senza titolo

unvoltonellafolla
spagliati
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3 min readAug 21, 2022

Immagino vi sia un momento della propria vita nel quale si realizza (si ha un epifania, per così dire) che di tutte le possibili persone e caratteri che potevamo essere, lentamente, ne abbiamo scelta una.

E mentre dico ciò mi rendo conto dell’inesattezza della formula usata: siamo il sedimento nel letto dei fiumi portato dalla corrente e casualmente depositatosi in un determinato punto, in un determinato modo. Il fiume continua a scorrere dandoci l’impressione che anche noi — se volessimo — potremmo spostarci, mutare; insomma, che noi si sia aperti ad altre possibilità, che queste siano lì: facili da divenire.

Questa è una verità che muta in bugia col tempo e ciò la rende ancora più terribile: com’è difficile disfarsi, com’è sconveniente, incomodo!

Cala la notte e una tristezza m’affiora in volto, agevolata dal vento freddo: è fatta? Voglio dire, è fatta? Sono io questo? M’accorgo di come questo non abbia senso e che una tale domanda possa indurre calde raccomandazioni verso questo e quel altro psicologo. Eppure si ripropone nella mia mente, solleticandomi quasi la gola a voler uscire nuda in pubblico: sono io questo? Vi vedo già ad alzare la cornetta e chiedere aiuto: “l’ennesimo caso di alienazione, si è dissociato!”.

Fermamente nego.

Ho sempre avuto come la sensazione di una frammentarietà del mio Io: non d’essere multiple persone, ma d’essere una sola persona in infiniti pezzi. È a questa — suppongo — mia peculiarità — che egotismo nel dire ciò — che ho attribuito la mia mancanza di solidità.

In soldoni, con ciò voglio dire, che alcune persone, o almeno così è sembrato a me alle volte, si muovono nella propria vita seguendo un percorso del quale raramente hanno incertezza — essi si muovono come conoscessero le regole del gioco e gli obiettivi da dover conquistare.

Un vecchio! Un vecchio direte voi — e come darvi torto.

Le parole di un vecchio rancoroso, incapace di venire ai minimi termini con le proprie insicurezze — mutarle quindi — in millantati stati superiori di coscienza e poi — ciliegina sulla torta — d’appioppare agli altri la colpa di non essere a questa maniera. E come potrei mai biasimarvi! Col passare del tempo ho notato che ciò che più nella vita mi contraddistingueva (un certo talento nel vedere possibilità dove altri fallivano), e che pareva essere una manna dal cielo — segnale chiaro del mio acume -, altro non era che un difetto.

Un asino in mezzo a possibilità, senza alcuna idea chiara su quale posizione preferire. Uno svantaggio enorme sulla vita. E come tutti gli asini, risi forte di ciò, ed era per me impossibile ravvedermi, darmi uno scrollone e decidermi ad essere qualcuno. Mi chiedevo se questo fosse in qualche modo in relazione con i miei interessi — tutti puramente solipsisti: se la passione che la scrittura aveva per me non nascesse da un bisogno nichilistico (e masochista) di essere — fosse anche su un pezzo di carta. D’altronde siamo, solo quando un pezzo di carta attesta ciò.

Nulla nella vita mi fu tanto difficile quanto lo stare in mezzo alle persone: e no, non per timidezza o per fobia ma — e come mi vergogno per questa strana forma di arroganza — per disinteresse. Se in queste parole di vecchio c’è del rancore (ed io non lo escludo) è perché non ho mai capito a fondo cosa motivasse le persone ad essere così concrete, così prese dai propri affanni, dagli obiettivi, dalle gioie e dalle disgrazie.

Ma non guardatemi in malo modo, come se fossi una volpe che disprezza un acino non alla sua portata. Ho raggiunto quelle cose senza troppa fatica, di qui il dilemma: credevo che agguantandole nella mia gioventù avrei potuto capirne il senso — ma non è avvenuto. Non ho provato nulla, se non disinteresse.

La mia vita, m’accorgo, non è stata altro che una corsa all’inseguimento dell’espressione di me stesso (o quantomeno d’una parte di me, una parte che vuole esprimersi, essere, pubblicamente) e l’amara scoperta di non avere bisogno di ciò. L’inetto.
La prima volta che mi fu detto — o quantomeno, la prima volta che ricordo (e anche l’ultima) — ero seduto al posto di dietro e a proferire la condanna era mio padre.

Piansi e mi dissi che mi sarei tolto la vita se entro i venticinque anni non avessi combinato qualcosa. Non ricordo perché mi fu detto, ma ne posso immaginare il motivo. L’odio si mischia all’amore come una goccia di tempera si perde in un bicchiere d’acqua.

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