Chapati sul pavimento e donne oltre la violenza
Pratica in attesa di Teoria
di Marzia Ravazzini
Membro del comitato esecutivo SOUQ — Centro Studi Sofferenza Urbana
Antefatto
La presentazione di questo Case Study fa parte della terza fase della ricerca più ampia “Domande e risposte di cura — percorsi di accesso alla cura per le persone vulnerabili della grande città”, le cui due precedenti sono state in parte pubblicate negli Annuari Souq scorsi.
Nel proseguire la ricerca, è stata scelta la megalopoli Mumbai1- Urbs Prima in India — in India, osservata da un luogo significativo: Dharavi, un agglomerato- villaggio — slum — o meglio neighbourhood2 di circa 2 milioni di abitanti.
Lo slum è paradigma della sofferenza urbana e della complessità del vivere in una grande metropoli, a partire dai vulnerabili che lo abitano.
Accenno al Contesto
Mumbai, Dharavi: Rajiv Gandhi Nagar
Siamo in India, nella città di Mumbai e più precisamente lo studio ha come terreno di ricerca lo slum più grande dell’Asia, Dharavi, al cui interno è stata frequentata l’area — beat — di Rajiv Gandhi Nagar, nella zona occidentale dello slum, vicino al deposito Deonar e il canale di scolo che limita lo slum.
Altro luogo indagato all’interno di Dharavi è l’ospedale pubblico Sion Chota, dell’ Urban Health Center (UHC) , gestito dalla Lokmanya Tilak Mumbai Municipal Corporation (LTMMC). LTMMC è un ospedale che opera nel settore terziario, specializzato nella salute materno infantile, al cui interno esiste un centro separato. Si segnala, inoltre, all’interno dello stesso ospedale la presenza di un dipartimento sociale, che aiuta le persone in caso di bisogno, al termine del colloquio coi dottori oppure le persone inviate da ONG e associazioni presenti nella comunità. Tra queste ultime lavora SNEHA, partner locale per la ricerca sul campo. SNEHA è un’organizzazione non-profit, laica, con sede a Mumbai, che si occupa della salute delle donne e della salute materno — infantile, per costruire comunità urbane sostenibili.
E’ in questa enorme città che l’indagine individua la popolazione vulnerabile, che si rintraccia non solo nell’immaginario, ma anche rispetto agli indicatori individuati in questo studio, negli abitanti dello slum — luogo incredibile e descritto come “ il più significativo e politicamente esplosivo dei problemi del prossimo secolo”3; in particolare abbiamo scelto Dharavi4, neighbourhood che sorge in una posizione centrale della città.
Il Piano Governativo del Settore Sociale,
Planning Commission of Government of India
La fase di ricerca in India è una spontanea evoluzione rispetto ai concetti di vulnerabilità, complessità e sofferenza urbana, con nessuna intenzione né pretesa di comparare i sistemi sanitari dei due diversi paesi (Italia-India).
Tenendo a mente questo inciso, però, riteniamo utile offrire qualche elemento del sistema sanitario indiano, o meglio alcune considerazioni che lo descrivono, per dover di contestualizzazione. E per farlo ci rivolgiamo al Piano governativo, Twelfth Five Year Plan (2012–2017) del Settore Sociale, curato dal Governo dell’India, e pubblicato nel 20135 .
Al momento della stesura, il Governo stesso descrive il proprio sistema sanitario come un mix di servizi di cura pubblici e privati; la rete dei servizi di cura, a livello primario, secondario e terziario, infatti, sono principalmente gestiti dallo Stato, che li offre gratuitamente oppure a basso costo. A questi, si affianca un ampio settore privato, che copre l’intera offerta dei servizi, a partire dai singoli medici e i loro ambulatori, fino agli ospedali generali e le cliniche super specializzate. Ancora, riportando le loro osservazioni, il suddetto documento segnala i seguenti punti deboli dell’offerta sanitaria:
1) La disponibilità (avaliability) dei servizi di assistenza sanitaria dal settore pubblico e privato presi nel loro insieme è quantitativamente inadeguata.
Questo risulta in modo assolutamente evidente dai dati relativi a medici e infermieri per 100.000 abitanti. All’avvio dell’ 11° Piano (di programma), il numero di medici per 100.000 abitanti era solo di 45, mentre il numero auspicato è di 85. Allo stesso modo, il numero di infermieri e di ausiliari e assistenti domicialiari era fermo a 75 per 100.000 abitanti mentre quello auspicato è di 255. La carenza complessiva è esacerbata da un’ampia variazione geografica di disponibilità nella diverse zone del paese. Le aree rurali sono servite in modo particolarmente scarso.
2) La qualità (quality) dei servizi di assistenza sanitaria varia considerevolmente sia nel settore pubblico che in quello privato. Molti professionisti che lavorano come medici (practitioners) nel settore privato di fatto non hanno la qualità di medici. Gli standard regolatori per ospedali pubblici e privati non sono definiti in modo adeguato e, in ogni caso, non sono messi in atto in modo efficace.
3) La sostenibilità (affordability) dell’assistenza sanitaria è un problema serio per la vasta maggioranza della popolazione, soprattutto nella cura terziaria (tertiary)
La carenza di servizi sanitari pubblici finanziati in modo ampio e adeguato costringe un elevato numero di persone a sostenere direttamente (out of pocket) i costi elevati di servizi sanitari acquistati nel settore privato.
I costi a carico dei cittadini (out of pocket) sono aumentati persino negli ospedali pubblici, visto che la carenza di farmaci obbliga i pazienti a doverli acquistare. Questo comporta un carico molto pesante a livello finanziario per le famiglie nei casi di malattie complesse (severe illness).
Un’ampia porzione dei costi sostenuti direttamente dai cittadini è causata dalle outpatient care e dell’acquisto di farmaci, in gran parte non coperti nemmeno dalle coperture assicurative già in vigore. La percentuale della popolazione coperta da assicurazione sanitaria è comunque limitata.
4) I problemi fin qui esposti probabilmente peggioreranno in future. I costi per l’assistenza sanitaria sono destinati ad aumentare perché, a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, un’ampia fetta della popolazione sarà esposta a malattie croniche non trasmissibili (Non Communicable Diseases — NCDs), che normalmente richiedono un trattamento costoso.
Anche la sensibilità pubblica della possibilità di trattamento sta aumentando e, di conseguenza, aumenta la domanda di cura.
Negli anni a venire, esplicita ancora il programma, l’India dovrà affrontare problemi sanitari che riflettono il doppio peso — dual burder — della malattia, cioè: affrontare l’aumento dei costi della gestione delle NCDs e delle lesioni e allo stesso tempo combattere le malattie trasmissibili, che rimangono tuttora una sfida per la sanità pubblica, sia in termini di mortalità che di disabilità.
La spesa totale sanitaria in India, sommando pubblico, privato e costi sostenuti dalle famiglie, è stata di circa il 4,1% del PIL nel 2008–2009 (National Health Accounts [NHA] 2009), che è ampiamente paragonabile ad altri paesi in via di sviluppo con lo stesso livello di reddito pro-capite.
La spesa sanitaria pubblica è stata solo intorno al 27% del totale nel 2008–09 (NHA, 2009), che è comunque molto basso rispetto a qualsiasi standard.
La spesa pubblica sulla core health (sia programmata che non-programmata e prendendo il livello federale e dei singoli stati) è stata di circa lo 0,93% del PIL nel 2007–08.
È stata aumentata all’ 1,04% nel 2011–2012. Ma deve aumentare molto di più nel prossimo decennio.
