Emergenza social- Consigli per le istituzioni che usano i social media durante le crisi

giovanni arata
#SocialPA Magazine
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10 min readJan 18, 2016

[Documento preparatorio del report Emergenza social. Scritto di Arata G., Zanelli, L.]

Introduzione

I social media sono una componente ormai consolidata delle abitudini- e delle diete- informative di individui e organizzazioni. Le persone li impiegano a supporto della propria azione sociale in qualsiasi situazione della vita, dalla conversazione quotidiana, alla condivisione di informazioni testuali e visuali, fino all’organizzazione delle attività amicali, affettive, organizzative. Ed un discorso per certi versi analogo può essere fatto per le strutture associate, che riverberano online una porzione sempre maggiore delle loro attività specifiche, siano esse di natura squisitamente commerciale, promozionale o informativa.

Immagine tratta da http://goo.gl/6k3cZQ

Ma c’è di più: l’accresciuta capacità dei singoli di creare, distribuire e ricercare informazioni diventa essa stessa un fattore per le istituzioni, che vedono il proprio ruolo, le prerogative e le stesse modalità operative messe in discussione dal protagonismo digitale delle persone.
Lo scenario appena tratteggiato, valido di fatto in tutti i contesti organizzativi e sociali, riguarda anche la sfera della comunicazione d’emergenza. E lo interpella con tanto maggior vigore in virtù della natura tendenzialmente gerarchica e normata delle strutture, della divisione del lavoro e delle procedure che alla comunicazione d’emergenza presiedono.
Il presente documento ambisce ad offrire strumenti conoscitivi, esempi e indicazioni operative utili per le istituzioni che intendano affrontare in modo attivo e consapevole lo scenario testé descritto. Partendo dalla considerazione dell’ineluttabilità dell’attivismo informativo dei cittadini durante le crisi- e dalla potenziale utilità di parte di esso per lo svolgimento della missione istituzionale- il testo ricerca allora risposte teorico- pratiche alla domanda: come possono le istituzioni preposte alla comunicazione d’emergenza dialogare con i volontari digitali, organizzarli e piegare le loro azioni al migliore svolgimento della propria missione istituzionale? La struttura del testo riflette tale ambizione. Dopo una prima sezione dedicata alle definizioni ed alla descrizione puntuale dello scenario, la seconda offre un panorama il più possibile accurato intorno allo stato dell’arte dell’impiego dei social media da parte delle istituzioni preposte- ed accanto ad essi da parte dei volontari digitali- nelle situazioni di crisi, sulle diverse piattaforme. La terza e ultima sezione offre un set di indicazioni più prescrittive, quasi un vademecum, pensato per accompagnare le strutture nella gestione delle fasi pre, durante e post- crisi. Chiude il testo una bibliografia e sitografia dedicata.

