Il sessagesimale e il duodecimale nei misteri caldei — prima parte

Roberto Becattini
Sotto il Tavolo
Published in
5 min readMay 3, 2018

Gabriele, mio padre, è un ex calciatore che aveva fatto una buona carriera in serie B, ma come allenatore fu un disastro.

Il suo primo e ultimo incarico nel 2003 sulla panchina della Coattese, squadra romana minore militante nella sesta divisione del calcio italiano, che all’epoca si chiamava Eccellenza. Durante una prima stagione di mediocre centro-classifica, Gabriele ebbe un’idea e riuscì a convincere la dirigenza.
Fu un lungo lavoro di scouting e ricerca di talenti, ma alla fine della seconda stagione, nella quale la Coattese evitò la retrocessione per un pelo, la nuova squadra era pronta. Vendettero quasi tutti e ci furono 20 nuovi arrivi, tutti giocatori di movimento, che avevano però qualcosa di speciale: erano 10 coppie di gemelli omozigoti.

Illustrazione di Mario Antonelli

La rosa era integrata poi da 6 ragazzi della vecchia squadra, 2 portieri e gli altri 4 che avevano accettato il ruolo di riserva.
L’ipotesi genetica su cui si basava papà era che, a differenza dei fratelli, i gemelli omozigoti che giocano a pallone sono di solito più o meno sullo stesso livello di bravura e giocano più o meno negli stessi ruoli. Ergo, tesserando 10 dei 20 gemelli e facendo giocare 45 minuti a ciascun gemello, nessuno si sarebbe accorto di niente. Si realizzava inoltre un risparmio notevole sugli stipendi, in quanto ogni coppia di gemelli veniva pagata come un solo giocatore; ma la cosa più importante, sia durante i singoli match che nell’arco della stagione, era il rendimento della squadra, che stroncava gli avversari sulla distanza. La Coattese giocava ogni partita in 20 + il portiere. Ognuno dei gemelli sputava sangue e dava l’anima sì, ma per 45 minuti. L’anima non sarà stata la stessa, ma il sangue sì. Molte partite furono vinte proprio nell’ultimo quarto d’ora o nei recuperi, grazie a questo stratagemma. Ne conseguì la promozione in serie D, una cavalcata trionfale che tuttavia attirò l’attenzione di un giornalista locale, un certo Maritozzi, che aveva anche lui un gemello, e che, dopo la visione del film di C. Nolan “The Prestige”, ebbe la stessa intuizione. In quel momento la Coattese era in testa alla classifica del suo girone, e un’altra promozione era all’orizzonte. Ma il Maritozzi, che si era sempre chiesto come una squadra di soli 16 elementi riuscisse a mantenere quell’intensità tutto l’anno, cominciò a indagare. Riuscì a farsi rivelare il segreto dal massaggiatore, dopo un’abbondante libagione alla hosteria Maria la Brutalona. C’era un campetto di periferia dove si allenava in incognito la seconda squadra, quella degli altri 10 gemelli. Ci mandò il suo gemello, abile paparazzo, proprio mentre lui intervistava Gabriele prima di una seduta con la prima squadra. Dopo la pubblicazione delle foto e la denuncia, la promozione fu revocata, la società fu spedita in terza categoria e mio padre fu radiato a vita dalla Federazione. Fu un caso di illecito sportivo di cui si parlò a lungo in Italia, che lanciò la carriera di Maritozzi come giornalista televisivo.

“Che storia!” sorrise Raffaele cispando il seno di Martina, la figlia dell’allenatore. Cosa quasi inevitabile, dato che era in costume da bagno e sorseggiavano entambi un mojito al Nano Verde in una giornata di fine estate che volgeva al disìo.

“Scommetto che non hai ascoltato molto” alluse Martina.

