Le mura tra gli uomini

Nicolò De Carolis
8 min readDec 30, 2015

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Il castello dalle mura di ghiaccio che la regina Elsa eresse per allontanare e nascondere dal mondo il segreto pericoloso dei suoi poteri magici, nella favola “La regina delle nevi” di Hans Christian Andersen e nel film “Frozen” ad esso ispirato della Disney.

L’Economist ha realizzato un grafico interattivo che mostra tutte le barriere costruite, in costruzione o pianificate in Europa e nel mondo.

Nella mappa vengono anche riportare le motivazioni addotte dai Paesi per giustificare le barriere in questione. La più frequente è la volontà di fermare l’immigrazione, seguita dalla prevenzione dei traffici illegali. Tra le motivazioni anche un confine, come nel caso della barriera progettata dalla Russia o, in Asia, quella che dividerà Pakistan e Afghanistan. È proprio quest’ultima motivazione ad incuriosire di più e ad inserire questo scritto all’interno del dibattito relativo alla self disclosure. Se, come secondo l’Economist, è vero che sul piano geo-politico ci siano limiti, confini e territori che è bene rimarcare perché siano inaccessibili o, quantomeno, difficilmente raggiunti dagli altri, questo potrebbe anche risultare vero sul piano relazionale della vita quotidiana di ogni essere umano, soprattutto con l’avvento delle tecnologie medianti e — più in generale — con la digitalizzazione.

Per semplificare, portando un esempio che sostenga e fondi, all’atto pratico quanto appena scritto, basti pensare all’accesa questione, emergente in tempi recenti, relativa alla privacy, negli ambienti digitali e non solo.

Un’ affermazione come questa, oltre che dal diritto e dalla giurisprudenza coeva, può essere suffragata dalla teoresi psico-sociale. Se è vero, infatti, che la letteratura specifica di questo sapere ponga essa stessa, per prima, un fondamentale discrimen tra il concetto di e quello di identità, ecc0 che lo spartiacque, il muro tra ciò che diamo a vedere di noi stessi e ciò che “veramente siamo”, risulta presente ad ogni livello, sia esso micro o macro sociale.

Tenere separate queste due dimensioni è indubbiamente importante ma, in un epoca estremamente digitalizzata e in cui i social network portano ad una percezione sempre più labile del confine tra “me intimo” e “me sociale”, diventa un tema complesso.

Soprattutto in tempi recenti, come in parte già sottolineato, il dibattito sulla privacy è tornato ad essere sensibile, tanto che anche principali ambienti social si sono aggiornati (se già non lo prevedevano) per parcellizzare il flusso d’informazioni personali visibili da ognuno.

Si pensi, per semplicità, al caso di Facebook: ognuno di noi, su questo servizio, se ci fa caso, può contare su di un profilo pubblico e un profilo “privato”, il primo, generico, da condividere con tutti gli utenti del social, il secondo condiviso, invece, “solo” con la propria cerchia di amici. Ognuno di noi, quindi, può porre un diaframma, una membrana più o meno porosa, a scelta, che separi le informazioni visibili a tutti da quelle visibili a chi, invece, intrattiene con noi relazioni strette. Se ci pensate, questa sembra essere la dinamica che modula non solo i rapporti mediati on-line, ma anche quelli “fisici” off-line. Quando a ciascuno di noi viene presentata una persona, cerchiamo di darle a vedere solo alcune cose del nostro carattere: esponiamo solo i lati socialmente meglio condivisi e apprezzati dall’ “altro generalizzato” in conformità con la rappresentazione di noi stessi che abbiamo. Ci sforziamo, per esempio di essere simpatici, se questa è l’immagine di noi che abbiamo e vogliamo restituire.

Quando la relazione diventa stabile e approfondita, allora, ciascuno di noi fa calare gradualmente le difese (lascia cadere le mura) e mostra all’altro, che ormai conosce e di cui ormai si fida, un profilo ed un’ immagine di sé molto più articolata e complessa.

