Indignarsi

Casa della carità
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11 min readJan 31, 2017

di don Virginio Colmegna
Presidente Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”

Mi permetto di scrivere, come si dice, con immediatezza,con quel sentimento profondo misto tra indignazione e com passione, a fronte del dramma della povertà, dei profughi, dei tanti sguardi e silenzi che ormai accompagnano la nostra vita ogni giorno .Non possiamo essere indifferenti di fronte a drammi epocali. Come si fa davanti a queste tragedie,a questa presenza di vittime innocenti che fuggono dalla loro terra, cercano di salvarsi anche da ideologie violente, rischiano la propria vita, vedono dei compagni di viaggio che muoiono non indignarsi se poi si trovano di fronte a muri, fili ispinati, chiusure anche violente? Sono, trattati come dei numeri.Eppure mettono in discussione la nostra cosiddetta civiltà:quali radici ha la Europa che si sente travolta da sentimenti e proteste di rifiuto?

Ma è questa l’Europa che vorremmo? Non si può rispondere con un no frettoloso e distaccato. Questa tragedia ci appartiene.. È il grande segnale di quest’economia dello scarto, di quest’umanità impazzita che non sa più riportare dentro di sé il fatto che custodire la terra che ci è data, alimentare giustizia e fraternità, promuovere e difendere la dignità di ogni vivente è un grande motore di promozione di speranze, di felicità posibile,di giustizia sociale.

Cosa possiamo fare?. La negazione di uguaglianze vissute e di processi di inclusione, di cittadinanza attiva,non solo fa crescere ma moltiplica la violenza, le molteplici contraddizioni e sofferenze. Nel mondo in via di globalizzazione il neoliberismo, il capitalismo avanzato, come grande “metanarrazione”, come ideologia entra ormai in tutti gli ambiti della vita. Ritorna qui il valore delle due encicliche di papa Francesco: Evangelii Gaudium e Laudato sì.

Arriva un grido,un gemito che entra dentro anche la nostra coscienza .Per questo mi chiedo come contribuire a liberare l’umanità, la terra da questa morsa?. Non si può realizzare questo solo raccontando un altro mondo, un’altra ideologia spesso retorica ma è ancor più urgente e possibile stare dentro alle esperienze concrete di lotte,di condivisione per l’uguaglianza e inclusione. Va vissuta sul campo questa speranza straordinaria di cambiamento di novità, di utopia. Certamente è un cammino lungo e faticoso che forse riuscirà solo a passare da condizione di minore giustizia a condizione di maggiore giustizia, a uno sforzo di inclusione maggiore.E’ questa unica ma esigente possibilità e responsabilità:stare nel mezzo di iniziative locali,di comunità territoriali,di laboratori operosi che testimoniano che si può e si deve non rassegnarsi. La politica deve avere la capacità di mediazione, di dare e promuovere in tempi storici possibili questo desiderio di fraternità, di uguaglianza, di giustizia .Ci è richiesto un progressivo cammino dove è chiara la meta che non è solo al termine ma è già capace di mobilitare ciascuno di noi. Ecco perché la limpidezza del confronto col Vangelo, sentendoci pellegrini che portano nella bisaccia il linguaggio vivo delle beatitudini è una sorgente di senso e capace di permetterci resistenza e speranza . E’ da mettere in campo questa tradizione millenaria di santità popolare, di persone che pagano con la propria esistenza questa fedeltà al vangelo,con una vita e una spiritualità impastata di vicinanza, di ascolto della povertà e delle tante vite di scarto.

