PER UN ESERCIZIO DI LETTURA CRITICA

Valentina Signò
Social Mustard
Published in
5 min readNov 10, 2015

Criticità metodologiche in cinque saggi accademici

PAPER 1:

“Do we look happy? Perceptions of romantic relationship quality on Facebook” (Emery L., Muise A., Alpert E., Le B.)

In questo saggio viene riportata una ricerca articolata in due studi, volta ad indagare come venga percepita dagli altri la qualità della relazione di coppia attraverso le informazioni riguardanti lo status affettivo di Facebook e la visibilità della relazione sul social.
In esso ho riscontrato, per ciascuno dei due studi, una criticità:
1) Nel primo studio il campione risulta essere troppo omogeneo. Sono state, infatti, prese in considerazione 108 coppie eterosessuali di una piccola università canadese. Solo studenti eterosessuali, dunque, di un certo livello culturale. Sarebbe stato interessante invece che, pur rimanendo in una fascia d’età giovane (dai 19 ai 31 anni), si comprendessero coppie di giovani lavoratori, coppie “miste” (uno studente e un lavoratore), così come sarebbe stato interessante non limitarsi alle coppie eterosessuali includendo anche quelle omosessuali;
2) Anche la scelta del campione del secondo studio pare critica. Sono stati somministrati dei questionari a studenti di un college statunitense in un’età dai 17 ai 22 anni sulla base di 24 profili Facebook di individui fidanzati, a loro insaputa costruiti dai ricercatori, al fine di capire quale fosse la percezione della qualità della relazione amorosa di un soggetto esterno che consulta il profilo social. A mio avviso i risultati potrebbero essere frutto di una rapida e poco interessata partecipazione alla ricerca, più o meno obbligata dal docente, in virtù di ottenere crediti formativi come, in effetti, la ricompensa per avervi preso parte prevedeva.

PAPER 2:

“The function of self-disclosure on social network sites: not only intimate, but also positive and entertaining self-disclosures increase the feeling of connection” (Utz S.)

Con questo saggio, la ricercatrice tedesca Sonja Utz, indaga il self-disclosure nei social, in Facebook in particolare, asserendo come uno svelamento di sé legato a eventi positivi e divertenti alimenta maggiormente il sentirsi connessi nel mondo aperto e pubblico dei social rispetto a un’auto-rivelazione molto intima che, tuttavia, permane rilevante per quanto concerne i messaggi privati di Facebook.
Nella ricerca effettuata mi sono parsi critici due aspetti:
1) L’eccessiva durata del questionario online somministrato tramite email a 151 studenti universitari in Germania. Esso, infatti, durava circa 57 minuti ed era di natura ripetitiva. La conseguenza è stata la drastica diminuzione del campione poiché di quei 151, soltanto 60 sono stati disposti a compilarlo fino alla fine. I dati rilevati dunque sono evidentemente più poveri del previsto (mancano quelli di ben 91 persone);
2) Per motivi di privacy non era obbligatorio allegare nel questionario il contenuto dei propri aggiornamenti di stato e dei messaggi privati. Nelle domande del questionario relative al contenuto dei post attraverso l’uso del differenziale semantico, quelle relative al numero di like e di commenti così come nel momento in cui si richiedeva quali di questi fossero attesi o inaspettati e l’effetto che faceva un dato messaggio privato nella sensazione di connessione con l’altro, era difficile capire se le risposte realmente corrispondessero al contenuto prodotto e postato e ai suoi apprezzamenti e percezioni avute.

PAPER 3:

“I would like to…, I shouldn’t…, I wish I…: exploring behavior-change goals for social networking sites” (Sleeper M., Acquisti A., Cranor L., Gage Kelley P., Munson S., Sadeh N.)