Per ulteriore completezza e chiarezza per chi legge, da questo punto di cista, in questo scritto lasceremo spazio ad un approccio empirico/etnografico: andremo cioè a valutare un esempio di “profilo pubblico” su Facebook per valutare quali informazioni personali, sono lasciate alla mercé di tutti con semplicità e, a partire da queste, quale immagine del soggetto in questione possiamo ricavare. Saprà convincerci a “chiederle l’amicizia”?

S., guardando le foto del profilo (che poi sono le uniche visibili ai non-amici), appare come una ragazza carina dagli occhi blu, divertita e divertente. Sono tante le foto del profilo visibili, circa 26. Ognuna la ritrae da angolazioni diverse del carattere con cui vuole apparire: ci sono molti primi piani e molti sorrisi (poca la voglia di tirarsi indietro nella relazione, forse: avesse vestito delle maschere in ciascuna delle foto del profilo, ad esempio, avrebbe tenuto ben alto e solido il muro tra sé e gli sconosciuti. Così non è: i primi piani la interpellano direttamente e lei sembra rispondere senza dare le spalle. Sguardo in camera e sorriso in faccia). Sono molte le foto, in secondo luogo, che la ritraggono a contatto con la natura e, altrettante, quelle che la inquadrano in pose buffe o in situazioni teatrali.

Semplicemente guardando le foto, dunque, S. appare come una ragazza solare, che sa prendersi poco sul serio, amante della natura e del teatro.

Le foto sembrano essere apprezzate: alto il numero di like e di commenti sotto ciascuna di esse: forse S. ha tanti amici e tutti, se così fosse, sembrano fare il tifo per lei.

Ma andiamo a vedere sotto la voce “informazioni” del profilo di S., è lì che possiamo, forse maggiormente, vedere quanto la sua self disclosure sia alta o bassa. Sotto la voce “panoramica” possiamo scoprire che S. ha studiato in un istituto turistico, poi all’Università in Cattolica e, ora, all’ ”Accademia Fiera Milano”. Sono tre i Familiari visibili: Roberta, sua figliastra (ha la stessa età di S., quindi dubito che questa informazione possa essere veritiera, forse una sua compagna di università, dato che hanno frequentato lo stesso ateneo); lo stesso ragionamento anagrafico può essere fatto, asciando dubbi sull’attendibilità di queste informazioni, per Alessandra e Noemi, rispettivamente nipote e nuora di S. Anche in questo frangente, dunque, potrebbe trasparire la vena ironica e scherzosa che già avevamo detto possibile guardando le foto del profilo del soggetto in esame.

Non è segnata, invece, la città natale e nemmeno quella di residenza: ad un’ osservatore esterno, dunque, non sarà possibile geolocalizzare S. e nemmeno contattarla per vie non social, dato che anche la sezione “contatti” del profilo pubblico sembra priva di informazioni visibili.

È una donna di 23 anni a cui piacciono gli uomini e che risulta single.

Per il proseguo della trattazione, si terranno come facente parte del campione d’analisi, i post pubblicati come visibili nel profilo pubblico di S. nel mese di Dicembre 2015 (circoscrivendo un pattern analitico temporalmente definito, risulta più facile compiere un’analisi approfondita e, data la vicinanza del periodo selezionato al momento di stesura del presente testo, si garantisce che i dati siano aggiornati e affidabili).

Di seguito la rassegna dei post:

Un momento ridicolo, presentato con una caption divertente e la voglia di ridere in “compagnia” degli amici con cui, per altro, si è cercato di vedere un film. La situazione è presentata in modo chiaro taggando anche l’amica dormiente (che, nei commenti, scrive: “che vergogna!”) e in modo da condividere il momento ilare con tutti, in particolare con gli amici.