“Al contrario. Mi hai spoilerato The Prestige che non ho ancora visto…il tuo racconto però non depone molto a favore del tuo DNA. A questo punto non so se posso fidarmi di te. Tale padre…”

“Ma che dici? Non potrei aver preso da mia madre? I miei si sono separati per questa storia. Lui ci ha sempre tenuto all’oscuro di tutto, e quello che ti ho detto l’ho saputo nei minimi dettagli dai quotidiani sportivi. Abbiamo dovuto cambiare città per la vergogna. Io non sono come mio padre! Pensa che da piccola volevo giocare nella serie A femminile. Adesso per colpa sua odio questo sport!”

“Ok ok non ti arrabbiare, è che ci conosciamo solo da 3 ore. Però mi stai simpatica, e voglio rivelarti il segreto ugualmente. In fondo è un test. Se lo supererai…”

“Cosa? Quale segreto?” Martina si protese verso di lui.

Tre ore prima se ne stava a prendere il sole in compagnia del suo cane-fidanzato Harold, quando il tipo sembrò letteralmente comparire al suo fianco, abbordandola in modo perlomeno stravagante “Hai mai letto Cherubin, sul rapporto tra l’extradigitalismo e il genio?”
Istintivamente Martina aveva nascosto nella sabbia il suo piede destro, che aveva una piccola malformazione accanto all’alluce, una sorta di sesto dito abbozzato.

“Ehm, no. Chi è Cherubin?”

“Sono io” l’uomo si sedette e allungò sfacciatamente un piede, anch’esso con un’escrescenza proprio a ridosso delle cinque dita, più centrale rispetto a Martina “Ciao sono Raffaele” le tese la mano. Harold, di solito protettivo, stranamente scodinzolava festoso intorno al tizio.

“Raffaele Cherubin? Bè piacere, Martina Gabriele…” era un tipo strano, ma sorridente, sembrava molto sicuro di sè e aveva un fisico da nuotatore.
“E abbiamo qualcosa in comune…siamo due geni!” pensò Martina, già sfiorata dall’idea di mettere le corna ad Harold.

“Tanto non mi crederai” Il Cherubin appoggiò il Negroni sul tavolino (No, un momento, fino a un attimo fa aveva il Mojito! pensò Martina) per mostrarle una foto dal suo cellulare. C’erano sei dadi, ciascuno dei quali mostrava un disegno diverso. Da sinistra verso destra c’erano un hamburger, una cartella, una banana mezza sbucciata, una balena, una tazza fumante e un cuore.

“Ma che è sta’ roba?” chiese Martina.

“Allora…se tu guardi questa foto per un minuto stasera prima di addormentarti, domattina ti alzerai piena di energia, ma non solo…diventerai, diciamo, molto più produttiva, ma parecchio.”

“Cioè?”

“Farai molte cose in poco tempo. Ma come dice l’Uomo Ragno, attenta, da un grande potere deriva una grande responsabilità.”

Martina ormai si era convinta di aver incontrato l’ennesimo svalvolato, ma era anche un bell’attrezzo; gli diede comunque il suo numero e si fece mandare la foto dei dadi su whatsapp.

“Bè, Raffaele, vado a farmi un ultimo tuffo, vieni?”

“No grazie, adesso devo andare. Attenta, Harold sta scappando! Domani sera chiamami per dirmi come sta andando.”

Martina si girò per controllare, il cane stava sbavando come al solito al suo fianco “Bè, magari ci rivediamo, anche” ma Raffaele era sparito.

Quella notte, tornata a Firenze dal mare, gli mandò un messaggio ma lui non rispose. Esitò un po’ prima di andare a rivedere la foto.

La stanchezza accumulata alla fine si fece sentire e l’ultima cosa che vide furono proprio quei sei dadi. Si addormentò come un sasso col cellulare in mano. La notte sognò di essere una concorrente di Mai dire Banzai che doveva arrivare in cima a un pendìo ma veniva travolta da enormi dadi di gommapiuma.

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