I getti dei motori che, nel film “The Wandering Earth” (2019), spingono la Terra fuori dalla sua orbita intorno al Sole

È possibile modificare l’orbita terrestre?

La domanda nasce dopo aver visto “The Wandering Earth”, un film di fantascienza cinese, nel quale, per sfuggire ad un Sole più grande e più caldo di oggi, l’umanità costruisce una serie di giganteschi motori lungo l’equatore, grazie alla cui spinta la Terra abbandona la sua orbita intorno al Sole e parte verso Alfa Centauri (rischiando di finire distrutta da Giove)

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
8 min readJun 7, 2019

--

I film di fantascienza con budget milionario non sono più appannaggio esclusivo di Hollywood. Anche la Cina si è catapultata in questo lucroso mercato. È di febbraio 2019, infatti, il lancio di The Wandering Earth, “La Terra vagabonda”, un ambizioso film cinese di oltre due ore di durata, visibile in Italia su Netflix.

La storia riprende un po’ quella della mitica serie Spazio 1999, in cui la Luna abbandonava l’orbita terrestre in seguito a una catastrofica esplosione nucleare, ritrovandosi a peregrinare nello spazio profondo, finendo poi chissà come sulla rotta di ipotetici pianeti extrasolari abitati da improbabili civiltà aliene.

Nel caso del film cinese, non è la Luna ad abbandonare l’orbita terrestre, ma la Terra stessa a lasciare la sua orbita intorno al Sole. Nella finzione cinematografica, il Sole ha cominciato a espandersi pericolosamente e, per sfuggire alla sua stretta mortale, gli scienziati propongono di spedire il nostro pianeta verso il sistema di Alfa Centauri, lontano più di 4 anni luce. A tal fine, tutti i governi della Terra, baciati da improvvisa saggezza, cedono il potere a un organismo sovranazionale, che decide la costruzione di una serie di immensi motori situati lungo l’equatore, il cui compito sarà di imprimere al pianeta la spinta necessaria a sganciarsi dalla gravità solare, per iniziare un viaggio plurisecolare verso Alfa Centauri.

Tralasciamo le complicazioni successive della trama, che vedono la Terra rischiare di essere distrutta dalla gravità gioviana, e chiediamoci semplicemente se l’assunto di base del film — spostare la Terra dalla sua orbita intorno al Sole— sia in qualche modo attuabile. Si è posto la stessa domanda anche Matteo Ceriotti, un ingegnere aerospaziale italiano, ricercatore presso la School of Engineering dell’Università di Glasgow in Scozia. Vediamo le risposte che Ceriotti ha trovato, basandosi sui non molti metodi teoricamente utilizzabili per riuscire in una simile impresa.

Giove risucchia l’atmosfera terrestre in una scena di “The Wandering Earth”

Va chiarito però che l’ipotesi analizzata da Ceriotti non è esattamente quella del film: “spedire” la Terra verso Alfa Centauri è un’idea troppo fantascientifica per essere presa in considerazione seriamente. Ceriotti, più modestamente, ha indagato sulla possibilità di spostare il pianeta su un’orbita del 50% più lontana dal Sole rispetto a quella attuale. La domanda a cui rispondere è in sostanza questa: è possibile allargare l’orbita terrestre fino a farla coincidere all’incirca con quella di Marte? Vediamo.

Sarebbero necessari 300 miliardi di miliardi di lanci del Falcon Heavy di SpaceX a pieno carico, per impartire alla Terra la spinta necessaria ad allargare la sua orbita del 50% [crediti: SpaceX]

Il metodo più elementare che viene in mente per spostare un corpo celeste dalla sua orbita è usare le maniere forti. Nel film Armageddon, del 1998, vengono usate testate nucleari per deviare, o per meglio dire frantumare, un asteroide in rotta di collisione con la Terra. Passando dalla fantascienza alla scienza, la NASA e l’ESA hanno entrambe in programma missioni che progettano di usare un impattatore cinetico, cioè un proiettile, per deviare leggermente dalla propria orbita un piccolo asteroide. Purtroppo entrambi i metodi sarebbero inattuabili, se l’obiettivo fosse quello di modificare l’orbita terrestre. La massa del nostro pianeta, infatti, pari a quasi 6 milioni di miliardi di miliardi di chilogrammi (5,97×10²⁴ kg, per la precisione), è così grande che qualsiasi ordigno esplosivo o impattatore cinetico tarato su una simile massa, finirebbe per avere, come spiacevole effetto collaterale, quello di distruggere la Terra.