In quest’articolo si afferma come le persone non sempre sono soddisfatte dell’uso che fanno dei social network. Ci si propone, dunque, di indagare quali siano, in funzione dei tre principali social, Facebook, Twitter e Instagram, gli obiettivi che si pone chi è desideroso di cambiare il proprio comportamento nei confronti di un social, quali possano essere le difficoltà nel cambiamento e quali step permetterebbero di raggiungere lo scopo.
Gli aspetti critici di questa ricerca potrebbero essere:
1) L’effettiva importanza e motivazione attribuita all’obiettivo di behavior-change che ogni intervistato ha individuato. Il questionario parte subito chiedendo ai partecipanti di individuare un comportamento che vorrebbero modificare in un social senza prima indagare con domande esplorative le abitudini d’uso di quell’artefatto. In questo modo, si sarebbe potuto comprendere meglio se lo scopo previsto fosse davvero rilevante per l’intervistato;
2) La mancanza del passaggio all’azione: sarebbe stato interessante proseguire nell’indagine attraverso una ricerca qualitativa che confermasse o smentisse l’adozione del cambio di comportamento nella pratica quotidiana in cui si usa il social di riferimento. Forse i ricercatori ci hanno già pensato e a breve leggeremo un loro nuovo saggio che sia in grado di ampliare qualitativamente i loro studi.

PAPER 4:

“Walk a mile in digital shoes: the impact of embodied perspective-taking on the reduction of negative stereotyping in immersive virtual environments” (Yee N., Bailenson J.)

Il saggio indaga la tematica dello stereotipo legato in particolare alle considerazioni negative sulla vecchiaia da parte dei più giovani. Gli autori vedono negli ambienti immersivi digitali un’opportunità per la riduzione di idee stereotipiche, grazie alla possibilità di mettersi nei panni dell’altro oggetto di stereotipi negativi non solo idealmente, ma anche formalmente attraverso l’uso dell’avatar.
Contestualmente all’esperimento descritto, ho riscontrato un paio di problematiche:
1) Il soggetto si trova in una situazione artificiale costruita in laboratorio. Nella maggior parte dei casi egli potrebbe non sentirsi a suo agio e mancare di spontaneità in quello che gli viene richiesto di fare. Soprattutto nel momento della presa di confidenza col proprio avatar sarebbe stato meglio che i ricercatori avessero lasciato il partecipante libero di riconoscersi in una veste nuova ed esplorare lo spazio senza dargli subito ordini precisi di girarsi, di guardarsi allo specchio e di muovere la testa in varie direzioni chiedendo conferma di avvenuta azione.
L’impatto inconsapevole di vedersi diverso dal solito attraverso un’autonoma scoperta sarebbe stato, a mio avviso, di maggior rilievo;
2) La scarsa significatività dei risultati. Dopo l’esperienza immersiva, i partecipanti dovevano compilare un questionario diviso in tre parti comprendenti: l’associazione di parole legate alla vecchiaia, un vero o falso e l’interpretazione di una “storia ambigua”. Solamente nella prima parte ci sono stati dati significativi con parole più positive legate alla vecchiaia da parte di chi, nella stanza virtuale, ricopriva i panni di un avatar anziano. Una situazione questa, che già, a detta degli autori, si era verificata in studi precedenti sullo stereotipo che chiedevano idealmente a un soggetto di ricoprire la parte di chi lo subiva abitualmente.

PAPER 5:

“The effect of social factors on user-generated content productivity: evidence from Flickr.com” (Hsiao S., Wang Y.)

In questo breve saggio, gli autori si concentrano su quali possano essere i motivi per cui le persone costantemente producono contenuti digitali. Essi, facendo riferimento alle teorie sui social network e proponendosi di raccogliere dati dallo studio della community Flickr.com, prevedono che il confronto sociale, l’identità sociale e la forza del legame incrementerebbero la produzione del contenuto user-generated.
Dalla lettura del lavoro, emergono a mio avviso due criticità nel progetto di ricerca su Flickr.com:
1) Per poter osservare le dinamiche della community, i ricercatori richiederebbero ai partecipanti di aggiungerli ai contatti. Questo potrebbe condizionarli nelle loro attività nella community;
2) L’uso del questionario per indagare come gli utenti percepiscono il confronto sociale e l’identità sociale all’interno della community.

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