Le statistiche le conosciamo ma devono rimbalzare nel nostro cuore e non ci permettono semplicemente di raccontarle, di catalogarle. Nel sud del mondo 1 miliardo di persone vivono in estrema povertà, mancano o stanno lottando per le minime condizioni, bisogni primari di vita: cibo, acqua potabile, un tetto su cui ripararsi, una cura sanitaria, una istruzione di base. Nel sud del mondo povero e abbandonato sono milioni di persone per lo più bambini anziani denutriti, che hanno fame. La contraddizione è evidente :c’è chi muore per il troppo che ha e distrugge la sua vita e chi, che è la stragrande maggioranza non ha il necessario. Circa un terzo dei decessi nel mondo ,circa 18 milioni di decessi, avvengono a causa della fame,o di malattie collegate con la malnutrizione. Dunque la contraddizione più forte quella a cui assistiamo è che poi deve dare senso anche al nostro quotidiano stare sul territorio è che assistiamo ad una crescita dell’economia senza una riduzione della povertà. È una questione grande drammatica della disuguaglianza resa ancor più grave dall’esclusione. A questa esclusione si aggiungono le minoranze etniche, religiose linguistiche, di popolazioni tribali, di popoli indigeni. Molte di queste situazioni di conflitti incastrati tra problemi di condizioni di vita economiche, ideologie più o meno religiose rendono ancor più grave il dramma dell’esclusione. Esistono anche situazioni di esclusione di minoranze etniche, religiose, linguistiche, di popolazioni tribali ,di popoli indigeni. Spesso queste situazioni sfociano in guerre. Mai il mondo nella sua storia è stato attraversato da così tanti conflitti, da guerre, dotato di armamenti con un potenziale distruttivo in grado di mettere in crisi la sopravvivenza del pianeta, pure messo in crisi anche da condizioni di clima ambientali, dalla devastazione della cura dell’ambiente. È una vergogna morale e politica che deve entrare nel nostro essere donne, uomini che non possono sentirsi estranei a quanto succede.Entra nella propria carne, nel proprio modo di essere emozionati e capaci di custodire i sentimenti più profondi dell’umano, che sono la tenerezza, la capacità di gioire nella felicità di essere amati e di amare. Questa realtà migratoria, fenomeno epocale che sta esplodendo provoca panico, costituisce un campanello d’allarme che fa intravedere il dramma della disuguaglianza, dell’esclusione, delle chiusure. In questa battaglia si richiede di unire le forze di solidarietà,di non assecondare sentimenti di indifferenza. Va superata e abbandonata il dire” Non possiamo farci niente, dobbiamo soltanto assistere”. E ‘questa indignazione che si deve far crescere dal basso, dal territorio, facendo crescere un’altra visione del mondo. In passato gli schiavi venivano maltrattati, discriminati ma erano richiesti come forza produttiva, di ricchezza .Questo vale anche nell’esplodere della società industriale, coi servi della gleba nella società feudale, col sottoproletariato nella civiltà industriale. Ma ciò che più allarmante è che i poveri vengono visti come superflui, vengono esclusi, si crea un grande sentimento collettivo di rifiuto che di fatto li considera indesiderati, un problema. Insomma sono uno scarto. E questo non vale soltanto per le condizioni economiche di povertà-miseria ma si riferisce anche a coloro che portano poi nel tragitto dalla propria esistenza sofferenza,vivono crisi profonde,hanno un tempo di vita segnata dalla non autosufficienza.. Il dibattito spesso nei nostri territori evidenzia che questo sono scarti, problema, vorremmo solo controllarli illudendoci che fosse possibile “istituzionalizzare la emergenza”,renderla una questione di ordine pubblico primariamente. E’ un richiamo forte a ciascuno di noi.

L’economia di mercato in quanto forza egemonica è di fattouna fonte di forme di esclusione, di discriminazione ,anche a livello politico e culturale.La dignità di ogni persona,la promozione dei diritti non sono corollari e residuali ma punti strategici e di forza. Questo grande impegno culturale ,di visione universale e cosmica, di sguardo sull’umanità è la continua sollecitazione che viene da papa Francesco con le sue encicliche. . Dobbiamo partire da tutti gruppi vulnerabili come le popolazioni indigene, i popoli tribali, emigranti, i rifugiati, gli apolidi, i lavoratori coatti, i meticci, i campesinos, l’indignatos, le minoranze, , i transessuali, gli omosessuali, le lesbiche, l’Inter sessuali e così via . Una cultura e una scelta politica che parte dalle vittime,dai processi di negazione o di esclusione,che ad esempio pone la realtà della disabilità come una condizione di cambiamento vero.Si fa centrale la questione femminile,della condizione della donna. Quante sollecitazioni e urgenze si addensano nei nostri sgaurdi e nella nostra affettività umana. Quanta commozione,indignazione ma anche speranza inalienabile di riscatto.! Potremmo continuare a descrizione,dare statistiche, ma si capisce che per trattenere questo sguardo di giustizia solidale e di uguaglianza, di non esclusione dobbiamo proprio partire dall’esclusione, dalle periferie, da coloro che non contano per far respirare questo grande grido di uguaglianza che nasce anche da un’indignazione profonda che entra nella propria carne. Questo è l’ambiente vitale che fa crescere in me e in altri questa straordinaria consegna di ascolto, che ci fa capire e rendere urgente e quotidiano il chinarsi di fronte al mistero del crocifisso,dei tanti crocifissi che rimarrebbero senza destino di speranza e di senso se non ci sentissimo sfidati nella speranza che quell’uomo crocifisso vince la morte,ci consegna una onnipotenza debole e svuotata di potere ma capace di dare futuro e memoria. Qui l’indignazione si fa invocazione,preghiera. Dobbiamo essere chiari: la disuguaglianza, l’esclusione sono alla radice della malnutrizione, della fame cronica, dei senzatetto, della mancanza della pur minima assistenza sanitaria. Ancor di più la disuguaglianza priva di dignità e mette in gioco situazioni di debolezza, di dipendenza che vanno interrotte e se possibile contrastate continuamente. Siamo pieni di cumuli di umiliazione che nascono dalla disuguaglianza e pesano profondamente su coloro che sono discriminati.

