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Alcuni esperimenti mentali per comprendere meglio la relatività generale

La relatività generale, la migliore teoria di cui oggi disponiamo per descrivere la gravità, si basa su una matematica complessa, la cui piena comprensione richiede competenze professionali. Ma le geniali intuizioni che sono a fondamento della teoria pubblicata da Einstein alla fine del 1915 sono accessibili a chiunque, grazie all’aiuto illuminante di alcuni esperimenti mentali

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
19 min readDec 19, 2020

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Dalla relatività speciale alla relatività generale

La relatività speciale o ristretta, pubblicata da Einstein nel 1905, portò alla luce aspetti del mondo fisico che rivoluzionavano profondamente la visione dell’Universo su cui era basata la cosiddetta fisica classica. La teoria sviluppata da Einstein aveva a suo fondamento due soli princìpi:

  • le leggi fisiche, a cominciare da quelle della meccanica, sono valide in tutti i sistemi di riferimento inerziali [1];
  • la luce si propaga nel vuoto a velocità costante indipendentemente dallo stato di moto della sorgente o dell’osservatore.

Da questi due postulati derivavano conseguenze sconcertanti per il senso comune. La relatività ristretta dimostrò che non esistono uno spazio e un tempo assoluti, come invece pensava Newton. Quando sono coinvolte velocità relativistiche, cioè velocità che rappresentano una frazione significativa della velocità della luce, i corpi e le distanze si accorciano nella direzione del moto e il tempo rallenta. Il fatto che le durate e le distanze dipendano dal sistema di riferimento dell’osservatore fa perdere al concetto di simultaneità la sua validità universale. Due eventi che appaiono simultanei a un dato osservatore possono apparire sfalsati nel tempo a un altro osservatore che si trova in un diverso sistema inerziale.

Ogni misurazione di tempi e distanze dipende, in sostanza, dal sistema di riferimento in cui viene effettuata: è relativa. Tale relatività implica che non esiste un sistema di riferimento privilegiato. Ciascun osservatore è ugualmente in diritto di considerare il proprio sistema di riferimento inerziale in quiete, cioè immobile, e di giudicare, invece, in moto il sistema inerziale a cui appartiene un altro osservatore, un po’ come accade al passeggero di un treno che veda dal finestrino il treno sul binario accanto scivolare via, senza poter sapere direttamente se è il proprio treno che si sta muovendo oppure l’altro o entrambi.

Un’altra conseguenza sconcertante della relatività ristretta è che nessuna forza, per quanto grande, può accelerare un corpo dotato di massa fino alla velocità della luce. Quanto più, infatti, un oggetto si avvicina a quel limite, tanto più l’energia spesa per accelerarlo va ad accrescere la sua massa [2] invece che la sua velocità. È un effetto dell’equivalenza di massa ed energia, definita dalla famosa equazione E=mc².

Le previsioni della relatività speciale, dalla contrazione delle distanze alla dilatazione del tempo fino all’equivalenza di massa ed energia, sono state puntualmente confermate da un’infinità di esperimenti di laboratorio. Ma, negli anni immediatamente seguenti la pubblicazione della teoria, essa apparve ai fisici dell’epoca come una costruzione astrusa, difficile da comprendere e, soprattutto, da accettare [3]. Lo stesso Einstein era scontento. Era infatti dolorosamente consapevole che la sua teoria era in conflitto con la legge di gravitazione universale di Newton, che rappresentava una delle conquiste scientifiche più importanti mai compiute dall’umanità.

La legge formulata da Newton fa dipendere l’attrazione tra due oggetti dalle loro masse e dalla distanza che li separa, senza alcuna menzione del tempo. In una simile visione, se una massa si muove, altre masse situate in punti diversi dello spazio percepiscono istantaneamente il cambiamento nell’attrazione gravitazionale. Ma una forza che si comunica istantaneamente dovunque, indipendentemente dalle distanze, viola uno dei due postulati su cui si regge la teoria della relatività, quello secondo il quale nessun effetto fisico può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.