La famiglia di S. ha girato una pubblicità (attori, come si intuiva dalle foto?) e la vive come un momento da VIP, in cui “tirarsela”. Un nuovo momento particolare da condividere, senza prendersi troppo sul serio, con il mondo Facebook. È la stessa S., nei commenti a raccontare la cosa agli amici: “è stata una bella esperienza!”

Il post, invece, ritratto qui a destra racconta sempre quel lato ironico, divertito e divertente intorno a cuiS. fa ruotare l’impianto narrativo personale, come già riscontrato.

S. ha cambiato immagine del profilo il 15 di Dicembre. Positivo e benevolo il riscontro che ottiene dagli amici, come si evince dal numero di like e di commenti positivi che questa azione social ha comportato. La benevolenza gratuita e gli apprezzamenti però, è bene notarlo perché il dato non venga travisato dal lettore, sembrano essere prassi comuni e normali all’interno di questo ambiente social, quasi quanto i flame e lo scherno. I dati di questa timeline, così come quelli della maggior parte dei profili Facebook, tendono a restituire un’immagine migliorata di sé e dei rappori intrattenuti con l’ambiente sociale. Da un lato S. ha interesse ad apparire simpatica e creativa non solo presso i suoi amici, ma anche presso il popolo intero di Facebook; dall’altro, anche gli amici di S. saranno interessati a farsi percepire come aperti alla relazione e presenti nell’universo social(e) di S. in modo positivo (con complimenti e like), per cementare il rapporto con lei on e offline, con tutti i benefici che questo porta al loro sistema di relazioni. Questo, dunque, un dato da leggere con riserva, forse più degli altri.

Chi scrive, vedendo il suddetto meme, ha sorriso (onestà innanzi tutto).

Il parallelismo tra l’identità social(e) divertente e creativa di S. e il suo profilo pubblico è confermata da questo post memetico del sedici Dicembre. Un re-post dalla pagina “CreARTIvità”, appunto.

Creatività e arte sono due parole chiave, l’abbiamo visto, dell’identità di S. e anche questo post sembra poterlo confermare. Al binomio di significati e significanti appena istituito, questo post aggiunge un terzo elemento, quello della favola; un elemento questo che è richiamato anche dall’mmagine di copertina — elemento fortemente identitario — scelta da S. (una Biancaneve disegnata secondo lo stile cartoon di Tim Burton).

Creatività, arte, teatro, spensieratezza, divertimento, natura, amici e favole, questi i cluster di significato su cui ruota il racconto identitario di S., per sommi capi. Una persona che nasconde, tutto sommato, poco di sé al mondo (nascosti i contatti e la geo-localizzazione, ma tante le foto visibili e i post sul diario pubblico).

Abbiamo detto come, in conclusione, l’ambiente social di Facebook sia un luogo in cui mettere in mostra una “versione migliorata di sé”, forse un mix tra quello che la Social Cognition definirebbe sé ideale e ciò che definirebbe, invece, sé normativo. Questo modo di adoperare i social non è di per sè deprecabile. A pensarci bene, non è niente di diverso da quello che cerchiamo di fare anche nel racconto identirario off-line:

“Come va?”
“Tutto bene”

Quante volte abbiamo risposto “tutto bene” a una domanda simile anche quando, magari, quella non fosse la risposta più onesta? Tendiamo a dire al mondo che vada tutto bene. Restituiamo una versione migliorata del nostro reale.

Nulla di male insomma, non per forza una menzogna. Nel mix tra sé ideale e normativo deve esserci per forza una radice di sé reale da cui partire.

Questo appunto in coda alla trattazione, dunque, vuole essere un ammonimento a chi legge affinché legga dati e rilevazioni con la dovuta cautela. Senza esagerare però: una favola è bella anche perché chi la legge sa applicare una sospensione del giudizio e accetta di farsi rapire dalla magia.

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Nicolò De Carolis

Laureato in media e comunicazione amante della semiotica (spazio per credermi pazzo ricavato qui).