L’enormità della sfida nella sanità è stata compresa nella formulazione l’11° Programma ed è stato compiuto uno sforzo per aumentare il Programma Centrale di spesa per la sanità. L’incremento delle spese a livello di governo centrale non ha comportato un aumento corrispondente nelle spese dei singoli Stati. Il 12° Programma propone l’adozione di misure correttive incentivando gli Stati.
Tra le diverse offerte dei servizi socio-sanitari del settore (tertiary), partner collaborativo di questa ricerca è la sopracitata ONG SNEHA.
SNEHA è un’organizzazione non-profit, laica — sostenuta da UCL Londra e Wellcome Trust — con sede a Mumbai, che investe nella salute delle donne perché lo ritiene essenziale per costruire comunità urbane sostenibili.
L’organizzazione ha per obiettivo 4 grandi settori della sanità pubblica: salute materna e neonatale, salute dell’infanzia e nutrizione, salute riproduttiva e sessuale, prevenzione della violenza contro donne e bambini.
L’approccio di SNEHA è doppio: riconosce che per migliorare gli standard della salute urbana le sue iniziative devono mirare sia a chi richiede assistenza (care seekers) che a chi la offre (care providers).
SNEHA lavora a livello delle comunità per permettere alle donne e alle comunità degli slum di essere protagonisti del cambiamento dei loro stessi diritti e collaborare con i sistemi di sanità pubblica esistenti e i soggetti erogatori di prestazioni a creare miglioramenti sostenibili nella salute urbana.
Nel momento del rilevamento, in accordo con gli operatori socio- sanitari, ci rechiamo in ore diurne in famiglie che abitano l’area , e queste possono essere già conosciute da SNEHA o anche nuove, idonee quindi al rilevamento per il censimento di SNEHA e per la nostra raccolta dati.
Una piccola nota va inserita per comprendere poi la lettura dei dati: le homevisits all’interno dello slum avvengono spesso in maniera collettiva; la ricercatrice e la traduttrice, sempre accompagnate, seguono gli operatori — di solito due, si muovono a coppia — dell’ ONG SNEHA, e somministrano il questionario all’interno delle abitazioni, oppure anche lungo i piccoli vicoli tra le case strette del quartiere.
Durante il giorno lo slum è un mondo femminile, abitato e vissuto dai colori delle donne, dai profumi del bucato, dei lavori di casa e delle grida dei bambini. Gli uomini sono fuori in cerca di occupazione o per il loro stesso impiego, per cui le condizioni sono opportune per un tempo rilassato di narrazione ed ascolto.
“ Chapati sul pavimento e donne oltre la violenza.”
Case Study
In politics we will be recognizing the principle of one man one vote and one vote one value. In our social and economic life, we shall, by reason of our social and economic structure, continue to deny the principle of one man one value. How long shall we continue to live this life of contradictions? B. K. AMBEDKAR, 1949
Nel 2008 Mumbai ha raggiunto gli standards abitativi di Los Angeles, se consideriamo, in sintesi, che l’uomo più ricco del mondo vi ha costruito per sé la casa più ricca del mondo. Da allora ad oggi, Mumbai è diventata sempre più una città globale, esattamente come le altre megalopoli. Oggi, ad esempio, i ricchi possono ordinare un viaggio in limousine dagli appartamenti firmati Philippe Starck6,
alle boutiques di Versace, per poi recarsi in un ristorante fronte-mare a mangiare un ottimo sushi, attraversando un bellissimo e leggero ponte sospeso sull’oceano. Appena si arriva a Mumbai, oggi, si può percorrere un’autostrada superelevata, circondata da palmeti verdi, che unisce il centro città al nuovissimo aereoporto internazionale definito “ la più bella costruzione della città costruita da dopo l’indipendenza” dal ministro Praful Patel, dichiarandolo nell’ inaugurazione del 2014. Ma se si guarda appena giù, da questa stessa superelevata, qualsiasi viaggiatore può vedere lo slum Annawadi, che letteralmente significa “ bottiglie vuote gettate via”.
Nonostante la crescita economica indiana, più del 40% dei residenti di Mumbai vive in abitati chiamati slum, come Annawadi e come Dharavi, al cui interno vivono i marginali, che qui si sono uniti e definiti slum dwellers 7 e che, come in altre città indiane, raramente vengono considerati poveri da parte del governo indiano. Nelle statistiche, infatti, loro sono tra le centinaia di milioni di indiani che sono usciti dalla povertà dall’inizio della liberalizzazione economica (dal 1981)8.
La scrittrice statunitense Katherine Boo, premio Pulitzer (2000)9, ha trascorso più di tre anni documentando la vita di un piccolo angolo di un vasto continente e nel suo lavoro, schietto e scomodo, chiede continuamente di mettersi nelle parole e nei panni dei poveri. Le pressioni da lei ben raccontate, sono le stesse ascoltate in Dharavi, come in altre città del mondo, e sono di chi lotta ogni giorno: dove posso recuperare il mio documento d’identità? Come posso essere sicuro che la mia baracca non venga abbattuta da una ruspa del governo o delle autorità di qualche corporazione interessata a quella parte di terreno? Come posso garantire un’educazione sicura e offrire buone opportunità di formazione ai miei bambini? Dove posso assicurarmi un lavoro stabile? Come posso passare dal mio cellulare base ad uno smartphone? Come posso — sognando — permettermi una due — ruote, magari? Ma nel frattempo, come posso evitarmi un’infezione dall’acqua che bevo, che mi porterebbe ad un ospedale pubblico dove forse non hanno né medicine né cibo? E come posso, ancora, evitare di imbattermi in autorità o poliziotti che approfittano di me perché sanno che ho poche possibilità di riscatto?
Visioni contrastanti e domande come queste sono il perenne materiale documentato nelle narrative, continuamente sollecitato dai forti contrasti di Mumbai, dove la ricchezza dei Malls si affianca spudoratamente la povertà di un gruppo di donne migranti che intrecciano paglia per cestini al bordo strada.
E non è sufficiente pensare che questa sia la vita dei residenti dello slum e lo resterà per sempre. Sarebbe come immobilizzare la loro esistenza e considerarli sempre “altro da noi”, come li rappresenta il film Slumdog Millionaire 10.
La sensazione di situazione permanente, immodificabile — perché tanto complessa o addirittura perché giustificata culturalmente (per alcuni attraverso il sistema delle caste) — la si prova continuamente e affianca tutto il lavoro di ricerca, offrendo anche momenti di sconforto e di fatica emotiva. In realtà la situazione che appare pesantemente fissa e lontana da tutto, è molto dipendente ed influenzata dalle dinamiche del mercato globale internazionale.
I ritratti di chi vive in questi luoghi sono rappresentativi della “cultura dell’altro” 11 lontana da noi; ma credere che questi stessi luoghi contengano solo povertà, sofferenza e deprivazione, è un modo semplicistico di ridurre le loro vite a vite diverse dalle nostre. E’ una semplificazione che de- umanizza, e che non rende giustizia alla dignità delle persone, e alla complessità della struttura di queste comunità.
La crescita economica dell’India è stata definita dagli economisti come precoce, ossia rapida in certi settori, ma non in quelli che generano lavoro. Quasi nessuno all’interno di Dharavi ha un lavoro a tempo indeterminato, o un’assicurazione privata, o pensioni che il lavoro indeterminato concede. Un piccolo errore, o un po’ di sfortuna, o ancora l’invidia di un vicino di baracca può distruggere il lavoro duro di una vita.