Esistono per fortuna metodi più “gentili” per ottenere lo scopo. La spinta necessaria potrebbe essere per esempio frazionata in un enorme numero di spinte minori consecutive. Qualcosa del genere si verifica già, del resto, ogni volta che avviene un lancio spaziale: la spinta che i motori imprimono a un razzo per lanciarlo oltre l’atmosfera è una spinta esercitata contro la Terra. Il suo effetto sul moto orbitale terrestre è però impercettibile, perché la potenza dei motori di un singolo razzo, anche del più grande, è totalmente trascurabile in relazione alla massa del pianeta. Ceriotti ha calcolato che sarebbero necessari 300 miliardi di miliardi di lanci a pieno carico del Falcon Heavy di SpaceX, eseguiti in modo da creare una spinta complessiva coerente, per modificare l’orbita terrestre fino ad allargarla del 50%. Purtroppo, per costruire e alimentare una simile sterminata flotta di Falcon Heavy occorrerebbe consumare in materiali l’85% della massa terrestre, lasciando nella nuova orbita una Terra “rinsecchita”, con appena il 15% della sua massa attuale.

Un metodo più conveniente sarebbe quello di utilizzare un propulsore ionico, cioè un motore che crea una lieve spinta continua, sparando fuori da un ugello ioni (solitamente di xeno), accelerati grazie a un sistema elettrostatico. È il tipo di motore che ha alimentato la sonda Dawn nella sua straordinaria missione dedicata all’esplorazione di Vesta e Cerere. Si tratterebbe nel nostro caso di costruire un gigantesco motore ionico e di sistemarlo a circa 1.000 km di altitudine, in modo da tenerlo al di fuori dell’atmosfera. Il motore dovrebbe però essere collegato saldamente alla superficie terrestre per mezzo di travi super-resistenti, per poter trasmettere la spinta al pianeta. Usando un motore ionico in grado di produrre una spinta continua di 40 km/s nella direzione del moto orbitale terrestre, bisognerebbe allora trasformare in propellente a ioni “solo” il 13% della massa della Terra, per allargare l’orbita fino alla distanza di Marte. Ci resterebbe pur sempre l’87% del pianeta a disposizione…

Un motore ionico testato da Aerojet Rockeydyne per conto della NASA [crediti: NASA]

Esistono per fortuna anche sistemi di propulsione più economici, che non ci obbligherebbero a depauperare la massa terrestre. La luce, per esempio, è dotata di momento pur non avendo massa. È teoricamente possibile perciò utilizzare dei potenti laser per generare una spinta. Il progetto Breakthough Starshot è basato appunto su questa idea: costruire in qualche località della Terra un impianto laser da 100 GW di potenza, in grado di produrre un raggio collimato capace di accelerare fino a una frazione significativa della velocità della luce una vela solare lanciata verso Proxima Centauri. Usando l’energia solare per generare la potenza necessaria, un simile impianto laser potrebbe essere usato anche per produrre una spinta continua in grado di modificare l’orbita terrestre. Purtroppo, anche disponendo di un laser da 100 GW, ci vorrebbero tre miliardi di miliardi di anni di impulso continuo per allargare del 50% l’orbita terrestre: è un tempo otto ordini di grandezza più lungo di quello trascorso dal Big Bang a oggi!

Esiste in realtà anche un modo alternativo di utilizzare la pressione di radiazione, cioè la spinta esercitata dalla luce, per ottenere lo stesso cambiamento orbitale in un tempo molto più breve. Il sistema consiste nell’adoperare una vela solare “parcheggiata” in orbita intorno alla Terra, orientata in modo tale da deflettere verso la superficie terrestre la radiazione solare. Secondo uno studio del 2002, infatti, i fotoni provenienti dal Sole riflessi dalla vela verso la Terra sposterebbero il centro di massa del sistema Terra/vela, modificando nel tempo l’orbita terrestre. Purtroppo, per spostare la Terra fino all’orbita di Marte servirebbe una vela solare larga ben 19 diametri terrestri, cioè oltre 240.000 km! Si risparmierebbe però parecchio tempo rispetto alla soluzione precedente (quella basata sull’uso dei laser). Con una vela solare così grande, basterebbe “solo” 1 miliardo di anni per allontanare la Terra fino alla distanza di Marte dal Sole.