La relatività ristretta, da parte sua, si applicava solo ai moti inerziali e non ai moti accelerati, come sono quelli generati dalla forza di gravità. L’unica via d’uscita, per Einstein, era riuscire a estendere la teoria della relatività anche ai moti accelerati, dimostrando nel contempo che la legge di gravitazione di Newton non era l’unica descrizione possibile della gravità.

Ci vollero quasi dieci anni di sforzi titanici per riuscire a inglobare la gravità all’interno della teoria della relatività, un lavoro reso ancora più difficile dalla necessità di trovare gli strumenti matematici più adatti a esprimere le complesse relazioni che legano tra loro massa ed energia da un lato, spazio e tempo dall’altro. Ma quegli sforzi furono ampiamente ripagati. A oltre un secolo dalla sua pubblicazione, avvenuta alla fine del 1915, la relatività generale ha superato con successo ogni test a cui è stata sottoposta, dimostrando che la descrizione della gravità a cui giunse Einstein è la migliore di cui ancora oggi disponiamo.

La legge di gravitazione universale di Newton resta valida come un’utile approssimazione del modo in cui le masse “sentono” la gravità, ma è un’approssimazione che funziona solo fino a un certo punto. Vi sono casi, infatti, come quello famoso della precessione del perielio dell’orbita di Mercurio, in cui le previsioni della relatività generale si dimostrano più precise, permettendo di risolvere brillantemente problemi ai quali la legge di Newton non è in grado di fornire risposte altrettanto soddisfacenti.

«Il pensiero più felice della mia vita»

Ciò che mise Einstein sulla buona strada nella sua sfida tesa a inglobare la gravità nella teoria della relatività fu, come spesso gli accadeva, un esperimento mentale. Si trattò in questo caso di una vera e propria illuminazione, come Einstein stesso spiegò, nel corso di una conferenza tenuta all’Università di Kyoto in Giappone nel dicembre 1922, circa quindici anni dopo aver avuto quel pensiero rivelatore:

Il punto di svolta mi si presentò improvvisamente un giorno. Ero seduto su una sedia del mio ufficio brevetti a Berna. Di colpo fui attraversato da un pensiero: se un uomo cade liberamente, egli non sente il suo peso. Ne rimasi sorpreso. Questo semplice esperimento mentale mi lasciò una profonda impressione. Fu esso a condurmi alla teoria della gravità.

L’importanza di quell’illuminazione è spiegata con chiarezza in un appunto che Einstein buttò giù nel settembre 1907 a margine di un articolo in preparazione:

Ciò che mi capitò allora fu il glücklichste Gedanke meines Lebens, il pensiero più felice della mia vita, nella seguente forma. Il campo gravitazionale ha solo un’esistenza relativa, in modo simile al campo elettrico generato dall’induzione magnetoelettrica. Perché, per un osservatore in caduta libera dal tetto di una casa, non esiste — almeno nelle sue immediate vicinanze — nessun campo gravitazionale. Infatti, se l’osservatore lascia cadere alcuni corpi, questi rimangono presso di lui in uno stato di quiete o di moto uniforme, indipendentemente dalla loro particolare natura chimica o fisica (in tale considerazione è ignorata, ovviamente, la resistenza dell’aria).

Con la fervida immaginazione che lo contraddistingueva, Einstein, figurandosi un uomo che cade dal tetto di una casa, concentrò la sua attenzione non sul funesto effetto dell’impatto con il suolo, ma su ciò che accade durante la caduta. In quegli istanti, mentre è in caduta libera, l’osservatore — come lo definì Einstein pensando da scienziato — non sente il suo peso, non avverte cioè la forza di gravità. Se la caduta fosse abbastanza lunga, l’uomo potrebbe lasciar cadere degli oggetti intorno a sé e vedrebbe che quelli fluttuano accanto a lui, muovendosi con la sua stessa velocità. In sostanza, la caduta libera in un campo gravitazionale è indistinguibile dai moti rettilinei uniformi a cui si applica la relatività ristretta, almeno nelle immediate vicinanze dell’osservatore [4].

