Incongruenze di metodo

Valentina Broggini
Social Mustard
Published in
5 min readNov 9, 2015

Analisi. È questa la colonna portante degli articoli proposti e letti, riguardanti diversi temi nel contesto sociale mediato, ma tutti accomunati dall’impiego dello strumento dell’analisi per svolgere la matassa del ragionamento. Sempre l’analisi è stata il mezzo da me utilizzato per cercare di individuare inesattezze e incongruenze negli stessi articoli. Ecco di seguito le osservazioni svolte.

Nel primo articolo, Do we look happy? Perceptions of romantic relationship quality on Facebook, nel primo studio, viene chiesto a delle coppie eterosessuali, di giudicare, secondo una scala di valori, cinque voci che valutassero la soddisfazione della relazione. I risultati sono stati classificati, tuttavia, senza riportare una distinzione di genere, che, a mio parere, è rilevante in un’analisi di questo tipo, proprio per avere un controllo di entrambi i partners, riguardo la soddisfazione della medesima relazione.

Inoltre l’espressione di un giudizio sulla qualità della relazione viene fatta dai partecipanti stessi, quindi secondo il proprio vissuto, e da dei codificatori esterni, tre per la precisione, pochi e anch’essi senza distinzione di genere, che si basano solo su un’analisi oggettiva e puramente esterna dei profili. Sono due posizioni estreme riguardo all’oggetto di studio, la qualità della relazione. Occorrerebbe, a mio parere, un ulteriore punto di vista, intermedio, in cui amici che conoscono bene la coppia e ne vedano i comportamenti possano esprimere una valutazione, secondo le medesime voci e scale di giudizio.

In The function of self-disclosure on social network sites: Not only intimate, but also positive and entertaining self-dislosure increas the Feeling of Connection, viene analizzata l’esposizione dell’utente sui social network e i ruoli che assumono diversi fattori come l’intenzione di mantenere relazioni o l’intendi di divertire gli altri in questa “disclosure”. Il difetto è una non chiara distinzione tra l’analisi dei messaggi privati, che essendo privati, avranno comunque un grado d’intimità per il fatto che vengono svolti con una sola persona, che può essere più o meno conosciuta, i messaggi di gruppo ed i post pubblici, o gli aggiornamenti pubblici. I messaggi privati dovrebbero poi essere distinti tra sincroni ed asincroni, aspetto che cambia il tipo di relazione e la quantità di informazioni scambiate. Sono tutte variabili diverse che andrebbero distinte tra loro poiché portano ad osservazioni differenti che se non debitamente separate, generano confusione e portano ad un discorso generalista.

Secondo aspetto da considerare parte dal titolo stesso, che si riferisce ai social network in generale, che oggi sono vari, con diverse modalità di fruizione e differenti strumenti d’interazione. Nell’articolo viene preso in analisi esclusivamente Facebook in Germania, con un generico riferimento anche ad uno studio condotto in America, ma un aspetto molto interessante oggi è l’analisi delle foto pubblicate, parlando di self-disclosure, e dovrebbero essere presi in considerazione anche altri artefatti (Instagram, Twitter, Snapchat e le sue nuove funzioni, tra gli altri più conosciuti) per avere una visione più ampia e non così specifica. Bisognerebbe altrimenti parlare di self-disclosure on Facebook.

Nell’articolo I Would Like To…, I Shouldn’t…, I Wish I…: Exploring Behavoior-Change for Social Network Sites vengono presi da subito in analisi le tre principali piattaforme social: Intagram, Facebook e Twitter. Si studia come gli utenti vorrebbero cambiare il proprio comportamento in relazione ad un uso di questi che non li soddisfa. Tuttavia si analizzano differenti livelli di utilizzo del social network solo nel caso di Twitter, ma lo stesso discorso non viene fatto, senza dare spiegazioni della motivazione, anche per Facebook (da chi lo usa solo per leggere la home passivamente, a chi interviene con likes e commenti, chi posta con diversi livelli di frequenza e chi passa molto tempo sfruttandone anche i giochi) ed Instagram (anche qui ci sono i fruitori passivi, i likes, i commenti, un uso degli hashtag che sono uno strumento molto interessante, l’utilizzo di Instagram come strumento di lavoro nel caso di aziende ad esempio, o di personal branding).