Sarebbe necessaria una vela solare 19 volte più grande della Terra, per spostare il nostro pianeta alla distanza di Marte sfruttando la pressione di radiazione del Sole [crediti: Breakthrough Initiatives]

C’è un ultimo metodo da prendere in considerazione: l’uso di asteroidi e comete per sottrarre energia orbitale alla Terra, in modo da allargare l’orbita terrestre fino alla misura desiderata. L’idea è quella di deviare leggermente l’orbita di una nutrita serie di corpi della Fascia di Kuiper, in modo da far sì che passino a poche migliaia di chilometri dalla superficie terrestre, ricevendo un assist gravitazionale dal nostro pianeta. In pratica si tratta di usare lo stesso sistema che è stato adoperato a partire dagli anni ’70 in numerose missioni spaziali, nelle quali la gravità dei pianeti è stata utilizzata per accelerare (e qualche volta rallentare) una sonda. L’effetto in realtà è reciproco: dopo il passaggio ravvicinato, o fly-by, non cambia solo la velocità del velivolo, ma anche la velocità orbitale del pianeta. Se la sonda viene accelerata dal fly-by, la velocità orbitale del pianeta diminuisce. Solo che la differenza di massa tra un velivolo e un pianeta è talmente grande che il rallentamento del moto orbitale del pianeta è impercettibile.

Se però, invece che da una sonda, il fly-by fosse effettuato da un asteroide, la sottrazione di momento angolare subita dal pianeta sarebbe molto più marcata. Dopo un numero adeguato di passaggi radenti di asteroidi o comete, il moto orbitale della Terra potrebbe così essere rallentato fino ad allargare il raggio dell’orbita a 1,5 unità astronomiche (cioè la distanza di Marte dal Sole). Anche in questo caso, però, i calcoli indicano che il lavoro da compiere sarebbe ciclopico. Secondo uno studio pubblicato nel 2001, servirebbero milioni di passaggi ravvicinati di corpi della Fascia di Kuiper con massa intorno ai 10¹⁹ kg (cioè cinque ordini di grandezza meno massicci della Terra), per ottenere lo spostamento orbitale desiderato. Inoltre, poiché non conta solo la massa del corpo, ma anche la sua velocità di arrivo nei pressi della Terra, bisognerebbe selezionare solo oggetti con orbite molto eccentriche, ovvero con semiassi maggiori dell’orbita nell’ordine delle 300 unità astronomiche. Ciò vuol dire che tra due passaggi ravvicinati consecutivi di uno stesso corpo della Fascia di Kuiper passerebbero migliaia di anni.

In conclusione, allo stato attuale delle nostre conoscenze non esiste un modo rapido ed economico per spostare la Terra su un’orbita differente. La minaccia prospettata dal film The Wandering Earth al momento è solo fantascienza, ma diventerà reale in futuro. L’evoluzione del Sole lungo la sequenza principale implica infatti che, fra circa un miliardo di anni, la Terra riceverà il 10–11% in più dell’irradiazione che riceve attualmente. Ciò produrrà un effetto serra incontrollabile, che farà evaporare mari ed oceani. Prima che arrivi quel momento, se la specie umana o i suoi eredi intelligenti esisteranno ancora, dovranno aver trovato una soluzione al problema di sopravvivenza prospettato dal film cinese. Forse spostare la Terra dalla sua orbita sarà anche in quel lontano futuro una soluzione impraticabile. L’unica salvezza possibile potrebbe essere allora quella di terraformare e colonizzare Marte, che avrà nel frattempo sviluppato un clima più caldo e accogliente, grazie all’aumentata irradiazione solare. O magari basterà semplicemente proteggere la Terra con un adeguato “filtro” solare, in grado di riflettere nello spazio la radiazione in eccesso…

Uno dei motori usati per spingere la Terra fuori dalla sua orbita nel film di fantascienza “The Wandering Earth”

Sostieni l’attività di divulgazione scientifica di questo blog con una donazione.

--

--

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.