Lettura critica di 5 articoli

Marica Di Giglio
Social Mustard
Published in
4 min readNov 6, 2015

Nell’articolo “Do we look happy? Perceptions of romantic relationship quality on Facebook” di Emery, Muise, Alpert e Le viene presa in esame l’importanza di esplicitare o meno la propria relazione sentimentale sui social network. Limiti riscontrati:

  • social network → viene analizzato Facebook e il modo in cui i suoi utenti interagiscano con esso, rendendo pubblica o meno la propria condizione sentimentale attraverso la condivisione di foto, per lo più del profilo, e materiale di altra natura, come post o status; come mai non viene presentata un’analisi comparata, ad esempio con Instagram, dove molto spesso una relazione è resa esplicita grazie alle singole fotografie senza il bisogno di un supporto testuale o di formule ad hoc “impegnato/a con — fidanzato/a con”?
  • campione → per questo studio sono state selezionate coppie eterosessuali, come mai non sono stati chiamate in causa anche coppie omosessuali o bisessuali? Questo aspetto risulta essere piuttosto restrittivo poiché, in una società moderna e poliedrica come quella in cui viviamo e soprattutto per lo studio dei comportamenti umani cui fa capo questa analisi, un campione di ampio spettro, capace di includere coppie dalla natura più svariata, avrebbe potuto arricchire notevolmente i risultati conseguiti.

Nell’articolo “The function of self-disclosure on social network sites: Not only intimate, but also positive and entertaining self-disclosures increase the feeling of connection” di Sonja Utz si analizzano gli effetti relazionali causati dalla divulgazione dei propri dati personali sui social network.
Punti critici:

  • ovvietà della premessa → una delle ipotesi proposte afferma che nelle conversazioni private ci si esponga maggiormente rispetto a quanto avviene sulla bacheca di Facebook; questo dato non risulta essere ovvio, trovando riscontro anche nella vita offline? Sembra piuttosto naturale lasciar cadere la maschera e rivelarsi per quelli che si è in situazioni confidenziali, quali sono appunto le chat private, e lasciare alla ribalta un “noi” più costruito, che faccia ridere e sorridere.
  • strumento → il questionario, strumento scelto per analizzare la self-disclosure non risulta essere il più adatto. Molti soggetti abbandonano l’analisi, il questionario ha una durata media di 57 minuti, perciò risulterebbe più proficuo analizzare direttamente i profili dei soggetti scelti come campione invece di far compilare loro un questionario, rischiando così che essi cambino le carte in tavola, dichiarando cose non fedeli alla realtà.

Nell’articolo “I Would Like To…, I Shouldn’t…, I Wish I…: Exploring Behavior-Change Goals for Social Networking Sites” di Sleeper, Acquisti, Cranor, Kelleyy, Munsonz e Sadeh viene preso in esame come e perchè gli utenti vogliono cambiare i propri comportamenti sui social network.
Limiti della ricerca:

  • variabile → vengono scelti 604 soggetti che vogliono cambiare i propri comportamenti online, postare più materiale o viceversa essere meno attivi sui social e più presenti nella vita offline. Come discriminante si assume che i soggetti siano tutti lavoratori e abbiano un profilo attivo o su Facebook o su Twitter o su Instagram. Nell’analizzare come mai e con quali obiettivi i soggetti intendono modificare il loro atteggiamento online non viene preso in considerazione il tipo di lavoro esercitato, se un soggetto svolge un lavoro che gli consente di passare tanto tempo sui social è possibile che sia portato a voler diminuirne l’intensità di utilizzo (ex. custode) mentre chi svolge un lavoro che non gli permette di dedicarsi alla vita social voglia, al contrario, incrementarlo (ex. chirurgo).
  • campione → vengono presi in considerazione solo soggetti degli Stati Uniti, questo dato potrebbe essere maggiormente esemplificativo se si allargasse il raggio territoriale; come mai non vengono paragonati i comportamenti online di popoli diversi da quello americano, ad esempio prendendo come riferimento quello asiatico, africano o europeo?

Nell’articolo “Walk A Mile in Digital Shoes: The Impact of Embodied Perspective-Taking on The Reduction of Negative Stereotyping in Immersive Virtual Environments” di Yee e Bailenson alcuni studenti devono creare dei loro avatar anziani e interagire con un secondo gruppo, lo scopo è vedere se i loro pregiudizi sugli anziani, dopo questo esperimento, cambiano oppure no.
Criticità dello studio:

  • pregiudizio → per un esperimento sui pregiudizi e su come essi possano influenzare le interazioni, sarebbe stato più interessante prendere in considerazione stereotipi più accattivanti quali genere e razza piuttosto che l’età.
  • perché i soggetti dei due gruppi devono essere dello stesso sesso? Sarebbe interessanti vedere le reazioni che entrambi i sessi potrebbero avere. Il genere non dovrebbe essere un limite.

Nell’articolo “The Effect of Social Factors on User-Generated Content Productivity: Evidence from Flickr.com” di Hsiao e Wang si prende in considerazione la community di Flickr.com e viene studiato come gli utenti postino contenuti. Si individuano inoltre quali sono le variabili che influenzano il maggior o il minor apporto di materiale: interazione sociale, identità sociale e creazioni di legami all’interno della community.
Limiti dell’analisi:

· Ambiguità → mancanza di dati, non vengono esplicitate le community analizzate nè le variabili scelte.

· Letteratura→ sono presenti troppi riferimenti alle teorie passate, i social media sono una realtà nuova e sarebbe opportuno quando si sviluppano nuove indagini, fare sì riferimento alle teorie del passato, ma senza lasciarsi troppo influenzare da esse.

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