Altra inesattezza viene compiuta nella sezione di analisi, dove si distinguono cinque diverse voci prese in analisi: l’obiettivo dell’utente, la motivazione di questo obiettivo, i benefici dello stesso, i tre passaggi per raggiungerlo e i facilitatori e le barriere che si incontrano nel farlo. Tuttavia facilitatori e barriere sono due voci, due tipologie d’informazioni ben diverse, anche perché per un unico obiettivo le due voci non è detto che si escludano, ma ci possono essere fattori che facilitino il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, così come ostacoli.

Infine ci sono inesattezze nel numero di utenti presi in analisi. Mentre all’inizio si parla di 604 partecipanti, quelli che descrivono il proprio obiettivo sono solo 540, ma questa riduzione non viene spiegata, così come si analizza un totale di 577 utenti per cui i potenziali benefici sono ragione dell’obiettivo posto, e anche in questo caso il numero non viene spiegato.

Nel quarto articolo, Walk a Mile in Digital Shoes: The Impact of Embodied Prospective-Taking on The Reduction of Negative Stereotyping in Immersive Virtual Environments, una prima osservazione l’ho fatta a proposito del riferimento alla Presenza dei partecipanti. Sicuramente è alto il loro grado d’immersione, perché vengono interessati molti dei loro sensi con la realtà virtuale, tuttavia hanno una forte percezione di trovarsi nella stanza virtuale con l’interlocutore, ma la presenza, sebbene legata all’immersione non è detto che sia alta per ogni utente, soprattutto per il fatto che gli avatar vengono assegnati casualmente, non riflettono l’aspetto fisico di ciascuna persona presa in esame.

Inoltre trattandosi di analizzare un tipo di pregiudizio e di sperimentare come la realtà virtuale possa cambiarlo effettivamente in modo positivo, bisognerebbe verificare precedentemente se ciascun utente preso in analisi ha in sé questo pregiudizio, in caso contrario, il dato altererebbe il quadro complessivo, in quanto prenderebbe in analisi una persona che non ha il pregiudizio analizzato e quindi non può eliminarlo o migliorarlo in positivo.

Infine, i 33 studenti che vengono chiamati ad esprimere le proprie opinioni per selezionare degli avatar secondo un giusto ed equilibrato grado di bellezza dell’aspetto fisico e grado di avanzamento dell’età, non vengono divisi per genere, come invece accade ai soggetti che si devono confrontare con gli avatar e che partecipano all’esperimento. Il genere opposto infatti, potrebbe condizionare il giudizio dell’aspetto esteriore.

The Effect of Social Factors on User-Generated Content Productivity: Evidence from Flickr.com, propone tutta una serie di prove basate sugli studi storici e d esperimenti precedenti, ma a prova delle sue tre ipotesi, nella sezione delle misurazioni, non riporta alcun dato numerico o qualitativo più in generale, non entra nel merito dei passaggi svolti per arrivare a delle prove empiriche. Proprio nella sezione “Measurement” vengono citate “queste 15 variabili”, che non vengono in realtà mai esplicitate, facendo parte di uno studio precedente di altri studiosi. Quindi come studio empirico, manca della raccolta degli stessi dati empirici, che dovrebbero costituire la fase fondamentale per giustificare la verifica e le conclusioni.

Infine viene detto, dopo la proposta della terza ipotesi, che in seguito si sarebbe spiegato il perché della scelta di Flickr.com come laboratorio di analisi, ma successivamente l’esposizione dei benefici di questa piattaforma social, rispetto ad altre (Instagram, per esempio), non viene presentata, lasciando l’articolo carente di informazioni e giustificazioni di un certo rilievo.

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