La precarietà della condizione di vulnerabili è ben descritta da un ragazzino che incontro mentre sorseggia il thè col latte: “ una vita decente è il treno che non ti ha colpito, il capo dello slum che non hai offeso, e la malaria che non hai contratto” . Negli ultimi anni, poi, la precaria esistenza degli slum dwellers è diventata ancora più fragile rispetto alla volatilità dei mercati globali.
Davvero quello che accade nella finanza a New York o a Londra, lontani a distanze oceaniche, può rapidamente annullare la dignità di un ragazzino di 12 anni che raccoglie la pattumiera vicino all’aeroporto e che — come suggerito in uno spettacolo teatrale — racconta:
“ tutti continuano a dire Wall Street , tutti dicono il crollo a Wall Street…e io, da qui, posso dirvi cosa davvero cambia con queste parole: un chilo di bottiglie vuote che poche settimane fa valeva 25 rupie, oggi ne vale 1012.
Quello che è particolarmente affascinate nell’incontro con queste persone dello slum, è l’ingenuità ricca di speranza, mista a rassegnazione con cui le persone vivono nell’instabilità e all’interno di un sistema spietato. Vendere salmosas sul pavimento vicino a una pompa di benzina, raccogliere ogni giorno la spazzatura in strada, stare in piedi giornate interne ad aspettare di essere chiamati per un lavoro, mentre tossiscono e sputano la tubercolosi al passaggio dei tir: per loro è un provarci ancora e sempre, perché magari qualcosa potrà succedere e alla fine funzionerà, con la consapevolezza di una madre, che saggiamente afferma:
“ sì, vero, anche se il mondo non è in nostro favore”.
Con queste emozioni nel corpo e nella testa affronto una giornata a casa di Shahinsha.
Ho già conosciuto suo figlio maggiore, e so dove abitano, conosco la porta di legno scuro che col lucchetto all’esterno è l’accesso al suo mondo. Le persone qui non si chiudono quando sono dentro, il lucchetto resta fuori per quando lasci casa e sei lontano. E’ la seconda strada sulla destra, all’ inizio di una via cieca che con un’altra stradina a gomito, si affaccia sulla piazzetta di Rajiv Gandhi Nagar. La riconosco perché è dipinta di un rosa acceso, e ha le piastrelle sul pavimento.
E’ mattina, Shahinsha mi aspetta con gli occhi scuri e rotondi e una bocca larga aperta al sorriso; è seduta per terra, assieme a sua madre Saida. I suoi bambini, due maschi di 14 e 11 anni, frequentano la MPES High School, una scuola governativa d’inglese, e rispettivamente sognano di diventare ingegnere di computer e pilota d’aereo.
“ Bene che i ragazzi siano a scuola: escono alle 7.00 per iniziare le lezioni alle 7.30, poi alle 13.30 saranno di ritorno …così — dice — abbiamo tempo per fare le nostre chiacchiere tra donne”.
La sua voce è fonda, il tono alto e deciso. Ha insistito perché scegliessi lei in questa lunga giornata da passare insieme, perché confessa di aver voglia di conoscere altri modi di pensare. L’ospitalità in India è sacra, e mentre si premura di offrirmi qualcosa, cucina cipolle al fuoco, mi porta un piatto con green chilly e lime, pomodoro tagliato e cocomero con prezzemolo e cerca una bibita fresca nel suo frigorifero.
La casa di Shahinsha — qui si chiamano chawl13 è una delle migliori che io abbia visitato in questi mesi: composta da un’unica stanza, suddivisa in tre spazi: uno è la sala principale, con un armadio, la televisione e anche il frigorifero di un azzurro acceso degli anni ’70, due mensole cariche di ogni cosa, e un piccolo soppalco — il secondo spazio grande circa 3 m per 2 — che si affaccia e lascia intravedere le stuoie e le coperte per la notte; il terzo spazio, separato da una tendina scostata di lato, è la cucina col fornello e tutte le stoviglie infilate nelle mensole di alluminio; in questo stesso spazio, grande circa 1 metro per 3.5 m, in posizione angolare è ricavato lo spazio doccia/ luogo per lavarsi e lavare ( ha, infatti, un buco come scolo da cui l’acqua può uscire sulla strada).
Il profumo di cipolla si espande in tutta la casa ed io — come sempre — lacrimo un po’ per l’effetto del vegetale sui miei occhi. Saida mi prende lentamente un fazzoletto e me lo porge, non capisce l’inglese, ma le lacrime sì. In un lento marathi racconta che da ormai cinque anni è vedova, suo marito è morto per un male ai reni ed era diabetico; ha avuto quattro figli, ma ne sono rimasti tre: Shahinsha, un’altra figlia e un figlio maschio con cui lei da due anni abitava nello slum a Naik Nagar. A lei piaceva di più là, c’era più spazio e non era come qui, senza fornitura d’acqua e con il grande problema dei bagni pubblici14.
Commenta allo stesso modo il giornalista Suketu Mehta, spiegando che a Mumbai le donne devono liberarsi tra le due e le cinque del mattino, perché sono gli unici momenti in cui possono trovare un po’ di intimità, fuori nei campi aperti, perché i gabinetti pubblici raramente rappresentano una soluzione perché sono quasi sempre fuori servizio.
Poi però tornando allo slum di Naik Nagar la nonna Saida dice che è stato demolito e così, proseguendo il racconto, il figlio è tornato al paese della moglie, in campagna, e lei ha deciso di affittarsi una baracca qui, vicino alle figlie.
“Sono sola”, dice muovendo le labbra tremule “e senza pensione”;
ogni tanto svolge a fatica qualche lavoro domestico per conto di altri, attraverso il passaparola, e riesce a coprire il suo affitto di 1500 rupie15.
Mentre parla entra la nipotina, figlia della sorella di Shahinsha: ha trecce lunghe e nere raccolte in codine laterali, è bellissima con gli occhi luminosi; la nonna offre alla nipotina i soybean serviti con pomodoro cipolla e chilly, e la piccola assaggia, mentre la nonna no, perché in questa casa mangiano troppo speziato per lei.
Il ventilatore è spento, e dalla porta d’ingresso entra un filo d’aria. Finito di mangiare la nipotina esce e trona a casa dalla mamma. E’ una giornata fresca, ma poi si riscalderà e allora dovremmo per forza accendere. L’umido di adesso — precisa Shahinsha mentre si asciuga i volto davanti al fornello — non è niente in confronto alla stagione delle piogge.
“ Lì tutto è appiccicoso, e non si riesce nemmeno a camminare”
interviene la nonna, che ha voglia di raccontare la sua storia. Quando lei parla, la figlia resta in silenzio e continua a lavorare in cucina: suggerisco a Shahinsha di sedersi con noi, ma lei mi dice che vuole prepararmi un buon pranzo.
La nonna chiede della mia famiglia e della mia casa a Mumbai; appena sente nominare la zona di Bandra, dove in questi mesi abito con la mia famiglia, si stringe al mio braccio e dice con commozione:
“anche io abitavo lì. Sono originaria di un villaggio rurale, in campagna, poi dopo il matrimonio ci siamo spostati a Mumbai, e mio marito ha iniziato un’attività in proprio, aveva un negozio di scarpe”.
Sono molti i giovani lavoratori che si muovono in cerca di opportunità a Mumbai, ed è un po’ questa la storia dell’urbanizzazione forte che negli anni ha caratterizzato la città. I 20 milioni della Great Mumbai ormai sono conosciuti, ma la caratteristica nei secoli è stata proprio la migrazione interna da parte della popolazione povera rurale che veniva in città in cerca di lavoro; si può certamente affermare che questo accade ancora oggi, ogni giorno, e per questo è stata definita “a fast moving city”16 .