Definizioni e contesto

I disastri sono definibili come situazioni in cui il tessuto sociale si disgrega diventando più o meno disfunzionale, con la conseguente ingenerazione di caos nella persone e nella comunità locale coinvolta [Britton, 1988; Fritz, 1961]. Ed è proprio in virtù di tale sfaldamento che le attività di informazione e comunicazione, già socialmente rilevanti in tempo di pace, divengono ancor più strategiche. Tanto per i singoli individui, i quali si rivolgono a media sociali e di massa per capire di più dell’accaduto, per avere/dare informazioni ai propri cari, per trovare rassicurazione emotiva. E così per le istituzioni, chiamate a offrire informazioni, soluzioni, rassicurazioni, coordinamento ed in generale a ridurre l’incertezza e l’ansia ingenerate dalla situazione critica. Il tutto mentre il dipanarsi del disastro rende spesso sommamente difficile lo svolgimento stesso delle attività di informazione.
A fronte di tale cornice, valida grossomodo per tutte le situazioni di emergenza, l’affermazione dei media digitali porta un elemento qualitativamente nuovo e pregno di conseguenze, che può essere definita come volontariato digitale. Come argomentato da Benkler [2007], infatti, l’affermarsi di internet va di pari passo con una rinnovata possibilità per gli individui/cittadini di esprimere, distribuire e far conoscere il proprio pensiero, tale possibilità va a modificare in modo sostantivo il perimetro delle attività di volontariato praticabili dai cittadini stessi, con conseguenze rilevanti per il ruolo e le operations delle stesse istituzioni. Mentre i volontari tradizionali, più o meno vincolati alla compresenza nel tempo e nello spazio di svolgimento del disastro, ricoprono un ruolo molto circoscritto rispetto all’informazione, alla rendicontazione ed alla progressiva ricostruzione di senso posteriore al disastro, i volontari digitali intervengono direttamente ed in tempo reale rispetto a tutte le dimensioni appena descritte, sovrapponendosi ed in alcuni casi addirittura sostituendo il ruolo di istituzioni non presenti o non altrettanto tempestive. Gli studi mostrano come gli impieghi più innovativi dei social media durante i disastri siano stati congegnati nella più parte dei casi da singoli individui, per poi essere fatti propri dalle istituzioni. In altre parole, durante le crisi i volontari digitali fanno emergere modi innovativi per raccogliere, condividere e far circolare l’informazione e le istituzioni si vedono in un certo senso “costrette” a rincorrere, provando ad ascoltare e incorporare le informazioni di merito e le pratiche informative ingenerate.
E le considerazioni appena svolte portano ad una riformulazione della domanda di ricerca iniziale. Che diventa: come possono le istituzioni sfruttare a proprio vantaggio le caratteristiche dell’ecosistema digitale emergente? Primo: che misure possono adottare per ascoltare, decodificare, filtrare, indirizzare e incorporare i flussi informativi ingenerati dai volontari digitali per espletare in modo efficace la propria funzione istituzionale? Secondo: come possono modificare le proprie linee di azione per distribuire informazione in modo efficace e sostenibile a pubblici iper- connessi e iper- esigenti come quelli contemporanei?
Va da sé che non si tratta di una questione meramente operativa, ma anzi sopra tutto di approccio: se da una parte resta ferma l’esigenza per le istituzioni di dare informazioni ufficiali e certe, dall’altra esse sono chiamate ad adottare un’attitudine dialogica e aperta ne i confronti di flussi informativi provenienti da soggetti terzi. Una parziale perdita di controllo che è necessaria per mantenere una organica capacità di indirizzo. Ed in assenza della quale le persone, semplicemente, andranno a reperire le informazioni altrove [si veda al proposito Hagar, 2013].

Lo stato dell’arte

I social media sono ormai parte integrante della dieta informativa di individui, grandi media e istituzioni durante i disastri. E questo sia nel mondo che nella stessa Italia.
A livello globale il primo evento di rilievo nel corso del quale i social hanno giocato un ruolo attivo è probabilmente costituito dal terremoto ad Haiti nel 2010. fin dai giorni immediatamente successivi al disastro, infatti, molte comunità in giro per il mondo si resero conto che non era necessario trovarsi ad Haiti fisicamente per fornire aiuto. Attraverso gruppi di lavoro costruiti già anni prima, come CrisisCamp e CrisisCommons, singoli individui, organizzazioni non- governative, governi, istituzioni e aziende private unirono i loro sforzi per raccogliere dati e riversarli in mappe dedicate. Queste mappe furono poi affidate al governo haitiano, alle istituzioni preposte alla gestione dell’emergenza ed allo stesso esercito statunitense, anch’esso presente sul posto. Il sistema trovò ulteriore consolidamento attraverso l’impiego di Ushaidi, il sistema di mapping distribuito che consente di integrare flussi social provenienti da fonti eterogenee e di indirizzare operazioni e reportistica a partire da essi.
Durante le alluvioni del 2011 negli stati australiani di Queensland e Victoria, d’altra parte, Facebook si affermò lo strumento primario di diffusione delle informazioni al pubblico. Nelle 24 ore successive agli eventi. il numero di “Mi piace” attribuiti alla pagina della Poilizia del Queensland salì da 17000 a oltre 100000. I media tradizionali, tra di essi la tv e la radio, facevano perno sulla pagina in questione per garantire i propri aggiornamenti.
A livello di adozione da parte delle istituzioni, la prima realtà a fare un uso organico dei social a livello interno e nella comunicazione con il pubblico è stata probabilmente la polizia di Londra, che ha impiegato massivamente i propri canali social, in modo ulteriore e complementare ai media classici, in occasione dei disordini del 2008 e poi del 2011. Un secondo episodio storico è stato il succitato terremoto di Haiti. E poi l’uragano Sandy del 2012, in occasione del quale le istituzioni preposte sulla costa Est degli Stati Uniti hanno iniziato a usare i social come spazio di dialogo primario con il pubblico. O ancora gli attacchi terroristici a Nairobi del 2013, quelli a Boston del 2014 e poi a Parigi del 2015.
Con riferimento all’Italia, il primo impiego su larga scala dei social media per l’informazione e il support post- disastro è probabilmente dato dall’alluvione in Liguria e basso Piemonte dell’autunno 2011, in occasione della quale un circuito di volontari digitali e operatori dell’informazione strutturati collaborò attivamente e intensamente per far circolare informazioni di servizio. Un secondo caso di scuola è dato dai terremoti che colpirono l’Emilia tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2012, ed in corrispondenza dei quali vi fu per la prima volta un più corposo ed attivo intervento nella copertura e ricostruzione informativa post- disastro da parte di istituzioni pubbliche, per lo più territoriali [comuni, province] o turistiche. Altri momenti di assoluto rilievo sono stati successivamente le alluvioni in Toscana [2012] ed in Sardegna [2013].