Il punto essenziale in quello che Einstein considerò il pensiero più felice della sua vita è il fatto che tutti i corpi, indipendentemente dalla loro massa e composizione chimica, quando sono in caduta libera precipitano con la stessa velocità (trascurando l’effetto della resistenza dell’aria). Questo semplice dato di fatto fornì al fisico tedesco un solido fondamento su cui costruire l’impianto della relatività generale: il cosiddetto principio di equivalenza, che consiste nella perfetta corrispondenza che esiste in natura — una corrispondenza per nulla scontata — tra massa inerziale e massa gravitazionale.

Per chiarire, la massa inerziale è la resistenza che un corpo oppone all’azione di una forza che cerca di cambiare la sua velocità, che cerca cioè di accelerarlo. È la m nell’equazione F = m∙a, che esprime il secondo principio della dinamica di Newton. La massa gravitazionale, invece, è la massa che esercita attrazione su altre masse, secondo la relazione definita dalla legge di gravitazione universale. È in pratica la proprietà che dà peso ai corpi.

Nell’edificio concettuale costruito da Newton non c’è nessuna relazione diretta tra queste due proprietà della massa. Il fatto che esse si corrispondano perfettamente, come dimostrano i più sofisticati e precisi esperimenti finora condotti [5], è un puro accidente, una sorta di inspiegabile miracolo naturale. Ma Einstein escogitò un esperimento mentale che dimostrava che, nei limiti di un sistema isolato sufficientemente piccolo, massa inerziale e massa gravitazionale devono necessariamente corrispondersi.

L’esperimento è descritto in una versione divulgativa della teoria della relatività, che il fisico tedesco pubblicò nel 1916. Einstein propose al lettore di immaginare una persona chiusa dentro una cassa senza aperture verso il mondo esterno. La cassa non si trova però sulla Terra, come il suo occupante immagina, ma nello spazio, lontana da qualsiasi campo gravitazionale. Un essere non meglio specificato, usando una fune di lunghezza altrettanto non specificata, tira verso l’“alto” la cassa, trasmettendole ininterrottamente un’accelerazione di 9,8 m/s², pari a quella che tutti noi sperimentiamo sulla superficie terrestre. Ecco di seguito l’esperienza dell’occupante della cassa, così come è descritta da Einstein:

Supponiamo che questa persona dentro la cassa fissi una corda al lato interno del coperchio, e appenda un corpo all’estremo libero della corda. Il risultato sarà che la corda verrà tesa in modo da pendere “verticalmente” all’ingiù. Se chiediamo la sua opinione sulla causa della tensione della corda, la persona risponderà: “Il corpo sospeso subisce una forza all’ingiù nel campo gravitazionale e questa è neutralizzata dalla tensione della corda; ciò che determina la misura della tensione della corda è la massa gravitazionale del corpo sospeso.” Invece, un osservatore che si libri senza vincoli nello spazio interpreterà i fatti così: “La corda deve per forza prendere parte al moto accelerato della cassa, e trasmette questo moto al corpo appeso ad essa. La tensione della corda è tanto grande quanto occorre per produrre l’accelerazione del corpo. Ciò che determina la misura della tensione è la massa inerziale del corpo”. Guidati da quest’esempio, vediamo che la nostra estensione del principio di relatività fa apparire necessaria la legge dell’uguaglianza fra massa inerziale e massa gravitazionale. Abbiamo ottenuto così un’interpretazione fisica di questa legge.

Nell’esperimento mentale ideato dal fisico tedesco, la proprietà della massa che conferisce peso ai corpi in un campo gravitazionale è intrinsecamente indistinguibile dalla massa inerziale, cioè la resistenza che i corpi offrono all’azione di una qualsiasi forza che tenti di accelerarli. Le due proprietà della massa sono come due facce di una stessa medaglia: l’una può essere scambiata per l’altra, a seconda del sistema di riferimento adottato dall’osservatore.