Il negozio andava bene, continua Saida, e noi stavamo bene. Ho avuto 4 figli, ma uno poi è morto giovane, per una grave forma di tubercolosi, e così me ne sono rimasti tre. La vita in città era migliore, confessa la nonna:
“…e vorrei anche dirti che io ho insistito tanto per venire a vivere qui. Al paese non avevamo una nostra casa, stavo con la famiglia di mio marito, e in una parola, dovevo fare tutto quello che mi dicevano. Ero giovane, e non sapevo — e non potevo — dire di no. Ho visto brutte situazioni, e mi ci sono trovata dentro anche, perché certe cose non si possono cambiare. Lavoravo tanto e per tutti, e poi dovevo anche essere gentile e sorridente. E quando alla sera, col buio nero, sentivo il padre di mio marito picchiare sua moglie, io non riuscivo a dormire. La mattina poi, in silenzio, dovevo far finta di niente, e subire l’arrabbiatura di mia suocera verso di me”.
La città, quindi, è stata anche una fuga, verso un’idea differente di vita e di famiglia. Saida parla a bassa voce e dice che lei non voleva proprio continuare a vivere così, e suo marito l’ha compreso:
“ sognavamo qualcosa di diverso per noi e i nostri figli” commenta e poi: “ tutto mi ricordava il mio piccolo che ci aveva lasciato e non volevo starci più”.
A Bandra, però, ora ci va per fare le pulizie in casa di persone altolocate:
“ con il risciò ci metterei mezz’ora, mentre con l’autobus molto di più, a volte anche un’ora, ma non posso permettermi altro. Noi non abbiamo nessun mezzo di trasporto e questa città è sempre trafficata”.
Il traffico e l’inquinamento sono un’altra caratteristica di Mumbai e dello stile di vita che offre ai suoi abitanti. Vivere a Mumbai è un’esperienza che attiva tutti i sensi ed è molto faticoso: la grande quantità di gente dovunque, il rumore per strada, la calca sui mezzi pubblici e i treni in particolare, le stazioni così piene di gente di ogni sorta, l’aria densa di profumi e carica di inquinamento, e la vista, sollecitata dai colori e dalle mille differenze e contraddizioni. Tutto questo, e l’inquinamento, in particolare, si sentono addosso, sulla pelle e nella mente, e aggiunge una nota di stress, che rende faticoso arrivare a fine giornata e poco salubre la propria esistenza17..
Rispondo alla nonna, dicendole che più volte mi sono sentita privilegiata a vivere in quella zona della città, a due passi dall’ Oceano, con la possibilità — e diventata spesso necessità — di prendere aria, di rinfrescare la mente e camminare lungo la promenade, la passeggiata curata dagli abitanti del quartiere, chiusa al traffico — anche alle biciclette — per poter alzare lo sguardo e vedere il cielo e il mare.
Saida la conosce bene, e dice che è stata lì a passeggiare con suo marito, qualche volta, quando i bambini erano piccoli. Ora non ci va più, e i suoi ricordi le fanno compagnia. Hanno dovuto lasciare Bandra quando il negozio di scarpe è fallito; non ha rimpianti, dice, il marito è riuscito ad affrontare le perdite economiche, i debiti, ed il passaggio di “status” ma aggiunge:
“ la nostra vita non è mai stata più la stessa”.
Cade un cucchiaio, il silenzio si rompe e Shahinsha porta l’impasto dei chapati:
“ farina, olio d’oliva, sale e un po’ di acqua per unire gli ingredienti… questa è la base, e poi “ dice: “ quando li servi, i chapati accompagnano tutte le pietanze, di carne, di pesce, di vegetali…e vanno gustati con le mani “.
La nonna si avvicina alla tovaglia di plastica stesa sul pavimento: le piccole palline d’impasto prese dal frigo vanno stese con le mani, e tutte noi ci mettiamo all’opera, traduttrice compresa. Le movenze delle nonne sono sempre le più pulite, senza sorta di indecisione né correzione, sanno come muoversi ed il risultato — almeno in cucina — è sempre il migliore. Saida è veloce, e riesce a non far andare in giro nemmeno un briciolo di farina.
Mi vengono in mente le sue parole precedenti, quando nel descrivere il loro cambio di vita, da Bandra sono finiti in uno slum e lei ha cominciato a contare i soldi per fare la spesa con attenzione. A questa quotidiana fatica economica, oggi, si aggiunge la solitudine e il disagio dell’acqua e del bagno che non c’è, e ancora, la promiscuità del luogo, con la violenza che lo abita.
Affronto il discorso con la nonna, e lei afferma che è molto preoccupata per le bimbe della sua seconda figlia e i ragazzi di Shahinsha.
Shahinsha finalmente si siede. Ha ascoltato tutto, e con fare un po’ sbrigativo, dice che comunque sia andata, la loro vita è stata buona: lei non ha vissuto in prima persona la violenza domestica, il suo papà è sempre stato buono con la moglie e con le sue figlie femmine. Ricorda benissimo di quando si è innamorata di suo marito, e che ha potuto dirlo in casa ed essere ascoltata da entrambi i genitori.
“ Siamo musulmani, e per noi è un privilegio sposarsi per amore: ho conosciuto mio marito sul posto di lavoro, io lavoravo al 5 piano, e lui al secondo, ma l‘ascensore era uno solo, e così dopo tre mesi di fidanzamento, ci siamo sposati, ormai 14 anni fa”.
Dopo il primo figlio, Shahinsha non è più tornata al suo lavoro impiegatizio, faceva i conti per un’azienda, ma ha continuato a leggere e a studiare a casa, perchè il suo sogno era fare l’insegnante. Il marito pensava a lei e a tutto quello che serviva in famiglia e preferiva che lei stesse a casa a curare i bambini:
“ è andato bene così, era sufficiente per noi”, dice sicura, e continua: “ Oggi viviamo con circa 18.000–20.000 rupie (250–270 euro) al mese e le spese sono tante: l’affitto della casa è 4000, l’elettricità circa 2000 — anche se ci appoggiamo e la “rubiamo” dobbiamo pagare ad uno dello slum — per accedere all’acqua 500 rupie, e di cibo consumiamo circa 10.000 rupie al mese…poi i bagni pubblici, sono a pagamento, ogni volta che si va sono 2 rupie a persona”.
“ Non è facile, anzi ora é ancora più difficile” confessa con il viso stanco:
“ Bhabhi, 18 mio marito non lavora da qualche mese, e manca da casa da due mesi per farsi curare, ospite a Delhi da un parente lontano. Gli hanno fatto una diagnosi, cancro alla bocca, e dovrebbe essere operato, ma non abbiamo i soldi; prima ci hanno detto circa 26.000 rupie (circa 353 euro) per l’intervento chirurgico, poi siamo andati al Tata Cancer Hospital e lì la somma è cresciuta, 500.000 rupie (circa 6775 euro) più la chemioterapia e le medicine”.
Il marito è giovane, ha 32 anni, prosegue Shahinsha nel racconto, ma fumo e alcool hanno peggiorato la sua situazione, e sono preoccupati perché fa fatica anche a mangiare, la guancia è sempre gonfia e sente dolore.
Mentre racconta si alza, prende da una scatola un quadernino e poi viene a sedersi accanto. Con un sorriso grande, mi mostra le foto del matrimonio: lei è bellissima, giovane e con uno sguardo appagato, vestita di rosso e oro, tutta ricoperta di henné sulle mani e sulle braccia i capelli raccolti con la coroncina e collane dappertutto e di varie lunghezze. Si sono sposati a Dharavi, e come si fa qui, la festa dura una settimana con musica e danze e parenti e amici che vengono da tutte le parti del paese. Era il 4 Dicembre del 2001.
