God save the beauty.

fabiana.totaro
Social Mustard
Published in
3 min readOct 3, 2015

ANALISI DI UN PROFILO SOCIAL.

E’ la dura legge del web: più sei bello/a, più sei popolare.

E la mia indagine lo conferma. Ho aperto la mia lista di amici, lasciato scorrere lo sguardo sull’elenco dei numerosi contatti e l’ho scelta. Ho scelto lei, coetanea di indubbia bellezza, perfettamente consapevole di esserlo e, dettaglio scontato, non priva di una grande notorietà.

4960 amici, seguita da 1573 persone e 2098 followers sul suo profilo Instagram. Direi una discreta risonanza sui social per non essere un personaggio famoso.

Mi accoglie la sua foto profilo, un bel primo piano in autoscatto (fedelissima ai selfie, “tanto viene bene sempre”, cit.) apprezzato da 269 persone.

Leggo velocemente i commenti, tutti complimenti.

Proseguo l’indagine, setaccio le informazioni. La mia vittima è attenta alla privacy: non dichiara nulla su stato sentimentale, occupazione, fratelli/sorelle. Svela però il target dei posti che frequenta, principalmente locali della “Torino bene”che ospitano gli eventi più importanti che si susseguono in città.

La settimana scorsa, ha comprato dei jeans: lo sappiamo perché ricoprono il suo perfetto lato b nella foto con didascalia “Levi’s never die”. 85 persone apprezzano. L’acquisto? La frase?

Non è una celebrità, ma questa potrebbe benissimo essere l’immagine di una nuova campagna abbigliamento. Forse già vista, ma dettagli.

Donna tuttofare: va in palestra, corre tutte le mattine, mangia sushi con le amiche, legge sotto l’ombrellone, studia psicologia, il venerdì e il sabato sono irrinunciabili per il divertimento, va al parco con il cane, condivide video da Youtube, pezzi di film, canzoni, citazioni.

Il 28 agosto ci informa: è felice. Il perché lo lascia alla nostra immaginazione.

Sonja Utz ha proprio ragione. I messaggi privati sono più intimi degli aggiornamenti di stato(H1), nulla di strettamente personale viene rilevato: il motivo di questa felicità lo sapranno in via confidenziale alcuni “prediletti”, così come la sua già accennata e celata situazione sentimentale, ad esempio.

Inoltre, condividere il divertimento e i momenti di vita particolarmente positivi genera una maggiore e sentita connessione all’interno della rete (H4). E la nostra bella non è l’eccezione che conferma la regola: la sua pagina è un susseguirsi di sorrisi, viaggi, piccoli frammenti di felicità immortalati e, orgogliosamente, dichiarati.

G. è una ragazza piena di ideali, ci tiene ogni tanto a ricordarlo. La bellezza non è l’unica cosa che conta, ci spiega. E per farlo, si serve di una sua foto in bikini con un po’ di rossetto sulle labbra che in spiaggia, si sa, non guasta mai.

E piovono “like”.

Ora, Sonia Utz vorrei solo chiederti: perché sulla sua pagina, un pezzo di Giorgio Gaber (postare ogni tanto qualcosa di ricercato ci fa sentire persone un pò di nicchia, e lei lo sa bene) riceve gli stessi identici apprezzamenti del suo pranzo a base di tacchino e pomodori in insalata?

Perché il suo status “cantando sotto la doccia” è largamente più apprezzabile ed interessante dell’articolo su La Stampa del mio amico L., instancabile intellettuale di sinistra che si interroga sui limiti della propria ideologia politica che vanno “oltre l’indottrinamento interiorizzato sotto forma di abitudine”?

Perché? Perché l’idea di una persona che canta sotto la doccia ci comunica spensieratezza?

Perché per apprezzare l’articolo bisognerebbe prima leggerlo e questo comporta tempo e voglia? Forse. D’altronde viviamo nell’epoca dell’immediatezza.

Perché su Facebook ci si distrae ed è difficile ritenerlo un mero strumento culturale? Probabile.

Però, secondo me, se lo stesso articolo fosse stato postato da G., l’audience avrebbe senza dubbio applaudito. E il “soporifero” per L., si trasformerebbe in un “brava, sei la conferma che la bellezza non esclude per forza l’intelligenza”.

Siamo il popolo dell’immediatezza. Ma anche, a volte, della prevedibilità, ahimè.

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