La gravità non esiste per i corpi in caduta libera

Il principio di equivalenza, garantito dal fatto che in un campo gravitazionale tutti gli oggetti, indipendentemente dalla loro massa e composizione, cadono con la stessa velocità, consentì ad Einstein di compiere il passo concettuale decisivo verso l’inclusione della gravità all’interno della sua teoria. Il punto centrale della questione è che ciò che accade in un sistema di riferimento in caduta libera (purché sufficientemente piccolo) è indistinguibile da ciò che accade in un sistema di riferimento inerziale in moto rettilineo uniforme. Ciò vuol dire che tutte le leggi fisiche valide in un sistema di riferimento inerziale devono restare valide anche in un sistema di riferimento in caduta libera, accelerato dalla gravità. Uno dei due principi fondanti della relatività ristretta poteva essere così esteso anche ai moti accelerati!

Ciò che è veramente sorprendente in questo nuovo modo di guardare alla gravità, nato dall’illuminazione avuta da Einstein nel suo ufficio brevetti di Berna in un giorno del 1907, è che la percezione del nostro peso, cioè l’effetto della gravità terrestre sulla nostra massa corporea, esiste solo ed esclusivamente se c’è qualcosa che ostacola la nostra caduta verso il centro della Terra, qualcosa che ci blocca, come il terreno su cui poggiamo i piedi.

Una persona in caduta libera non avverte il suo peso [Supriya Bhonsle / Mixkit]

Nell’Universo di Newton, la gravità è una forza che attira ogni cosa verso il basso; il terreno, fornendoci una base di appoggio, esercita una spinta uguale e contraria a quella della gravità. Ma, nell’Universo della relatività generale, la gravità non è una forza, come suggerisce la sensazione di fluttuare senza peso che si ha durante la caduta libera [6]. Una forza, invece, agisce su di noi costantemente quando poggiamo i piedi sul terreno ed è la spinta verso l’“alto” proveniente dal terreno stesso. È quella spinta che ci fa sentire il nostro peso, peso che smetteremmo di sentire se improvvisamente quel terreno venisse a mancare sotto i nostri piedi. È lo stesso tipo di forza che sperimenteremmo se ci trovassimo all’interno di un’astronave, pressati contro il pavimento dalla costante accelerazione dei motori. Il pavimento dell’astronave, venendoci incontro mentre l’astronave avanza nello spazio, creerebbe in noi una sensazione di peso del tutto analoga a quella prodotta dalla gravità sulla Terra o su qualsiasi altro pianeta.

L’equivalenza tra i sistemi di riferimento in caduta libera e quelli in moto inerziale produce un’altra sorprendente conseguenza: le traiettorie degli oggetti in movimento appaiono a un osservatore in caduta libera come moti rettilinei uniformi, non come parabole, come appaiono invece a coloro i quali hanno i piedi saldamente piantati sulla terra.

Un esperimento mentale che esemplifica questa insolita esperienza si può leggere in un libro del fisico e premio Nobel Kip Thorne, pubblicato nel 1994 (“Buchi neri e salti temporali”):

Come esempio dell’equivalenza tra un quadro di riferimento inerziale privo di gravità e il vostro piccolo quadro in caduta libera pensate alla legge della relatività ristretta che descrive il moto di un oggetto che si muove liberamente (supponiamo una palla di cannone) in un universo senza gravità. Misurata in un qualsiasi quadro inerziale in questo universo idealizzato, la palla deve muoversi in linea retta e a velocità uniforme. Confrontate questa situazione con il movimento della palla nel nostro Universo reale dotato di gravità: se la palla viene sparata da un cannone piazzato in un prato erboso sulla Terra ed è osservata da un cane seduto sull’erba, la palla si innalza, compie un arco e ricade sulla Terra. Essa si muove lungo una parabola, se misurata nel quadro di riferimento del cane. Einstein vi chiede di guardare questa stessa palla di cannone a partire da un quadro di riferimento piccolo e in caduta libera. Ciò è più facile se il prato è sull’orlo di un precipizio. In questo caso potete saltare giù appena la palla di cannone viene sparata e osservarla mentre cadete.