Consigli per la gestione della crisi

Veniamo ora alla parte di consigli e prescrizioni per le istituzioni che intendano interpretare attivamente il proprio ruolo all’interno dell’ecosistema digitale emergente. Le azioni suggerite vi sono suddivise in tre sotto-sezioni, analiticamente e operativamente distinte ma tra loro fortemente interrelate. Partiamo.

Prima del disastro

Le attività pre- disastro sono fondamentali e ineludibili per garantire un’adeguata copertura nelle fasi più critiche dei fenomeni. A mo’ di semplice elenco esse possono essere così sintetizzate:

  • Progettare e codificare una strategia di fondo e linee guida operative per la gestione della comunicazione durante le situazioni critiche, prestando particolare cura alla definizione degli attori deputati a esprimersi per conto dell’istituzione, nonché alla definizione di quali messaggi veicolare su quali piattaforme [c.d. divisione del lavoro social];
  • Coinvolgere nella progettazione i decisori e i tecnici apicali dell’istituzione, oltre naturalmente agli altri uffici dell’istituzione, così da tenerli “a bordo” e guadagnarne, per il possibile, il supporto rispetto al dispiegamento delle attività durante i disastri;
  • Identificare e codificare, nella misura del possibile, termini e parole chiave [i c.d. #hashtag] per la gestione dei singoli problemi e situazioni problematiche, diffondendo la conoscenza alla comunità locale ed agli altri operatori professionali;
  • Partecipare attivamente e pariteticamente alle conversazioni online, favorendo così la costruzione di una community intorno all’istituzione e favorendo il posizionamento dell’istituzione stessa come nodo credibile e rilevante dell’ecosistema digitale locale;
  • analizzare e misurare i comportamenti online di altre istituzioni e volontari digitali in occasione di disastri remoti nello spazio e nel tempo, ove possibile attraverso l’adozione e/o lo sviluppo di cruscotti di monitoraggio ad hoc.

Durante il disastro

  • Pubblicare informazioni e dati verificati con continuità e partendo, ove possibile, tempestivamente fin dallo scaturire dei fenomeni calamitosi;
  • identificare, contattare e coinvolgere i volontari digitali più rilevanti in termini di: conoscenza specifica, rilevanza e reach online, utilità;
  • Filtrare, verificare e ove utile ed opportuno rilanciare le informazioni provenienti da altri hub della rete online;
  • Adottare, moderare e ove possibile indirizzare lo sviluppo dei principali #hashtag impiegati dai volontari digitali nello svolgimento delle loro attività;
  • Armonizzare l’attività social con le altre attività digitali e non dell’istituzione. In particolare, curare e aggiornare una sezione [se possibile ad hoc] del sito istituzionale dell’ente. E distribuire i key facts distribuiti sui social anche con sistemi tipo SMS a tappeto, in grado di coprire per intero le celle interessate dalla situaizone di crisi;
  • analizzare e misurare i comportamenti online di altre istituzioni e volontari digitali durante lo svolgimento dei fenomeni, ove possibile attraverso l’adozione e/o lo sviluppo di cruscotti di monitoraggio ad hoc.

Post- disastro

  • Dar conto del processo di ricostruzione- materiale, informativa, economica- anche attraverso i media sociali, continuando a dar conto dell’istutuzione.
  • promuovere periodicamente esercitazioni e prove simulate di gestione delle situazioni di disastro social, ove utile impiegando account “gemelli” di quelli noti al pubblico, così da evitare cortocircuiti informativi nei bacini di attenzione principali;

Biblio e sitografia

http://blog.hootsuite.com/social-media-disaster-response/

http://newsroom.fb.com/news/2014/10/introducing-safety-check/

https://blog.twitter.com/2013/twitter-alerts-critical-information-when-you-need-it-most

http://www.adweek.com/socialtimes/social-media-impact-natural-disasters/497910

https://storify.com/mattiamarasco/comune-di-firenze-e-l-emergenza-neve

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giovanni arata
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Head of Communications Bologna Welcome, freelance researcher