ANALISI DI ALCUNE CRITICITA’ METODOLOGICHE

Veronica Del Zotto
Social Mustard
Published in
3 min readNov 9, 2015

Studiare in modo critico la realtà che ci circonda non significa solamente raccogliere dati, bensì comporta fare nuove ipotesi, confermare o smentire delle tesi, insomma dare un significativo apporto alla conoscenza. Nel fare questo si incontrano dei limiti a volte derivanti dallo strumento utilizzato, altre dal metodo che spesso porta con sé alcune criticità.

Prendendo in analisi gli articoli letti possiamo evidenziare alcune mancanze che rendono meno significativo il risultato di ogni teoria:

L’articolo Do we look happy?Percepition of romantic relationship quality on Facebook indaga la percezione della qualità di una relazione in rapporto al disvelamento di informazioni relative alla relazione stessa. Nello Studio 1 viene preso in esame un campione di 108 coppie eterosessuali di età compresa tra i 19 e i 31 anni. A mio parere, volendo rimanere nel target di età, si sarebbero potute includere anche le coppie omossesuali e persone che al momento dell’indagine non avevano una relazione di coppia. In questo modo si sarebbe ottenuto un dato finale più completo, capace di tener conto della percezione degli adolescenti nel senso più completo del termine.

Un’altra criticità si può riscontrare nello Studio 2 e consiste nel voler utilizzare una scala da 1 a 9 per valutare il coinvolgimento e la soddisfazione di una relazione. Vedo nell’impiego della scala un limite perchè, mentre il coinvolgimento è qualcosa che si esterna (in questo caso nelle foto e nei post), la soddisfazione la ritengo qualcosa di strettamente personale e interiore, difficile da palesare e di conseguenza molto complicata da catturare in una scala, specialmente se la il profilo appartiene ad una persona non conosciuta nell’offline.

Considero la metodologia utlizzata da Sonia Utz nell’articolo The function of self-disclosure on social network sites: Not only intimate, but also positive and entertaining self-disclosure increase the feeling of connection valida, ma un po’ troppo articolata. Infatti, a causa della sua stuttura ripetitiva, alcuni studenti non hanno terminato la survey. Penso che questo possa aver inficiato sull’affidabilità del dato. A mio parere, gli studenti che hanno portato a conclusione tutti i passaggi, ad un certo punto potrebbero aver risposto per inerzia, non prestando troppa attenzione alle risposte che davano, forse motivati dalla ricompensa consistente in un voucher Amazon.

Non mi sento di dire che i risultati a cui arriva l’autrice siano universali. Per il tipo di campione scelto (151 studenti di un’università tedesca) i risultati raggiunti potrebbero valere esclusivamente per quel target.

L’articolo I Would Like To…I Shouldn’y…I Wish I…: Exploring Behavior Change Goals for Social Networking Sites prende in considerazione un campione di 604 lavoratori americani che utilizzano i social quali Facebook, Tweeter e Instagram. A mio parere la ricerca avrebbe ottenuto risultati più significativi se si fosse preso in considerazione un campione misto, cioè comprensivo di americani e di persone di altre nazionalità. Inoltre, a mio avviso, sarebbe stata necessaria una verifica preliminare sull’utilizzo dei social da parte dei lavoratori allo scopo di assicurarsi che questi ne facciano un uso frequente. Dare per scontato che le persone iscritte ad un social lo utilizzino quotidianamente risulta essere una forte criticità.

Anche nell’articolo di Nick Yee e Jeremy Bailenson sarebbe stato interessante lavorare con un campione più ampio comprensivo non solamente di studenti universitari, ma anche di anziani, così da poter indagare lo stereotipo da molteplici punti di vista. Gli autori, inoltre, parlando dei limiti dell’esperimento sottolineano come alcuni partecipanti abbiano intuito preventivamente l’obiettivo dell’esperimento. Una criticità, quindi, sta nell’aver reso troppo trasparente la metodologia utilizzata.

Nel tentativo di studiare The effect of Social Factors on User-Generated Content Productivity in Flickr.com gli autori, a mio parere, non definiscono sufficientemente il campione: si intuisce che indagano la community di Flickr.com, ma non la definiscono in modo puntuale. Inoltre fanno riferimento alla social tie theory di Gronovetter parlando dell’utilizzo di 15 variabili impiegate per misurare la tie strenght, ma non ne mostrano la loro personale applicazione. È un approccio che trova il suo fondamento nelle teorie filosofiche, ma a volte non lascia un riscontro in termini di dati.

Concludendo sottolineo che le mie riflessioni non hanno l’intento di demolire quanto studiato dagli autori degli articoli, ma solamente porre l’attenzione sulle criticità metodologiche proprie di qualunque ricerca.

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