Per aiutarvi a illustrare ciò che vedete durante la caduta, immaginate di tenere davanti a voi una finestra con dodici riquadri di vetro e di osservare la palla di cannone attraverso di essa. […] Osservando tale sequenza, ignorate il cane, il cannone, l’albero e il precipizio; concentratevi solo sui riquadri della vostra finestra e sulla palla. Vista da voi, relativamente ai riquadri della vostra finestra, la palla si muove lungo la linea retta tratteggiata a velocità costante.

I cinque riquadri, da osservare secondo l’ordine delle lettere (a, b, c, d, e), mostrano la traiettoria della palla di cannone nel sistema di riferimento del cane fermo sul prato (la traiettoria è in questo caso una parabola) e nel sistema di riferimento dell’uomo che precipita dalla rupe, tenendo davanti a sé una finestra suddivisa in dodici riquadri (la traiettoria è in questo caso una linea retta). L’esperimento mentale dimostra che ciò che accade in un (piccolo) sistema di riferimento in caduta libera è indistinguibile da ciò che accade in un sistema di riferimento in moto inerziale [Kip Thorne, “Buchi neri e salti temporali”]

La gravità è un fattore geometrico, non una forza

Ma, se la gravità non esiste per un corpo in caduta libera, se essa non è una forza, che cos’è allora? Per la relatività generale, è una deformazione dello spazio-tempo, un semplice fattore geometrico. Più precisamente, è la curvatura che le masse disseminate nell’Universo generano nello spazio che le circonda. Ogni corpo in moto, a meno che non trovi ostacoli che lo blocchino e forze che lo devino dalla sua traiettoria, tende a procedere in linea retta, come afferma il primo principio della dinamica. Ma la presenza di masse curva lo spazio, lo deforma. In conseguenza di ciò, la linea più breve che unisce due punti, detta geodetica, non è una più una retta, ma una curva. In uno spazio piano, le geodetiche sono linee rette, ma in uno spazio curvo, sono linee curve.

Per capire il concetto, basta pensare a cosa accade quando ci si nuove sulla superficie terrestre. La via più breve per raggiungere uno dei poli da un punto qualsiasi situato sull’equatore consiste nel percorrere un arco di meridiano. Al livello di scala degli esseri umani, quel tragitto, cioè la geodetica che congiunge l’equatore al polo, appare rettilineo, ma, se osserviamo la Terra dallo spazio, allora diventa evidente che quell’arco di meridiano non è una linea retta, ma una curva.

Nella visione geometrica della relatività generale, la Terra e gli altri pianeti del Sistema Solare orbitano intorno al Sole, non perché dal Sole si sprigiona una forza che attira a sé i pianeti e tutti gli altri corpi nella sua sfera d’influenza, ma perché la massa del Sole incurva lo spazio in modo tale che le geodetiche che i pianeti percorrono si configurano come orbite ellittiche vincolate al Sole. I pianeti sono costantemente in caduta libera, mentre avanzano lungo le geodetiche che circondano il Sole.

Purtroppo, la nostra intuizione, limitata a un mondo che ci appare tridimensionale e regolato dalla geometria euclidea, non è in grado di visualizzare in modo diretto uno spazio curvo. Eppure lo spazio deformato dalle masse si comporta proprio nel modo descritto dalla relatività generale. Ciò significa che, in presenza di una forte concentrazione di massa, lo spazio si deforma in modo tale che il rapporto tra la circonferenza e il raggio non è più 2𝝅 e la somma degli angoli interni di un triangolo non misura più 180°, come avviene invece nello spazio euclideo [7].

