“SAI COSA TI SPALMI?”

fabiana.totaro
Social Mustard
Published in
4 min readOct 11, 2015

Analisi di un “behavior changing design”.

Che il nostro Smartphone sia tutto fuorchè un semplice aggeggio adibito a messaggi e chiamate è ormai appurato.
E’ diventato un amico, sempre accanto. Ci intrattiene nei momenti di noia, ci diverte, ci mette in contatto con gli altri nei modi più disparati, ci difende da eterni minuti di imbarazzo, quelli in cui non si sa più cosa dire, ci aiuta, ci cambia.
La tecnologia stravolge e ci assoggetta.
Si va in bagno con il telefono, lo si ricopre con apposite custodie per portarselo sott’acqua, in metropolitana non si scambiano sguardi ma messaggi e a tavola, spesso, diventa un bizzarro terzo incomodo di gran lunga ben voluto. L’elenco è quasi infinito, lo sappiamo bene.
L’aspetto più interessante è, però, il suo infilarsi nelle nostre abitudini per poi modificarle.
La doppia spunta blu su Whatsapp ne è un esempio. Sapere che un importante messaggio è stato letto senza aver ottenuto risposta è deleterio. Passiamo il tempo a controllare gli accessi, a formulare le ipotesi più assurde per entrare nella fase, si spera passeggera, di revisione della nostra opinione sul destinatario.
Gli esempi di “behavior changing design” sono inesauribili. Ce ne sono per tutti i gusti. Un’app immediata e fortemente intuitiva ci dice quante calorie introduciamo, un’altra quante ne smaltiamo con una passeggiata, corsa o pedalata. “acqualert” calcola il fabbisogno giornaliero di acqua e ci ricorda periodicamente di introdurla, “takwon” ci informa che il nostro cellulare sta emanando una quantità elevata di radiazioni, consigliandoci di ridurne l’utilizzo. E cosa dire dell’applicazione che contabilizza le nostre entrate/uscite economiche? E’ tutto registrato, ci spiattella ogni singolo extra e ci condiziona: forse, grazie a lei, le tentazioni dietro le vetrine restano tali.
Alla guida, il tradizionale navigatore è vintage. Con “waze” “unisci le tue forze a quelle degli altri automobilisti per condividere informazioni in tempo reale sul traffico e le condizioni stradali. Niente può competere con delle persone che collaborano insieme”.
Alla fine, con ogni app si condivide: il risultato di una camminata, di un’insalata in pausa pranzo, di una bottiglietta d’acqua introdotta, di una strada bloccata da un incidente e così via.
Perchè l’altro deve sapere, è giusto così.
Mai come ora la gente è attenta alla qualità dei prodotti che acquista.
Gli occhi di S. brillano quando mi parla della sua scoperta tecnologica. Da buona e fedele salutista è sempre molto attenta, oserei dire in modo quasi maniacale, a ciò che introduce nel suo corpo. E’ lei che mi ha presentato “edo”, l’app che ti dice cosa mangi e ti spiega quanto è sano il piatto che hai davanti o la cena che hai in programma di preparare. Davvero difficile da gestire per una buona forchetta.
E’ sempre grazie a lei che ho scoperto “biotiful”. Con una semplice scansione del codice a barre si viene a conoscenza di ciò che entra in contatto con la nostra pelle. E si va oltre ad una valutazione globale del prodotto in quanto ci mostra ogni singolo ingrediente contenuto e il suo relativo grado di nocività. L’analisi può partire anche da una ricerca per nome e marca o per componente, non ci sono scusanti.
Perchè se è vero che avere piena consapevolezza di ciò che mangiamo può costarci pesanti rinunce, scegliere prodotti di cosmesi più salutari comporta sacrifici sicuramente meno rilevanti.
Ho utilizzato in modo rigoroso l’applicazione. Ho passato il “biolettore” sui miei fedeli acquisti. Risultati traumatici.
Forse è meglio abbandonare il mio shampoo o presto saranno i capelli ad abbandonare me, lo struccante “delicato” per occhi in realtà è un subdolo nemico e la mia crema corpo è tutto fuorchè idratante e nutriente. E potrei andare avanti.
Mi sono rifugiata tra le corsie del reparto “cura della persona” e ho passato a setaccio ogni prodotto, alla ricerca di un valido sostituto. Nulla è come vogliono farci credere, ma probabilmente questo lo sapevamo già.
Forse ci si può disintossicare, forse si può cercare l’alternativa e decidere di optare per il meno peggio, ma non è facile liberarsi di “biotiful”. Perchè da’ dipendenza e ogni volta che si è in procinto di acquistare, il domandarsi “e se ci fosse qualcosa di meglio?” diventa spontaneo.
Ci condiziona, dirottiamo la nostra scelta e scegliamo di tutelarci. Ascoltiamo cosa ha da dirci: i suggerimenti, la classifica dei prodotti meno aggressivi, i consigli nella sezione “bioblog”.
E’ un “behavior changing design”, è palese, ed è social: c’è uno spirito di condivisione che va dall’ispezione del prodotto alla scoperta dell’alternativa, dalla segnalazione di imprecisioni di analisi all’esposizione di una classifica personale.
E alla modella che ci vuole convincere che il segreto della sua bellezza si trova nell’uso quotidiano di una crema piena di ciclopentasiloxane, vorremmo solo dire che non ci caschiamo più. (almeno in linea teorica).
Io comunque, nel dubbio, ho cambiato shampoo.

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