Domenico Scrinsciolli

[Sogni sulle sedie]

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Sogni sulle sedie

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Domenico Scrinsciolli

Stava per salire le scale, lui che abitava al primo piano. Ma appena appoggiato il piede destro sul secondo gradino, dentro quel piede sentì una puntura netta e filata, come d’un chiodo di cristallo freddo, che lo bloccò per l’intero sistema nervoso, e perfino nel cervello si mosse qualcosa. Non poteva salire oltre, nemmeno al terzo gradino arrivava. Allora si trascinò fino alla porta dell’ascensore, lottando contro quel dolore sempre intenso, e alzò il braccio a sciacciare il bottone della chiamata.

Ma una corda con cappio scese a piombo dall’ultimo piano, il sedicesimo, e il cappio lo prese al collo, gli imbutò la gola e si strinse e strinse, e risalì nell’alto, risucchiato e rapido così com’era arrivato, e lo strascinò fin lassù, lasciandolo appeso e impiccato.

Domenico Scrinsciolli — l’abitante al primo piano, cinquantasette anni, architetto, vedovo, una figlia studentessa al terzo anno di agraria — lassù fra gli ingranaggi dell’ascensore vi rimase un mese e qualche giorno, fino a quando la corda si sciolse e lo fece nuovamente volare, giù in fondo all’atrio, un botto, una fracasso, davanti alla stessa porta d’ascensore, sfasciato e sfatto, spaccato nella testa e nelle gambe.

Tutti subito notarono il curioso particolare: non aveva più le scarpe.

Fu per questo che lo portarono accanto a una sedia.

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