C’è un altro modo di condividere, di far respirare continuamente questo desiderio di universalità, dell’umano nell’umano che raccoglie quei sentimenti di cura che vengono dalla terra ,dagli ambienti dei viventi, dal filo d’erba… dal sentirci affidata questa custodia del creato. Questa immissione di energia dà senso anche al nostro operare nel piccolo territorio dove stiamo e viviamo. Non dimentichiamo che la disuguaglianza distrugge il tessuto sociale, sottrae la comunità dalla fiducia, dalla solidarietà,da quel senso di reciprocità e di prossimità che arricchisce le relazioni umane. Un’umanità che pensa di dominare e di cancellare la dignità di tanti esclusi, perde un grande potenziale di cultura, di senso, di ricchezza di umanità che sta anche nelle condizioni di vita di coloro che portano dentro di sé il dramma dell’esclusione e che spesso sono costrette ad arrancare a far diventare la dignità della povertà una miseria che si consegna a processi di distruzione di vita, di aggressività, di corruzione, di criminalità. Si perde il patrimonio culturale che sta in questa stragrande maggioranza dell’umanità. Anche perché la disuguaglianza è all’origine anche di una moltitudine di problemi sociali: violenza, droga, alcolismo, malattie mentali, disoccupazione cronica, erosione della legalità, minore aspettativa di vita e così via. Lottare contro la disuguaglianza significa lottare anche per la qualità di vita, diminuire situazioni di disumanità, di dipendenza, di gravi problemi sociali. L’economia dominante vive sul paradigma delle ineguaglianze dell’esclusione. Non solo la produce, ma è fondamentale per legittimare la propria economia di mercato. È quella che viene chiamata economia dello Stato. Fa parte del paradigma economico dominante.