La tenda fiorita della porta d’ingresso si sposta, e arriva a casa il figlio più grande. La nonna prepara il cibo per lui, che mangerà assieme alla nipotina e al secondo fratello, arrivato poco dopo. Non hanno televisione, né il cavo per collegarsi, e così improvvisiamo una lezione di inglese/ marathi/ e italiano mentre la mamma si lava e si cambia di abito. Conosce l’Italia perché il figlio maggiore ama lo sport e il calcio, mentre il secondo apprezza il cricket e il basketball. Il tempo sembra non passare, la luce del sole non riesce a filtrare e quindi il neon acceso non permette di capire il passare delle ore nella giornata.
Tutto sembra immobile, la nonna si sdraia e dorme, la nipotina gioca con il pulcino dipinto di rosa fucsia nello scatolone di cartone, e i due fratelli vanno fuori in cerca di amici: si ha quasi la sensazione di pace e di luogo protetto, in contrasto con quanto viene descritto e si legge circa la vita all’interno degli slum.
Shahinsha torna dalla preghiera, sono le 15.50 e le domando come si senta a stare da sola, senza suo marito per così tanto tempo. Lei non risponde, e comincia a farmi domande sulla mia famiglia, sul mio lavoro e su come le donne possono fare in Occidente. Lei è sempre stata indipendente, ma la famiglia e le condizioni in cui vivono la limitano. Racconta che dopo qualche anno, ha conosciuto l’ong SNEHA, e attraverso di loro ha potuto fare l’insegnante e guidare qualche corso di formazione sull’educazione sessuale ai ragazzi adolescenti all’interno dello slum. Purtroppo al termine dei fondi, il programma si è fermato e lei non ha più continuato a lavorare.
“ Mi manca”, dice porgendo il suo curriculum vitae:
“ perché mi piaceva lavorare. Il tema non era facile, ma mi stava molto a cuore. Qui la violenza è quotidiana; si sentono grida ma nessun può intervenire. Ho due figli maschi e ho molti pensieri per loro perché è un ambiente davvero dove c’è tanta tensione. Vorrei sempre sapere con chi stanno i miei figli, qui appena si cresce, gli uomini conoscono la droga e l’alcool e non hanno rispetto delle donne. Io col buio non li faccio mai uscire”.
Il tema della violenza a Dharavi come in altri slum non è facile; l’intreccio tra cultura, indigenza, povertà, ignoranza, distribuzione iniqua di risorse, AIDS, bande e violenza strutturale accomuna luoghi sparsi in tutto il mondo, come Farmer illustra nel suo testo: “ social forces at work there have also structured risk for most forms of extreme suffering, from hunger to torture and rape”19. Dai racconti emerge che la violenza domestica si manifesta in molte forme di abuso, incluse quelle fisiche, emotive, sessuali e finanziarie. Può essere perpetrata dal proprio partner o da qualsiasi membro della famiglia, sia quella originaria che quella acquisita con il matrimonio; questo intreccio spietato, spesso, si amplifica sulle donne, giovani e segregate, che pur avendo aspirazioni di indipendenza, nel presente raccontano storie di subordinazione, caricando il futuro dei propri figli col cambiamento che desiderano.
“ La scuola, l’educazione, la formazione, e l’uso delle nuove tecnologie può aiutare molto anche noi che abitiamo in un angolo del mondo; io vorrei tanto, ad esempio, che con il tuo cellulare potessimo chiamare mio marito, ora, perché la persona che lo ospita ha whatsapp e così possiamo parlare e scambiare risate e sorrisi con i ragazzi. Si può?”.
La richiesta di Shahinsha sorprende ma colpisce per l’immediatezza dell’opportunità. La telefonata è pubblica…siamo in 7 nella stanza, Shahinsha si è appena pettinata, l’abito pulito risplende nel suo color blu acceso, e il suo sorriso nel vedere i figli ridere col papà è immenso. Al telefono si parlano con rispetto e si cercano, il marito vuole vedere tutta la sua famiglia, e anche me. Ha la guancia gonfia, e ammette di soffrire parecchio, ma immediatamente dopo assicura i ragazzi dicendo che sta facendo le cure e passerà tutto presto. Al termine della chiamata Shahinsha si alza e mi abbraccia:
“ sono stata così felice di parlare con mio marito, ero così contenta di vederlo”
e mi chiede di fare una fotografia insieme che poi terrà con sé. Shahinsha mostra coraggio; è una delle donne che dentro lo slum gestiscono una cassa comune; alcune confessano di farlo senza informare il marito, altre invece, addirittura, ne ricevono l’appoggio ed il sostegno, non solo economico. Lei e il suo gruppo di circa 20 donne, si ritrova una volta a settimana, spesso alternando lo chatwh/ shack che accoglie, e nel raccogliere piccole cifre che potranno servire ad esigenze/ necessità importanti (riferiscono che la cifra non è fissa, ma che in media il loro obiettivo di risparmiare 100 rupie — circa 1,4 euro — a settimana), quali una cura medica di un membro familiare delle donne coinvolte, o un’emergenza di servizio all’interno della loro area, o ancora per investimenti formativi di qualcuna di loro, le donne affrontano il tema del lavoro, e si confrontano sul loro stato di indipendenza/ sofferenza quotidiano20.
La questione economica è strettamente collegata alle reali aspirazioni che le donne hanno. Ne ho incontrate molte durante le homevisits e spesso argomentavano la necessità di sostenersi a vicenda, cercando di andare oltre l’attitudine negativa mostrata dal rispettivo marito, che spesso decide in maniera univoca su ogni aspetto della vita, dal cibo alla scuola, dal lavoro da svolgere, la casa dove vivere e con chi dividerla, fino alla pianificazione famigliare.
Shahinsha non sembra essere subordinata; appare davvero molto cosciente del suo passato e della storia di sua madre e preoccupata per l’avvenire dei suoi figli, confessa di discutere spesso con il marito.
“ La cultura ha delle regole, per esempio la nostra religione dice che le donne devono indossare il velo e cita: “ così è scritto: se lo indossi, Dio è felice” , e ne puoi trovare di bellissimi che costano fino a 10.000 rupie, molto affascinanti e preziosi”
e mentre racconta, lo indossa e poi lo toglie, come se fosse un gioco per un atto di bellezza femminile condivisa.
“ Ma le regole possono modificarsi per le esigenze della storia. Ora la nostra storia dice che lui è lontano, e ha male, e forse non sopravviverà…e io devo lavorare, per far andare avanti la famiglia”.
Questo vorrebbe insegnare ai suoi figli.
26 febbraio 2015
Osservazioni a margine
Vulnerabilità e basic needs
Mumbai ha una grande storia di migrazione, così come la migrazione interna è rimasta caratteristica di fondo di chi viene ad abitarla. Anche le donne incontrate durante le homevisits di questo studio e all’interno del reparto sono tutte migranti interne, che abitando in Dharavi, conservano in cuor loro la possibilità di ritornare un giorno al loro paese21.
