della molteplicità nel nostro studio? Siamo sicuri che il nostro comportamento e le nostre parole non siano fonte di esclusione? Siamo sicuri di trattare i nostri colleghi per gli esseri umani che sono e non per le loro appartenenze, identità, condizioni, confessioni ecc ecc? È un ambiente aperto a idee, condizioni e identità diverse? Non sempre, ma ci proviamo. Abbiamo le nostre uscite sessiste, razziste, blasfeme, sdegnose nei confronti della marginalità sociale, superficiali nell’uso delle parole, intolleranti verso chi ha un’altra cultura e la lista potrebbe continuare. Diciamo che il margine di miglioramento è bello ampio, anche se di solito ci facciamo notare l’un l’altro quando sbagliamo.

Progettare per un cambiamento virtuoso

E come ci poniamo invece nei confronti dell’azione progettuale? Come incorporiamo i valori di inclusione e di rispetto della diversità nel nostro lavoro e nei suoi risultati? L’atto di progettazione non è neutro, ma orientato da valori, quelli del committente così come quelli dei progettisti. I risultati sono migliori se c’è una comunanza tra questi. Sketchin ha deciso di non accettare clienti che si occupano di produzione e commercio di armi, per esempio. Quando si parla di diversità si associa spesso il termine con la dimensione del privilegio, noi preferiamo legarlo alla dimensione dei diritti e delle possibilità.

L’inclusione abbiamo detto essere la capacità di accogliere tutte le diverse sfumature di umanità in un contesto capace di valorizzare le specificità di ciascuno e garantire l’uguaglianza di fronte al diritti e all’accesso alle risorse, in base alle capabilities di ogni essere umano. Ed è questo il vero valore della progettazione centrata sull’utente. Se invece vogliamo estendere la dimensione del valore anche ai nostri committenti e al loro business, allora affrontare questi temi rappresenta un vantaggio anche per le aziende che li sposano: far sentire a proprio agio le persone con la progettazione significa allargare la propria base utenti e predisporre le persone verso un’aspettativa positiva.

Da progettisti di sistemi, prodotti e servizi che hanno una larga componente digitale abbiamo messo a fuoco tre diritti fondamentali su cui abbiamo la capacità di intervenire vigorosamente: accessibilità, privacy e sicurezza.

Si badi bene, non vogliamo dire che questi sono più importanti o che trascureremo gli altri per perseguire questi, ribadiamo che sono quelli su cui già ora abbiamo potere di influenza per fare in modo che già ora siano incorporati nei nostri progetti.

In un mondo che viene abilitato con crescente frequenza da sistemi digitali la dimensione dell’accesso comincia a diventare di una certa importanza. Lo studio ha una lunga storia in questo senso, avendo partecipato ai gruppi di lavoro per la definizione delle linee guida italiane dell’accessibilità digitale inaugurate dalla legge Stanca del 2004. Per accessibilità informatica intendiamo la possibilità che persone affette da disabilità o altre condizioni di disagio o peculiari (anziani, minori, scarsamente istruiti), anche temporanea, possano fruire di un sito web anche senza l’ausilio di dispositivi ausiliari. Se guardiamo all’Italia e all’Europa, le persone Senior sono e saranno drammaticamente maggiori degli under 65. La vera sfida per il digital è rendere accessibili i servizi ai 65plus. È un sottoinsieme tecnico dell’inclusione, ma non meno importante. Da progettisti abbiamo il dovere di porci il problema. Progettiamo per tutti quelli che possono usare quel particolare prodotto o servizio o solo per le categorie più avanzate, quelle più a proprio agio con la tecnologia? Se non lo facciamo rinforziamo una linea di disuguaglianza che riduce le possibilità di azione, e quindi la libertà, di molte fasce di popolazione. Anche per questo motivo cominciamo a utilizzare, tra gli altri, lo strumento delle Extreme Personas in alcuni progetti.

Sicurezza e privacy sono concetti strettamente interconnessi sui cui abbiamo da poco cominciato a interrogarci con un percorso strutturato. Parliamo di privacy by design e sicurezza, e di fatto ci poniamo domande del tipo: come vengono tracciati, raccolti, usati i dati delle persone? ci sono degli usi perversi? come facciamo sì che le loro informazioni siano al sicuro?

Certo sappiamo bene che il nostro lavoro di progettisti e consulenti è sottoposto a numerosi vincoli ed è a servizio del nostro committente. Ma non per questo siamo esentati dalla responsabilità di porre le basi per un cambiamento virtuoso, anzi.

Cosa stiamo facendo

Per quanto riguarda il resto dell’universo accidentato dell’inclusione sappiamo bene che c’è ancora un vasto universo che non abbiamo esplorato e che è tuttavia urgente.

Ci sono già delle azioni in corso per cercare di definire una nostra strada per affrontare la questione, speriamo che molte altre ne vengano in futuro, ma ci sembrava giusto dichiarare il punto in cui ci troviamo ad oggi:

  • Comitato diversity e inclusion: abbiamo un comitato interno dedicato a confrontarsi e riflettere sul tema, proporre iniziative, scambiarsi opinioni. Entro l’estate il comitato realizzerà un workshop rivolto a tutto lo studio per valutare il nostro grado di consapevolezza e per definire il backlog delle azioni future. La prima tra tutte è definire le aree di esclusione e marginalità che possiamo ridurre con il nostro lavoro di designer.
  • Sistema di feedback: dovremmo pensare al feedback come mindset operativo in tutte le nostre attività quotidiane: a valle di ogni meeting, presentazione o attività collaborativa dovrebbe esserci lo spazio per scambiarsi un parere su come sono andate le cose, potrebbe essere uno step fondamentale per la crescita di ogni gruppo. Stiamo quindi cercando di sistematizzare un sistema di feedback diretti e strutturati in grado di informare tutto il sistema di relazioni interpersonali e professionali.
  • Design Council: è l’organo che coinvolge tutti i design director di Sketchin e il cui ruolo è definire e affinare il modello di design di Sketchin, allineare la visione del design tra tutti i suoi membri. In questi mesi il gruppo si sta concentrando sulla revisione del modello operativo secondo i temi della sostenibilità e dell’inclusione.
  • Solleviamo il tema con i clienti: da qualche tempo ce lo mettiamo come punto, soprattutto quando lavoriamo con la Pubblica Amministrazione o con servizi che interessano larghe porzioni di utenti (distributori di energia o servizi di informazione) in modo che siano tutti pienamente consapevoli che l’inclusione informa la nostra visione progettuale (e almeno, per esempio, evitare che nelle form che progettiamo si vedano giusto tre opzioni alla voce genere: maschio, femmina, preferisco non rispondere).

Davvero non è molto, ma almeno è onesto. Preferiamo andare avanti un passo per volta, il nostro obiettivo ultimo è coinvolgere tutto lo studio in un percorso di trasformazione culturale, metodologica e operativa che porti dei risultati, magari anche parziali, ma concreti. Ma apprezzare i risultati imperfetti dovrebbe farci restare umili di fronte alla realtà.

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