Una pesante roccia poggiata su un trampolino elastico crea una deformazione della superficie elastica analoga a quella prodotta da un buco nero sullo spazio ad esso circostante. Più ci si avvicina al fondo della depressione creata dalla roccia, più le circonferenze si accorciano rispetto ai raggi, in modo che il rapporto tra le prime e i secondi diventa molto minore di 2𝜋 [Kip Thorne, “Buchi neri e salti temporali”]

Per fortuna, la nostra intuizione può essere messa sulla buona strada ricorrendo ad appositi esperimenti mentali. Uno particolarmente illuminante si può leggere in un libro di carattere divulgativo scritto da Einstein in collaborazione con il fisico polacco Leopold Infeld (“L’evoluzione della fisica”, 1938). Gli autori invitano il lettore a immaginare un grande disco rotante, sul quale sono disegnate due circonferenze concentriche, i cui centri coincidono con l’asse di rotazione del disco:

Immaginiamo un grande disco sul quale siano tracciati due cerchi concentrici, uno dei quali molto piccolo e l’altro molto grande e il cui centro comune coincida con il centro del disco. Un osservatore si trova sul disco che è animato da un rapido moto di rotazione rispetto a un osservatore esterno. Supporremo che l’SC [sistema di coordinate] di quest’ultimo sia un SC inerziale, e che l’osservatore esterno vi tracci due cerchi delle stesse dimensioni di quelli disegnati sul disco in rotazione e coincidenti con essi. Trattandosi di un SC inerziale la geometria euclidea è valevole per l’SC dell’osservatore esterno, per cui egli troverà che il rapporto fra le circonferenze è uguale a quello fra i raggi. Ma come stanno le cose per l’osservatore sul disco in rotazione? Dal punto di vista sia della fisica classica, sia della teoria della relatività speciale, il suo SC è interdetto. Ma se ci proponiamo di trovare nuove forme per le leggi fisiche, valevoli per qualsiasi SC, dobbiamo tenere nello stesso conto le misurazioni di entrambi gli osservatori. Beninteso, quello di essi che si trova sul disco in rotazione al misurare la lunghezza dei raggi e delle circonferenze dovrà adoperare il medesimo regolo di cui si serve l’osservatore esterno. Il «medesimo» significa realmente il medesimo regolo che l’osservatore esterno passa a quello sul disco, oppure l’uno di due regoli aventi la medesima lunghezza a riposo in uno stesso SC.

[A. Einstein, L. Infeld, “L’evoluzione della fisica”, 1938]

L’osservatore sul disco comincia col misurare raggio e circonferenza del cerchio piccolo. I risultati sono necessariamente gli stessi come per l’osservatore esterno. L’asse intorno al quale ruota il disco passa per il centro di questo, nella cui vicinanza le velocità di rotazione sono molto piccole. Se il cerchio è abbastanza piccolo, possiamo con tutta sicurezza applicare le leggi della meccanica classica e ignorare la relatività speciale. Ciò significa che il regolo possiede la stessa lunghezza tanto per l’osservatore esterno quanto per quello sul disco e che il risultato delle misurazioni sarà lo stesso per entrambi. Vediamo ora che cosa succede allorché l’osservatore sul disco misura il raggio del cerchio grande. Collocato sul raggio, il regolo si trova in moto rispetto all’osservatore esterno. Tuttavia il regolo non subisce contrazione e possiede la stessa lunghezza per entrambi gli osservatori, dato che la direzione del moto è perpendicolare al raggio. Pertanto tre misure, quelle cioè dei due raggi e della circonferenza piccola, sono le stesse per entrambi gli osservatori. Ma non è più così per la quarta misura! La lunghezza della circonferenza grande sarà diversa per i due osservatori. Il regolo collocato sulla circonferenza nella direzione del moto sembrerà contratto all’osservatore esterno in paragone con il proprio, a riposo. La velocità è molto superiore a quella del cerchio interno e questa contrazione va tenuta in conto. Cosicché, se applichiamo la teoria della relatività speciale, giungiamo alla conclusione che la circonferenza grande, misurata dai due osservatori, deve risultare di lunghezza diversa. E poiché una sola delle quattro lunghezze misurate dai due osservatori non è per essi la stessa, ne segue che per l’osservatore sul disco il rapporto fra i due raggi non può essere uguale al rapporto fra le due circonferenze, come lo è per l’osservatore esterno. Ciò significa che l’osservatore sul disco non può confermare la validità della geometria euclidea nel proprio SC.