L’esclusione, la disuguaglianza vanno assumendo sempre più forme subdole, profondamente radicate nei sistemi economici, sociali, culturali e politici. Vi è un nascondimento della disuguaglianza ,dell’esclusione con argomenti sofisticati,con un impoverimento dei diritti spesso sommersi da un assistenzialismo che fa dell’emergenza umanitaria e ambientale non una condizione per cambiare ma per consolidare il proprio potere e confine. Ecco perchè “deistituzionalizzare l’emergenza”,partire dalla disuguaglianza come pensiero che condiziona e chiede un cambiammento dell’economia. Ripenso qui con commozione al magistrale contributo che ci ha dato un amico economista recentemente scomparso (Pier Luigi Porta),che ci ha introdotto al pensiero di pikettj.che documenta e afferma che. alle radici della disuguaglianza c’è il fatto che le forze produttive-capitale, latifondo, possesso di varie forme di risorse naturali sono concentrati oggi sempre in gruppi più stretti di potenti. La moderna economia di mercato che si fonda sulla disuguaglianza si esprime poi nella vita quotidiana. Ed è per questo che la connessione con le dinamiche quotidiane, del territorio, delle comunità locali sono decisive. E acquista senso e si comprende perchè papa Francesco ci richiama a una fedeltà sine glossa al vangelo che chiede di testimoniare una chiesa povera con i poveri,con le beatitudini che diventano promotori di una storia umana e di cura del creato che ci fa capire perchè “laudato sì” Ogni storia accolta, curata, custodita porta dentro di sé il calvario della sofferenza ma anche il respiro felice per sognare e sperare in un’umanità diversa. L’economia liberista ha assunto caratteri addirittura di una religione con i suoi pontefici che si aspettano da noi di avere una fede cieca nel mercato. Giustamente papa Francesco si è espresso in termini molto energici contro un’economia che uccide: “così come il comandamento non uccidere pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della iniquità. Quest’economia uccide”. È chiaro che questo è un attacco forte alla filosofia dell’economia neoliberista che non solo non mette in discussione la disuguaglianza ma considera addirittura la disuguaglianza tollerabile, persino necessaria per la crescita. Può essere avvolta questa umanità da una attività di bontà, di assistenza che però è episodica, semplicemente capace di giustificare la teoria della disuguaglianza come fondamento per una crescita economica. Ecco perché carità e giustizia, difesa dei diritti con tutta la sua articolazione è un cammino tortuoso e faticoso ma fondamentale e ci chiede di riguardare con attenzione e spirito critico come noi stiamo operando nelle azioni di solidarietà ,di condivisione, di ospitalità. La teoria contrattualistica svuota la ricchezza delle relazioni umane e non è in grado di dare sostegno alle comunità in quanto si basa sull’individualismo esasperato, sull’ io invece che sul noi, sull’interesse privato. Qui vista un luogo straordinario di formulazione di coscienza etica, di avvertire come sia un segno forte l’evangelo,la Parola che ci mette di fronte come modello di riferimento per una economia del cambiamento il racconto dell’obolo della vedova che ci orienta verso un’economia della gratuità ,della felicità . Non è utopia ma speranza calata nelle contraddizioni, impastata di questa storia che viviamo e che è attratta ancora dal racconto di un giusto che ha dato la sua vita per riscattare il destino dei deboli,perdonando e ridando pace e riconciliazione.. È la sapienza della carità. In passato l’oppressione, la disuguaglianza ,l’esclusione erano palesi ed evidenti. Oggi invece vanno assumendo forme sempre più subdole e sono profondamente radicate nei sistemi economici, sociali, culturali e politici.

Alla radice della disuguaglianza c’è il fatto che le forze produttive sono concentrate oggi in gruppi sempre più ristretti. La filosofia dell’economia neoliberista considera la disuguaglianza non solo tollerabile ma necessaria per la crescita e coloro che non sono in grado di osservare doveri contrattuali vengono lasciati indietro. Sono i perdenti che non si vedono riconosciuto alcun diritto, diventano gli esclusi. È il fatalismo moderno puro e semplice.In questo sistema la disuguaglianza viene spiegata come effetto collaterale, come quando si fa la guerra si bombarda e ci sono sempre gli effetti collaterali che mietono vittime . Qui si radica questa visione di pace, questo rifiuto della logica degli armamenti, questo mercato indecente ignobile di armi , questa guerra cui si risponde con guerra,che sembrerebbe avvallare la necessità storica della guerra che tiene in piedi l’economia della disuguaglianza. L’economia globale,la finaziarizzazione speculativa ci lascia questo spaventoso dramma. I profughi che fuggono dalla guerra, coloro che lasciano loro terra per mancanza di libertà, che sono i cosiddetti profughi ambientali sono i segnali, la spia evidente di un’ingiustizia epocale che non possiamo contrastare interiormente solo con buoni compiti di testimonianza. Il capitalismo amichevole di oggi indossa abilmente il mantello del buon samaritano. A ciò dobbiamo aggiungere il fatto che molte società nel sud del mondo conservano forti retaggi di culture e modi di agire feudali che prosperano sulla gerarchia fatta di chi sta in alto e di chi sta in basso. E il dramma anche di alcune popolazioni del medio oriente,è il dramma delle dittature, il dramma della mancanza di diritti che rende ardentemente il mondo bisognoso di uno sguardo diverso . Per far questo l’economia e il mercato neoliberista paradossalmente hanno bisogno che si mantengono questi stati e non a caso quello che sta succedendo nel medio Oriente. Potremmo dire in profondità che allora l’economia ha bisogno di un sabato, bisogno di un tempo di riflessione, di maturazione di scelte di cambiamento che non stanno nella politica e esercizio del potere attuale ma stanno nel far crescere una coscienza nuova ,con movimenti popolari. È il magistrale discorso fatto da papa Francesco ai movimenti.

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