Un’estensione di noi stessi, oggi più che mai

Smartphone e App cambiano continuamente il nostro comportamento: come succede? L’esempio di Spotify

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C’era una volta…
Smarthpone, App, 4g, Sistemi operativi… mi fa sentire davvero vecchia pensare a quanto queste parole fossero estranee alla mia vita fino a pochi anni fa.
Quando frequentavo le elementari il Game Boy sembrava quasi arrivato dal futuro, e quello sguardo di disappunto con cui mio papà mi squadrava borbottando qualcosa sui suoi passatempi di bambino “di una volta” in fondo mi faceva sentire fiera, una vera bambina di mondo. E quindi mollami, che si sta evolvendo Charizard. Alla fine ha ceduto anche lui: dopo averlo sgamato mentre giocava con Spyro alle due di notte non ho più dovuto sorbirmi tiritere su quanto fosse entusiasmante sfidare gli amici con le macchinine.
Arrivano le medie, e con loro il leggendario 3310. Snake, squilli, SMS. Cambiare operatore per il fidanzatino che sta a Roma, perché se no mando la famiglia sul lastrico a forza di messaggi da 12 cent l’uno.
Arrivo al primo telefono a colori con il liceo, e fa anche le foto! Ogni dieci foto le devi cancellare tutte perché poi inizia a rompere, ché la memoria è piena, ma poco importa: ho un telefono che scatta fotografie, e mi sento potente.
L’anno dopo convinco mamma a comprarmi l’iPod. Sapevo che era una di quelle cose che devi proprio avere, ma in realtà non sapevo cosa lo rendesse così diverso dal lettore mp3 che avevo in tasca: forse in fondo era solo quella mela con il morso.

Il resto succede abbastanza in fretta: siamo nel 2007, il Milan vince la sua ultima Champions e l’azienda della mela con il morso si dà alla telefonia.
Il papà di un mio compagno gli porta in esclusiva dagli USA una cosa straordinaria, che lui nasconde in un buco creato su misura tra le pagine del vocabolario di greco e all'improvviso diventa il boss delle versioni.
Io ero ancora alla fase in cui mi sentivo un’hacker perché passavo le giornate su MSN, e internet sul telefono non era qualcosa di immaginabile.
Siamo nel 2007: un signore di nome Steve Jobs cambia il mondo.

Si inizia a parlare di smartphone, connessione dati, applicazioni.
È una corsa all'oro: tutti ne hanno uno, anche chi non può permetterselo.
Le nostre vite si rovesciano in quelle scatolette. Musica, email, messaggi, immagini, video, cronologia delle ricerche, Social Network.
Quello sguardo di disappunto che mio papà regalava al mio Game Boy ogni volta che se ne presentava l’occasione inizia a tornare su molti volti, e talvolta si trasforma in preoccupazione. Si pongono una serie di questioni legate sia all'uso di internet che alla sua onnipresenza resa possibile dagli smartphone. Privacy, cyberbullismo, ecommerce, pirateria digitale, identità online, realtà virtuale..

Di giorno in giorno questi nuovi dispositivi penetrano sempre più profondamente la nostra quotidianità.
Senza dubbio questo succede con la mia.
Pensando alle applicazioni che influenzano maggiormente la mia vita provo ad analizzare la mia giornata tipo.
Questa ha inizio quando spengo la sveglia sul telefono, poi un rapido sguardo alle previsioni meteo, per decidere cosa indossare. Il caffè, per ora, me lo faccio ancora da sola, ma nel frattempo controllo Facebook, email e notizie. A meno che non stia correndo per casa nel vano tentativo di recuperare il tempo perduto pigrando a letto, concedendomi quei famigerati «cinque minuti ancora» che poi diventano venti.
Mi lavo, mi vesto, raccolgo tutte le mie energie ed esco di casa: Google Now mi informa sui tempi di attesa dei mezzi che dovrò prendere e Facebook mi ricorda sadicamente che tre anni fa ero al mare.
Arriva il tram, salgo e lotto per conquistare il mio spazio vitale. Sancisco la mia vittoria quotidiana collegando gli auricolari al telefono e facendo partire la musica.
Nonostante sia l’alba, nonostante il pressing della massa di passeggeri, nonostante tre anni fa fossi al mare, mi piace molto questo piccolo rituale mattutino.

Nell'analisi di come le applicazioni influenzano la nostra vita mi soffermo su questo momento che spesso do per scontato.
Mi rendo conto di quanto invece sia importante, e ripetuto a volte piuttosto frequentemente nell'arco della giornata.
Metto gli auricolari, avvio Spotify, ed è come se dopo aver conquistato uno spazio fisico lo imbottissi di scatole di uova per insonorizzarlo.

Il design è immediato.
Eseguito il login posso scegliere se cercare determinate canzoni o artisti in particolare, ascoltare Playlist create da me oppure scoprire playlist nuove a seconda di diversi temi.
Frequenti notifiche mi informano sull’aggiornamento di playlist che mi interessano e sulle novità offerte dall’app.

Ok, ho scoperto che Spotify ricopre un ruolo importante nella mia quotidianità.
Ma come ha cambiato il mio comportamento?

Solo con Spotify ho accesso a una tale quantità di musica in streaming gratuitamente e, soprattutto, legalmente.
Non ho bisogno di scaricare le canzoni occupando memoria preziosa.
Ho una ragione in più per dipendere dal mio telefono, ma è una ragione molto più salutare di stalkeggiare la gente su Facebook.
Devo un grosso favore al mio operatore telefonico, che mi ha regalato un anno di Spotify Premium anche se non ho capito bene il motivo.
Ho imparato che mi piace il jazz. E che a volte calma i nervi meglio dello yoga.
Ho scoperto che al momento Justin Bieber è al primo posto della classifica mondiale come di quella italiana. E allora ciao a tutti, io mi infilo le cuffie e provo una nuova playlist jazz.

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