/mè·me/ ovunque

fabiana.totaro
Social Mustard
Published in
4 min readNov 19, 2015

Analisi di due memi-video

Meme: Evoluzione culturale= Gene: Genetica.

Il meme è un elemento di una cultura/civiltà che si auto propaga attraverso mezzi non genetici, spesso per imitazione.

La semplicità, ripetitività e il coinvolgimento della gente comune sono tra i principali aspetti che lo rendono un’unità di trasmissione martellante e insistente ma, allo stesso tempo, terribilmente effimero. La vita di un meme è breve: arriva, sconvolge e scompare con la nascita di un suo nuovo simile.

Ecco due esempi.

Un secchio, dell’acqua gelata e un dispositivo che permetta di registrare: sono questi gli ingredienti dell’#icebucketchallenge.

Il 2014 è stato anche questo; l’estate della secchiata ghiacciata.

L’iniziativa, promossa degli Stati Uniti per promuovere la ricerca sulla sclerosi multipla, si è trasformata in un vero e proprio meme virale.

Politici, celebrità, sportivi, personalità della musica, del cinema, dello spettacolo, ma anche milioni di comuni mortali hanno accettato e passato la sfida. Il contagio è stato letale grazie anche all'elevata semplicità, ripetitività, alta visibilità e immediatezza del fenomeno.

Partecipare è semplice (ma non per questo indolore): una volta chiamati in causa, un secchio d’acqua fredda con ghiaccio verrà rovesciato sulla testa della persona in sfida che, a sua volta, nominerà altri 3 conoscenti che dovranno fare lo stesso. Il tutto deve essere filmato ed effettuato entro le 24 ore dalla nomination, “pena” la donazione di 100 dollari come contributo per la ricerca.

Lo schema è il medesimo che, ripetuto ad oltranza, rende la “sfida del freddo” un tipico esempio di spreadability altamente partecipativo.

Il 23/08/2014 la Stampa parlava di 24 milioni di video realizzati: Bill Gates, Bush, Lady Gaga, Ronaldo, Valentino Rossi, Jovanotti, Katy Perry, Ben Affleck, Miley Cyrus, Andrea Bocelli, Justin Bieber, Beckham, Fiorello, Matteo Renzi, Jennifer Lopez, Shakira sono solo alcuni di protagonisti coinvolti che, oltre alla secchiata e lancio della sfida, hanno effettuato una donazione (che sia spontanea o come pegno in cambio di notorietà, è un altro discorso).

Patrick Steward personalizza il tutto e dopo aver firmato un assegno in assoluto silenzio, evolve in modo alternativo: il ghiaccio lo usa per il whisky.

In generale, il gesto è senza senso e diverte, due aspetti completamente slegati dal contesto in cui lo si vuole collocare. Come ogni campagna marketing, l’iniziativa è stata altamente criticata ma lo scopo è stato raggiunto: in Usa, le donazioni alla Asl Association sono quadruplicate superando i 30 milioni di dollari mentre in Italia si sono raggiunti i 35 mila euro i primi giorni arrivando a superare i 200 mila euro in tutto.

Un successo che non manca, ovviamente, di aspetti meno brillanti in quanto non vengono trattati temi legati alla Sla e l’iniziativa fa leva sulla spinta narcisistica della massa che aderisce più per divertirsi ed essere osservata che per una reale e sentita partecipazione,trasformando il gesto in una mera prova di resistenza priva di significato.

Come ogni boom che si rispetti l’#icebucketchallenge è stata tremendamente effimera: è arrivata come una vera e propria doccia fredda, ha invaso il web, contagiato la massa per poi, silenziosamente, abbandonare la scena.

Oggi, la Sla non ci tocca più, oggi si parla di Miss Italia e del suo 1942, ieri eravamo filantropi, qualche mese fa eravamo tutti storici. Domani?

L’inizio del 2014, invece, ci ha visti tutti come invincibili supereroi impegnati in una spietata guerra all'ultima goccia.

Come ogni boom che si rispetti, il format si ripropone sempre uguale: sfida, alcool e web sono i tre ingredienti necessari.

Arrivato in Italia sulla scia del social game australiano neknominate (neck allude al collo della bottiglia), il gioco consiste nel bere alla goccia una determinata quantità di alcool, tendenzialmente 66cl di birra, facendosi riprendere da una webcam o smartphone per poi postare il contenuto su un social network. Una volta terminato, è necessario nominare altri 3 amici che ripeteranno l’impresa e, nel caso di rifiuto o di fallimento, dovranno offrire da bere a chi ha lanciato la sfida.

Una vera e propria “catena di Sant’Antonio” che si è allargata a macchia d’olio, intasando i social network di ognuno di noi.

La possibilità di realizzare video amatoriali, l’essenzialità delle regole da seguire, l’alta visibilità, l’immediatezza di realizzazione, la ripetitività e la facilità di imitazione hanno creato un vero e proprio fenomeno da web.

Lo scopo? Non c’è. Probabilmente ciò che affascina è la possibilità di dimostrare, ad amici e non, che si è in grado di sfiorare il limite, di spingersi oltre e di riuscirci (in realtà qualcuno non è uscito indenne e qualcun altro non ne è proprio uscito trasformando il gioco in una sfida mortale).

Inutile dire che i rischi sono di gran lunga sottovalutati, catalogando il gioco come una bravata tra amici, un momento goliardico che si conclude spesso con un “sai fare di meglio?”, carattere tipicamente “memetico”.

Ciò che è certo è che dopo qualche mese, come prevedibile, la birra ha perso appeal lasciando spazio a numerosi altri trend, spesso sulla stessa lunghezza d’onda.

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