La loro vita è estremamente dura ed è marcata dalla vulnerabilità che abbiamo definitivo rispetto i quattro indicatori della ricerca, e così come sostenuto da un’indagine indiana, secondo la quale le disuguaglianze socio-economiche rappresentano dei contributori critici alle disuguaglianze di salute per le donne e i bambini nell’India urbana22. Questa vulnerabilità incide sui loro percorsi di cura, in un modo prioritario: le evidenze mostrano come la scelta di prendersi cura del proprio corpo ed in generale del proprio stato di salute viene posticipata rispetto ad altre esigenze basilari — i basic needs — ossia l’accesso all’acqua, al cibo e ad una nutrizione più sana e con frutta e verdure a foglie verdi, l’accesso ai bagni pubblici per espletare bisogni primari con dignità ed in sicurezza23, l’aria fresca e la possibilità di vivere in un ambiente sicuro e libero da tensioni e violenze, dove l’attitudine del marito viene quotata in maniera rilevante.
Le inequità di salute, precisa il documento dell’OMS, hanno impedito il progresso dell’India verso i the Millennium Development Goals e, nonostante i traguardi raggiunti, la salute materno -infantile ha raggiunto livelli miseri24.
I servizi sul territorio non sono immediatamente conosciuti, così come esperiti. E’ la necessità — e nel caso del nostro campione femminile — in particolare la gravidanza e la maternità, che spingono ad una conoscenza indotta.
Conseguentemente, la scelta del luogo dove curarsi non è una priorità assoluta: anche in questo caso, l’accesso viene narrato come episodio che è necessariamente influenzato dallo stile di vita delle intervistate: la vicinanza, così come il tempo trascorso per raggiungere il servizio (senza alcun mezzo di trasporto a disposizione, né i soldi per utilizzarne) e quello in attesa della visita, ed in ultimo la possibilità di ricevere i farmaci necessari, sono questioni che incidono sulla scelta.
Effetto comprensibile allora, è la presenza dei servizi all’interno della comunità di Dharavi: non è il proprio medico, bensì sono questi i luoghi preferiti di cura, e la presenza di un ospedale pubblico risulta assai prezioso, ma non sufficiente.
Il progetto di SNEHA, come ONG presente all’interno dello slum e presente all’interno dell’ospedale, è di lavorare su entrambi i fronti: informando, proteggendo, istruendo ed accompagnando le donne, e nel contempo, sviluppare luoghi di cura e di attenzione alla dignità della donna all’interno della comunità, nel rispetto dei ruoli e delle decisioni familiari e culturali25.
Cura ampia, verso un vero discorso di salute
Osservare i percorsi di cura non in concomitanza con la richiesta sanitaria, ha permesso di approfondire l’idea di salute ampia, connotata dalla capacità di esperire sfide e abilità, per gestire ed affrontare nel tempo il proprio stile di vita.
La domanda di salute che esprimono le donne intervistate è una domanda complessa, da leggere su diversi piani, contemporaneamente, rimarcandone la suscettibilità rispetto all’assunto di sofferenza strutturale (Farmer, op.cit., 2003):
- l’aspetto culturale del ruolo femminile all’interno della famiglia e nella società di appartenenza, amplificato come descrive Arundhtay Roy nella sua Lectio di apertura annuale UCL- Lancet, nel 201426:
“Today, the caste system continues to affect the country’s economy, politics, and media, while discriminatory attacks against Dalits persist, with women and young girls often killed or subjected to extreme forms of violence with impunity because of their caste. This ingrained inequality has led to tacit acceptance of the caste system, which has created, among other challenges, a preventable epidemic of mortality among women and children. Indeed, many of India’s health indicators fare poorly in comparison with its neighbouring countries and economic peers. To improve the nation’s health, the message of Arundhati Roy’s Lancet lecture is that politicians need to address the caste system. They must work towards creating equality, opportunity, and investment in health and education. Roy’s message is clear. Caste can no longer be ignored in Indian society”.
La questione delle caste collegata alla questione del genere è un argomento molto complesso e delicato: il problema sono le caste o il genere? L’osservazione fa pensare soprattutto alla violenza legata alla dimensione di genere, che si interseca con il tema delle caste, pur rimanendo prevalente di per sé27.
- l’individualità della singola persona che spesso è sola nelle sue decisioni e nel suo stato, e la collettività che la circonda, a quanto descritta non sicura né benevola. Citiamo qui le indicazioni di Stern (2004), secondo cui esistono tre classi d’influenza per lo sviluppo dell’empowerment: innanzitutto ci sono le capacità individuali (capitale umano); secondo ci sono le condizioni esterne che emergono dal contesto familiare, dall’ambiente comunitario (comprese le caste e le religioni), la società, i sistemi di governo, e tutti gli attori che danno forma alla vita delle persone; infine ci sono i limiti interiori28.
- L’idea di un futuro in qualche modo modificabile: la si evince dall’apertura che le donne mostrano nella loro aspirazione ad un diritto di salute. Per quanto riguarda la relazione medico- paziente, infatti, le loro risposte mirano ad una maggior comprensione dello stato di salute, attraverso una informazione più chiara e un rapporto di ascolto da parte del medico. In senso più ampio, ancora, le indicazioni riferite indicano un percorso verso la propria dignità e l’indipendenza, attraverso il lavoro per se stesse ed un futuro migliore per i propri figli grazie ad una buona educazione. E’ un’idea di futuro che rafforza il concetto di capacitazione delineato nella letteratura di riferimento e che motiva alla valorizzazione dei propri mezzi, trasformandoli in abilità.
Tradizionalmente, in India non sono molte le persone che hanno dato voce alle loro opinioni rispetto al sistema sanitario: interessante, allora, in questa sede far riferimento alla campagna The Right to Healthcare guidata da Jan Swashtya Abhyan 29(www.phmovement.org), che ha fornito gli strumenti per monitorare l’approccio community based nella pianificazione ed implementazione dei servizi sanitari (National Rural Health Mission 2007). Il processo si è sviluppato molto bene nella regione Maharashtra, con la partecipazione di circa 1000 villaggi su 13 distretti sanitari, sottolineando il ruolo possibile della partecipazione dei pazienti nell’ambito sanitario:
“ When access to basic care is uncertain, the discourse on patient centred care shifts from individual doctor-patient interaction to collective engagement and advocacy by communities to make the health system function and deliver their needs”.
La nuova proposta di legge sanitaria nazionale punta alla salute come diritto fondamentale, promettendo di migliorare l’accesso alla cura: questa visione può essere raggiunta solamente attraverso il coinvolgimento attivo e la partecipazione della gente, riporta Anita Jain, editore del British Medical Journal30(febbraio 2015).
Nota metodologica
Precisiamo la scelta del traduttore, figura centrale nell’incontro e nella raccolta del materiale narrativo: la collega traduttrice Savita Chandanshive, assistente sociale e studentessa del TISS31 di Mumbai per una specializzazione in sanità pubblica, è stata scelta in base alle sue competenze sviluppate in due programmi di ricerca del TISS che hanno avuto luogo all’interno di due agglomerati slum di Mumbai; nel corso di questa ricerca, la collega è stata formata rispetto alla tipologia del lavoro etnografico, con attenzione al luogo, al ruolo tra le parti e le istruzioni da tenere in considerazione32; conosce la lingua hindu, maharathi e inglese e anche questa caratteristica ha contribuito al lavoro sul terreno rispetto alla composizione della popolazione migratoria all’interno di Dharavi.
Note in ordine di comparsa
Suketu M., Maximum City, Bombay città degli eccessi, Einaudi, Torino, 2006 e 2008.
