Vuoi un Made in Italy a prova di allergie? Ecco come trovarlo!

Francesca Petruzzi
Social Factory
Published in
2 min readJul 7, 2015

Nel settore tessile e della pelletteria, il Made in Italy è da sempre sinonimo di qualità, ma sarà davvero così?

Anche se nel corso degli anni il nostro marchio si è conquistato il terzo posto nel mondo in termini di notorietà, addirittura subito dopo Coca-Cola e Visa, purtroppo la nostra tanto ostentata ricerca della perfezione nel tempo è scesa a compromessi con il fattore economico.

Le aziende per essere più competitive a livello di prezzo hanno infatti iniziato ad importare materie prime direttamente da Paesi Extracomunitari, dove quasi sempre però queste sono trattate chimicamente con sostanze sospette e potenzialmente nocive per l’ambiente e l’uomo.

Chi lo ha permesso?

Questa pratica, ormai abbracciata dalla quasi totalità delle aziende italiane, è stata consentita da una legge del 2010 secondo cui un capo, per meritare la dicitura Made in Italy, non deve essere prodotto necessariamente in Italia per intero, è sufficiente che siano realizzate qui almeno 2 delle 4 fasi del processo.

Cosa possiamo fare?

Essendo una problematica di grande impatto a livello ambientale, l’Organizzazione Internazionale GreenPeace ha deciso di mobilitarsi e di promuovere il progetto The Fashion Duel e la campagna Detox, per richiedere alle aziende tessili di eliminare entro il 2020 tutti i componenti tossici, iniziando da 11 gruppi di sostanze pericolose (sul sito di GreenPeace l’elenco completo delle sostanze incriminate). Alla campagna hanno aderito firme italiane importanti come Valentino, Benetton e Canepa, ed altri sei importanti produttori nazionali del tessile, come Besani e Italdenim, hanno già provveduto ad eliminare 8 delle 11 categorie tossiche.

Sarà sufficiente?

Secondo l’Associazione Tessile e Salute, l’intervento di GreenPeace non basta: eliminare le sostanze tossiche va bene, ma occorre anche controllare che l’intero processo produttivo sia “pulito”.

L’Osservatorio Dermatologico italiano riporta, infatti, che l’8% dei problemi alla pelle si devono all’abbigliamento e che i problemi maggiori sono stati riscontrati soprattutto con capi di importazione extraeuropea (Cina, India e Bangladesh): è sempre più necessario quindi che il processo produttivo sia sicuro per la salute umana, oltre che trasparente e tracciabile.

Chi deve vigilare?

Di questo si occuperà l’Associazione Tessile e Salute, in collaborazione con il Ministero della Salute, che verificherà la provenienza delle merci e le fasi di lavorazione per certificare le aziende realmente Made in Italy (per l’elenco completo dei produttori che hanno aderito: tinyurl.com/q2rwq63).

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