Chiara Lugaro
SLAMwork
Published in
4 min readOct 11, 2018

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Lo Slam e le sue tribù — Prima puntata: Atti Impuri (Torino)

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di Slam Poetry, di performance in cui artisti più o meno sconosciuti, armati solamente di microfono e della propria voce, si esibiscono su un palco davanti ad una platea variegata.

Ma cos’è la Slam Poetry? Una nuova moda esterofila? Un rigurgito poetico post “post”?

Per farla breve, si tratta di un incontro in cui i contendenti, invece di prendersi a pugni, si sfidano su un ring a colpi di versi. Ma se la presenza della Slam Poetry in Italia è ormai accertata, non è facile stabilire in maniera precisa come si è sviluppata negli anni. Certo è che, a partire dalla sua importazione ufficiale nella penisola nel 2001 (per opera di Lello Voce, reduce da un viaggio a New York), la Slam Poetry si è andata affermando in maniera più o meno organica, riscuotendo un grande successo di pubblico e coinvolgendo un numero sempre maggiore di performer.

Come se ciò non bastasse, a partire dal 2013 le realtà locali e regionali si sono organizzate in maniera più coesa tramite la creazione della LIPS (Lega Italiana Poetry Slam), un’associazione volta a mettere insieme queste diverse realtà e a promuovere e diffondere la magia della poesia Slam.

È così che, strano ma vero, nel paese famoso per la triade pasta-pizza-mandolino le “tribù” di slammer si sono via via ingrandite e radicate nel territorio, hanno imparato a fare sistema e, in alcuni casi, a giovarsi dell’apporto di altre forme artistiche (come la danza e il teatro).

Ma chi saranno questi performer, che, non paghi di recitare “La cavallina storna” davanti alla classe delle elementari, hanno deciso di dedicare alla Slam Poetry la propria carriera artistica? E, cosa ancor più interessante, da chi è composto il pubblico di pazzi che frequentano questi ritrovi? Perché non vanno a sballarsi in discoteca, invece di ascoltare poesie? Incuriositi da tanti nonsense, abbiamo deciso di rivolgerci a questi piccoli e agguerriti nuclei di poeti per capire come lavorano, qual è stato il loro percorso, come vedono la Slam Poetry in Italia…

I primi della nostra lista sono gli organizzatori di Atti Impuri, circuito di poetry slam nato a Torino nel 2014. Il nucleo fondativo è costituito da Arsenio Bravuomo, Alessandra Racca, Sergio Garau e Giacomo Sandron, tra i primi a esibirsi nei poetry slam italiani. Atti Impuri, negli anni, ha organizzato numerosi eventi speciali con ospiti e artisti stranieri e con festival nostrani (come ad esempio il Salone del Libro di Torino). Il poetry slam collabora inoltre con l’omonima rivista “Atti Impuri” e con la casa editrice Miraggi. Quest’anno il torneo sarà condotto da Arsenio Bravuomo, Alessandro Burbank e Alessandra Racca, che ha risposto ad alcuni dei nostri numerosi interrogativi.

Alessandra Racca, proprio lei in carne, ossa e poesia

Perché avete scelto di chiamarvi “Atti Impuri”?

Alessandra Racca: Perché il torneo è nato in collaborazione con la rivista “Atti Impuri” e perché ci piaceva l’idea che il poetry slam fosse in qualche modo “impuro”, ibridando la poesia con altri generi e forme, aprendo a spazi di sperimentazione.

Come mai avete deciso di dedicarvi alla Slam Poetry? C’è ancora spazio per la poesia (per quanto non canonica) nel nostro panorama culturale?

AR: Direi che tutti quanti ci siamo imbattuti un po’ per caso nel poetry slam ma, per motivi differenti, l’abbiamo trovato uno spazio espressivo interessante.

Mi piace pensare che lo spazio si crei nel momento in cui nascono proposte ed esigenze nuove, che è un po’ quello che ho visto succedere con il poetry slam negli ultimi anni.

Che tipo di pubblico partecipa alle vostre iniziative? Com’è cambiato negli anni?

AR: È un pubblico misto, di persone di varia età, sicuramente il pubblico è cambiato, c’è stato un ricambio, anche perché proponiamo uno spazio continuativo per il poetry slam da dieci anni e abbiamo cambiato diverse volte “casa”. La cosa sorprendente è comunque questo ricambio, il fatto che questa formula incuriosisca e appassioni persone via via differenti garantendo sempre però una certa continuità e afflusso.

Secondo voi esiste una giuria sbagliata? In questo tipo di eventi, c’è la possibilità che la performance abbia la meglio sulla poesia stessa?

AR: Bisognerebbe capire cosa vuol dire sbagliata… Direi che è nella natura del poetry slam far votare un pubblico talvolta casuale e di non specialisti.

Il poetry slam si basa su un equilibrio dinamico fra testo e performance, che possono interagire in molte maniere diverse. Non noto tanto lo squilibrio fra questi due elementi, quanto talvolta una scarsa qualità di una o dell’altra oppure il prevalere di linguaggi altri sulla poesia, che per quanto mi riguarda non deve temere ibridazioni ma rimanere comunque il centro.

Secondo voi, qual è il punto di forza della Slam Poetry rispetto alla poesia più tradizionale?

AR: Non mi è mai piaciuto fare paragoni fra due cose tanto differenti, né mettersi a cercare un meglio o peggio. È come paragonare la maratona e i cento metri e domandarsi qual è lo sport migliore. C’è un linguaggio di partenza, che è la poesia, che però viene praticato con intenti e in contesti molto diversi. Credo che, in entrambi i casi, o succede qualcosa di interessante o non succede. Mille volte ho letto pagine che non mi parlavano, mille volte ho assistito poetry slam in cui le proposte non erano interessanti. In entrambe le esperienze cerco cose diverse.

Nella prossima puntata parleremo con un altro collettivo poetico, se non volete perdervi neanche una puntata iscrivetevi alla nostra newsletter. Basta un minuto e potete farlo da questa pagina. Zero spam, tutto SLAM.

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