2 Echanove M., Slum’ is a loaded term. They are homegrown neighbourhoods”, The Guardian, Nov 28th, 2014.
3 In The Challenge of slums, rapporto storico de Human Settlements Programme dell’ONU (UN- Habit, London, 2003).
4 Così come descritto in Sharma K., Rediscovering Dharavi, Penguin Books, India, 2000: “ Dharavi is a village made up of people for more than fifty other villages, it is literally a mini- India. Tha Dharavi mix, if one can call it that, emphasizes a central facet of Mumbai which we tend to forget in a era of identities politics, that this is a city of migrants”, p.36.
5 Twelfth Five Year Plan (2012–2017), Social Sectors, Volume III, Planning Commission (Government of India), SAGE Publications India Pvt Ltd, New Delhi 110 044, India 2013, www.sagepub.in
6 per comprendere il livello del lusso, vd articolo “Book a Philippe Starck-designed apartment in Mumbai “, Vogue in March 17, 2015.
7 Gli slum/shackdwellers international (SDI), ossia L’Internazionale degli abitanti delle baracche, è una rete globale di comunità di base di attivisti, che conta membri in una decina di paesi in Africa e in Asia; , rete non governativa, produce nuove forme di azione politica a livello locale, introducendo forme innovative di attivismo transnazionale. Il movimento è costituito da un’alleanza di tre gruppi distinti (la SPARC- Society for Promotion of Area Resource Centres, 1984, la NSDF, National Slum Dwellers Federation, nel 1974, e la Mahila Milan, associazione di donne povere nata nel 1986), e la sua storia nasce nel 1987: le tre organizzazioni si autodefiniscono l’Alleanza, con lo stesso obiettivo di ottener ei diritti di proprietà sui terreni, abitazioni addeguate e durevoli e un accesso alle infrastrutture urbane, soprattutto elettricità, trasporti, fognature e I relative servizi in Appadurai A., The capacity to aspire: Culture and the terms of Recognition, in Culture and Public Action, Vjiayendra rao e Michael Walton, a cura di, Stanford University Press, Stanford 2004.
8 L’India è una delle più importanti economie emergenti ed è fra le prime dieci economie del mondo, con un PIL di circa 750 miliardi di dollari. Non è un paese ricco, ma sta divenendo cruciale, sebbene abbia un reddito pro capite di appena 620 dollari (3.000 in parità di potere d’acquisto), inferiore rispetto alla Cina il cui reddito pro capite è di 1.400 dollari (6.200 in parità di potere d’acquisto). In Cina il peso dell’industria (46% del PIL) è infatti superiore a quello dei servizi (41% del PIL), mentre in India il settore industriale è piccolo (27% del PIL) e poco competitivo: l’India è soltanto il trentesimo esportatore mondiale di merci. L’economia indiana è anomala rispetto a quella di molti paesi in via di sviluppo proprio per il forte peso dei servizi (53% del PIL), nei quali primeggia un’economia della conoscenza di competitività globale, oltre al terziario avanzato. Il resto del PIL nasce da un’agricoltura arretrata e di sussistenza, estremamente suscettibile al clima. La scarsa competitività di agricoltura e industria dipende in parte dalle inefficienze infrastrutturali (materiali e immateriali) e da un per corso di riforme strutturali incompleto: essi hanno avuto impatti negativi sullo sviluppo indiano e hanno limitato gli investimenti diretti dall’estero (IDE). Completare le riforme è cruciale per superare le debolezze dell’economia ed è una delle priorità del paese. Ad esempio, la difficile transizione dei lavoratori dall’occupazione informale a quella formale, dovuta in parte alle rigidità della legislazione sul lavoro, scoraggia gli IDE e contribuisce a mantenere elevata la povertà, riducendo le possibilità di molti di cogliere opportunità lavorative nel settore urbano; di conseguenza la quota di popolazione che vive in povertà è ancora superiore al 26%.
Alcuni cenni sull’evoluzione dell’economia indiana — Lo sviluppo economico indiano può essere suddiviso in due periodi. Nella fase Hindu (1947–1980) nel paese ha prevalso un modello pianificato e centralizzato e il PIL indiano è aumentato del 3,5% medio annuo, un andamento inadeguato a ridurre il gap nei confronti dei paesi più ricchi. Solo dal 1981, come per la Cina dal 1978, l’India ha intrapreso un percorso di riforme molto graduale che ha innescato una prolungata accelerazione economica: nel cosiddetto periodo Bharatiya, dal 1981, la crescita del PIL è stata pari a circa il 6% medio annuo. Nella fase Hindu, l’India perseguiva l’obiettivo di massimizzare lo sviluppo nazionale tramite la
chiusura agli scambi con l’estero e una strategia di pianificazione centralizzata e di intervento pubblico. Come spesso accade con approcci di questo tipo, le inefficienze emergono con il tempo: nel periodo fra il 1951 e il 1963 il tasso di crescita non è stato particolarmente basso (circa il 4,3% medio annuo) grazie soprattutto a situazioni non ripetibili, come il maggior utilizzo di fattori produttivi, la nascita di un sistema di imprese manifatturiere per sostituire le importazioni, e la spesa pubblica per infrastrutture e servizi di base. Nel periodo fra 1965 e 1980, invece, il tasso di crescita è diminuito al 2,9% medio annuo, soprattutto per l’esaurirsi della spinta alla crescita della pianificazione centralizzata: nel lungo periodo, la mancanza di stimoli concorrenziali ha ridotto la competitività delle imprese e l’aumento della produttività, penalizzando la crescita economica. Il rallentamento e un maggiore favore internazionale per la crescita export led innescarono un ripensamento della strategia di sviluppo. Dal 1981 il governo indiano aprì all’economia internazionale e iniziò un graduale percorso di liberalizzazione e privatizzazione, orientato da un cambio di attitudine a favore dell’iniziativa privata, senza esporre le imprese a una maggiore concorrenza. L’impatto positivo sulla produttività fu notevole, accentuato dal fatto che la semplificazione delle procedure e la riduzione delle tariffe di importazione favorirono l’incremento degli investimenti per l’ammodernamento della manifattura e dei servizi. Dal 1991 si ebbe un significativo passo avanti: il governo iniziò una più profonda liberalizzazione e privatizzazione, con la riduzione dei monopoli pubblici, un programma di ristrutturazione e apertura del capitale delle imprese pubbliche, e una più forte apertura al commercio estero e agli investimenti dall’estero. In seguito a questo cambio di strategia l’economia indiana, attualmente caratterizzata da un elevatissimo peso delle imprese familiari, ha sperimentato tassi di crescita molto sostenuti, sebbene lontani da quelli della Cina: ad esempio il tasso di crescita del suo PIL si mantiene oltre il 7% dal 2003 (approfondimento economico tratto da Chiarlone S. L’economia indiana: un mercato emergente anomalo, in ItalianiEuropei, 2006).
9 Boo K. Belle per sempre, Pickwick, Ed. Piemme, Casal Monferrato — AL, 2013, US National Book Award.
10 Film del 2008, del regista Danny Boyle con la collaborazione di Loveleen Tandan.
11Remotti F., L’ossessione identitaria, Edizioni Laterza, Bari, 2010.
12 tratto dallo spettacolo teatrale, Behind the Beautiful Forevers, David Hare National Theatre, London, 2014 -2015.
13 Il tipico chawl, a Mumbai, è il fatiscente monolocale in affitto in cui, in quindici metri — quadrati, si stipa una famiglia di sei persone (rappresenta il 75% dello stock abitativo ufficiale della città) in Davis M., Il Pianeta degli Slum, Feltrinelli, Milano, 2006.
14per approfondimenti, The Slum Sanitation Programme in Mumbai, India www.thelancet.com Vol 379 June 2, 2012 — Shaping cities for health: complexity and the planning of urban environments in the 21st century.
