L’invasione delle poesie brutte

Chiara Lugaro
SLAMwork
Published in
4 min readDec 6, 2018

Sembra che ormai da un po’ di tempo le poesie brutte, con o senza permesso di soggiorno, abbiano preso piede in Italia e siano riuscite a coinvolgere un numero sempre maggiore di lettori, riscuotendo successo tanto tra i vecchi quanto tra i giovani.

E se nelle famose e dibattute classifiche dei libri più venduti ci si dovrebbe teoricamente aspettare la qualità letteraria suprema, sempre più spesso troviamo raccolte poetiche (con o senza virgolette) di Rupi Kaur, Francesco Sole e Gio Evan.

Ma esattamente di quale sostanza sono fatte queste poesie brutte? Da cosa deriva il loro successo? E soprattutto, è lecito chiamarle tali?

Nel pezzo che segue il nostro poetissimo Paolo Agrati ha cercato di dare risposta a questi e ad altri interrogativi, nel tentativo di dare un senso ad un fenomeno macroscopico e inquietante.

Brutta lettura tutti!

È da tempo che la poesia sta avendo un discreto successo in rete e la cosa non può che farmi piacere. Tra la varietà di scritture però, le poesie di scarsissima qualità di successo ne raccolgono molto.

Intendiamoci, le poesie scarse ci sono sempre state e non hanno fatto mai grossi danni: si leggono fino in fondo se proprio si deve, si fa qualche complimento all’autore se è opportuno, ma nella maggior parte dei casi si ignorano e tutto finisce lì.

Ad essere sinceri poi, ho sempre pensato che non faccia male a nessuno scrivere, tranne a quelli che pensano che farlo significhi avere un dono che li rende migliori degli altri.

La diffusione e il consenso per le poesie orribili non è una cosa che sta accadendo solo in Italia, anzi qui da noi il fenomeno è ancora marginale; basta mettere il giusto hashtag in inglese su Facebook e Instagram per fare il pieno di screenshot con brevi frasi ad effetto di una banalità trascendentale. Una banalità trascendentale poetica internazionale.

Le poesie brutte dunque funzionano. Intendo dire che c’è un pubblico che adora queste banalità, che esprime la sua approvazione, sostiene questi poeti e li incoraggia a riempirci di altra devastante banalità.

Funzionano nella misura in cui creano un seguito, ma al di fuori di questo seguito obnubilato che si riconosce nelle parole dell’autore, la poesia brutta ovviamente non funzionerà. Semplicemente perché se una poesia è brutta qualcuno prima o poi se ne accorge che è brutta. È una cosa inevitabile.

Non stiamo dunque parlando di successo della qualità. Per avere questo tipo di successo infatti, la qualità non è una componente fondamentale, basta qualche accorgimento promozionale, un piano editoriale studiato e una ricetta chiara e semplice per un messaggio efficace.

Con uno sforzo che non vi nascondo ritengo titanico, mi sento comunque di chiamare poesie questi orribili testi. Perché se c’è una cosa della quale sono convinto dopo aver goduto delle più disparate forme di scrittura poetica, è che non si possa affatto affermare cosa sia poesia e cosa no.

Concessa dunque la dignità dell’appellativo a qualsiasi testo che cerchi un’espressione in versi o suoni o chissà, si possono tuttavia individuare alcune caratteristiche che contribuiscono a fare di una poesia una brutta poesia di successo.

Ecco qui alcuni ingredienti:

Bisogna parlare d’amore, sempre. Rivolgendosi ad una lei un po’ semplice senza farle capire che è semplice, una che si stupisce per la rima amore cuore, che si incanta quando si citano i suoi occhi dove risiede l’azzurro del cielo o i capelli di spiga o il suo volto che si riflette nella luna o altra robaccia che farebbe cariare i denti a Prévert. Ma tanto stiamo al sicuro: lei mica l’ha letto, Prévert.

Bisogna andare diritti, usare verbi semplici, quasi imbarazzanti e costruzioni grammaticali volte alla comprensione di soggetti in età preadolescenziale. Il testo è quello che è; non ci sono altre chiavi di lettura.

Bisogna esser brevi, per non perdere l’attenzione. Due minuti in più e l’amante della poesia brutta si sta già occupando d’altro. Oppure si può costruire un testo-dialogo; il dialogo è facile da seguire e permette di scrivere una storia. E a tutti piacciono le storie.

Mai toccare argomenti scomodi, che vanno al di là del disagio giovanile o comunque di un disagio da bar che accomuna e non divide. Non conviene mai pestare i piedi a nessun potenziale lettore.

Usare l’ironia, qualche gioco di parole, ammiccando ai sentimenti ma non andando mai in profondità. L’abilità della poesia brutta è far finta che si stia occupando di cose profonde quando in realtà questo non avviene affatto. La profondità è nemica della poesia brutta.

Ma attenzione: anche con tutti questi ingredienti si rischia di riuscire a fare una buona poesia.

Per costruire una poesia brutta di successo ci vuole un ingrediente fondamentale: bisogna metterci il nulla. Senza il nulla, collante che rende qualsiasi testo vacuo, la poesia brutta non raggiungerà il suo apice.

Solo trovando il proprio nulla si può ottenere questo tipo di successo. Per chi fosse interessato alla cosa, ovviamente.

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