Mumbai’s first sanitary sewer system was built in the 1860s. In 1979, a 25-year sewerage system masterplan was launched, establishing an infrastructure development strategy that consisted of a system of seven zones, each operating independently of one another. This plan was completed in 2004 and now encompasses more than 1500 km of sewers, with a total capacity of 2530 million L per day. The World-Bank-funded Mumbai Sewage Disposal Project is one of several projects launched under the plan.
Half of Mumbai’s population of 11 2 million live in areas classified as slums (covering only 8% of the land area), most of which has poor access or no access at all to wastewater systems so that their residents have to use public toilets or defecate in the open. In these slums, the use of conventional water-based sewer-system infrastructure is ruled out by tenure insecurity, restricted space, and affordability considerations. Thus, an important component of the Sewage Disposal Project is the Slum Sanitation Programme (SSP). The largest programme of its kind in India, it seeks to provide access to adequate sanitation (one toilet per 50 people), by 2025, to one million people who were living in slums on municipal land in 1995.The scheme is demand-driven and premised on participation, partnership, and cost recovery, the first of which was a prerequisite for World Bank funding (matched by the State Government). It builds on the idea that a sense of ownership encourages communities to maintain the toilet blocks more effectively than would the state.Construction of the toilet blocks was allocated to two private construction firms and one large local non- governmental organisation through competitive bidding. By mid-2005, the SSP had built 328 two-storey and three- storey toilet blocks with more than5000 toilets, reaching an estimated 400 000 slum dwellers. Blocks are administered by local community organisations charging either monthly family fees or single-use fees. Fees cover regular maintenance, including water and electricity costs, with minor repairs done by the community, and the local authority undertaking major repairs. Some toilet blocks have also become community centres, providing space for teaching and meetings. Fees have allowed high standards of care to be maintained, but evidence exists that in some of the poorer settlements, only the wealthier families are able to pay the fees, with the remaining population still having to resort to open defecation.
15 Tasso di cambio 1INR = 0,014 euro; 1500 INR = 20,32 euro.
16A conferma del movimento in cerca di lavoro, leggi: “ the reality, however, is that people live where they can find work (…) but what sets Dharavi apart from other slums is its special pull factor” in Sharma K., Rediscovering Dharavi, Penguin Books, New Delhi, 2000.
17Per approfondire vedere in www.thelancet.com Vol 379 June 2, 2012, Shaping cities for health: complexity and the planning of urban environments in the 21st century: Key features of a healthy city tra cui: A clean, safe, high quality environment (including adequate and affordable housing) , A stable ecosystem A strong, mutually supportive, and non-exploitative community Much public participation in and control over the decisions affecting life, health, and wellbeing The provision of basic needs (food, water, shelter, income, safety, work) for all people Access to a wide range of experiences and resources, with the possibility of multiple contacts, interaction, and communication A diverse, vital, and innovative economy Encouragement of connections with the past, with the varied cultural and biological heritage, and with other groups and individuals A city form (design) that is compatible with and enhances
the preceding features of behaviour An optimum level of appropriate public health and care services accessible to all A high health status (both a high positive health status and a low disease status).
18 in hindi, Sister in law, sorella acquisita.
19 Farmer P., Pathologies of Power. Health., Human Rights, and the New War on the Poor, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 2003.
20Le problematiche legate alla povertà urbana femminile sono molto comuni, e spesso le piccole o grandi associazioni, come la sopracitata Mahila Milan, si organizzano per sviluppare progetti locali auto-gestiti di piccolo
21 “however men and women are likely to have a different perspective (…).As a result, women like Kamal, says: “ compare to this place, our village in Haryana is so nice and clean (…). She hopes some day that she will be able to go back”, in Sharma Kalpana, Rediscovering Dharavi, Penguin Books, India, 2000, p40–41.
22 Gupta K, Arnold F, Lhungdim H: Health and living conditions in eight Indian cities. National Family Health Survey (NFHS-3), India, 2005–06. Mumbai: International Institute for Population Sciences; 2009 and Goli S, Doshi R, Perianayagam A., Pathways of Economic Inequalities in Maternal and Child Health in Urban India: A Decomposition Analysis, PLoS ONE 2013, 8: e58573.
23 Nearly 600 million people in India have no access to toilets and defecate in the open (…) and the government has pledged to make India “100% free” of open defecation by 2019, in India launches scheme to monitor toilet use, 4 January 2015, www.bbc.org.
24WHO, World Health Statistics 2010, Geneva, 2010.
25 SNEHA — Policy Brief, Community health interventions in informal settlements: reaching the most vulnerable, Mumbai, July 2015.
26 Arundhaty Roy gave the annual UCL- Lancet lecture entitled The Half-Life of Caste: The Ill- health of a Nation, www.thelancet.com Vol384 November29,2014 p.1901.
27 per approfondimenti su questo tema: “Although the analysis of gender inequality has been powerful, tensions have existed both in feminist scholarship and activism, between the power of understanding women as a homogenous subordinated group and the intersections between gender, race, class, religion, sexuality and in the context of India, caste, to name but a few (Davis, 2010; Gangoli, 2007). This has led to more complex and nuanced analyses of the ways in which inequality manifests itself and the importance of these intersections between gender and other factors in forming structures of dominance and subordination” in Davis B.M., Men, Masculinities and Emotion: Understanding the Connections between Men’s Perpetration of Intimate Partner Violence, Alcohol Use and Sexual Behaviour in Dharavi, Mumbai, University College London, October 2011, pp. 25 e seguenti.
28 Stern N., Dethier J-J., Rogers H., Growth and empowerment: making development happen, Cambridge, Mass: MIT Press, 2004.
29 Per approfondimento www.phmovement.org
30 Anita Jain, Patient communities reform healthcare in India, BMJ, India — BMJ 2015;350:h225 doi: 10.1136/bmj.h225 ( 10 February 2015).
31 TISS, sigla per TATA INSTITUTE FOR SOCIAL STUDIES — The Tata Institute of Social Sciences (TISS) was established in 1936 as the Sir Dorabji Tata Graduate School of Social Work. In 1944, it was renamed as the Tata Institute of Social Sciences. The year 1964 was an important landmark in the history of the Institute, when it was declared Deemed to be a University under Section 3 of the University Grants Commission Act (UGC), 1956.
Since its inception, the Vision of the TISS has been to be an institution of excellence in higher education that continually responds to changing social realities through the development and application of knowledge, towards creating a people-centred, ecologically sustainable and just society that promotes and protects dignity, equality, social justice and human rights for all.
32 Si veda: “Il problema della traduzione comincia ad emergere agli inizi degli anni ’50 ed è un doppio problema perché prima della testualizzazione dell’esperienza etnografica l’antropologo deve affrontare direttamente la traduzione sul campo. Inoltre la lingua non è solo strumento di comunicazione con il nativo, è un fatto di interesse antropologico non solo per quello che ci dicono i nativi ma anche per quello che i nativi si dicono fra loro. Le esperienze sul campo evidenziano che: — una traduzione è possibile ma non consiste nel trovare la parola giusta; — la traduzione è sempre necessaria, anche quando l’antropologo giunge a conoscere perfettamente il significato dei termini indigeni; — i processi di traduzione implicano sempre e comunque dei rapporti di potere; — ogni traduzione ci deve spingere non a “costringere” i termini ed i significati altrui all’interno dei nostri ma, piuttosto, ad allargare questi ultimi al fine di accogliere quei termini e significati entro un orizzonte di senso”, in Fabietti U., Antropologia culturale, Laterza, Bari, 2005.
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