Esistiamo in uno spazio curvo, in cui gli effetti della gravità sono indistinguibili da quelli di qualsiasi altro moto accelerato

Lo scopo dell’esperimento mentale proposto da Einstein e Infeld è mostrare che moti accelerati e curvatura dello spazio sono strettamente correlati. La rotazione del disco, infatti, è un moto accelerato, anche se il disco ruota a velocità costante [8]. I punti sulla circonferenza interna, che si trova molto vicina al centro di rotazione, si muovono tuttavia molto più lentamente dei punti sulla circonferenza esterna. Trattandosi di un esperimento mentale, abbiamo piena libertà di immaginare un disco così grande e così resistente, che la rotazione dei punti sulla circonferenza esterna possa raggiungere una frazione significativa della velocità della luce senza che il disco vada in frantumi. In tal caso, la circonferenza esterna andrà incontro a una significativa contrazione delle lunghezze. Pertanto, un osservatore che si trovi sul disco, usando il medesimo regolo utilizzato per misurare la lunghezza del raggio della circonferenza esterna, troverà che la lunghezza di quella circonferenza è maggiore di 2𝝅 volte quella del raggio. Ciò significa che in presenza di accelerazioni sufficientemente grandi, lo spazio si deforma, s’incurva, non corrisponde più alle regole della geometria euclidea.

L’accelerazione del disco rotante, inoltre, è intrinsecamente indistinguibile da un’accelerazione generata dalla gravità. Possiamo infatti immaginare che sul bordo del disco sia montata una cassa senza finestre del tutto analoga a quella dell’esperimento mentale escogitato da Einstein per mostrare la necessaria corrispondenza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Orbene, in una simile cassa, posizionata in modo che il pavimento si trovi verso l’esterno del disco e sia perpendicolare alla sua superficie, un osservatore situato all’interno, ignaro di trovarsi su un disco in rotazione, avvertirebbe una forza che spinge il suo corpo e tutti gli oggetti nella cassa verso il pavimento.

Un osservatore che si trovi all’esterno e vedesse la cassa montata sul disco spiegherebbe quella forza come una forza fittizia, e precisamente la forza centrifuga generata dalla tendenza dei corpi messi in rotazione a mantenere un moto rettilineo uniforme. Ma l’osservatore chiuso nella cassa avrebbe tutto il diritto di interpretare la forza che lo tiene incollato al pavimento come il normale effetto della gravità avvertita sulla Terra (o su qualsiasi altro pianeta egli viva).

In conclusione, applicando la logica e l’immaginazione, è inevitabile concludere che viviamo in uno spazio non euclideo, in cui le masse (e l’energia) deformano lo spazio, obbligando i corpi celesti e ogni altro oggetto a seguire traiettorie curve. In un simile contesto, descritto in modo elegante e preciso dalle equazioni di campo della relatività generale, la gravità non è una forza, ma un effetto della geometria dell’Universo, un effetto peraltro in sé non distinguibile da quello prodotto da qualsiasi altro tipo di moto accelerato.

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Note

[1] Un sistema di riferimento è un sistema di coordinate che fornisce regole coerenti per osservare e misurare fenomeni fisici. Un sistema di riferimento inerziale è un sistema di riferimento che obbedisce al primo principio della dinamica («ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, salvo che sia costretto a mutare quello stato da forze applicate ad esso»).

[2] Si intende qui la massa relativistica di un oggetto. C’è differenza, infatti, tra massa a riposo e massa relativistica. La prima è invariante, la seconda no. La massa a riposo di un oggetto è quella misurata da un osservatore solidale con il sistema di riferimento inerziale a cui l’oggetto appartiene, per esempio il passeggero di un astronave. Per tale osservatore, l’astronave e tutto ciò che essa contiene appaiono fermi, immobili. Per un altro osservatore in un diverso sistema di riferimento inerziale, l’astronave invece si muove e la sua massa è tanto maggiore della sua massa a riposo quanto più la sua velocità si avvicina a quella della luce.

[3] Non è un caso che l’unico premio Nobel vinto da Einstein, consegnatogli nel 1922 per l’anno 1921, gli fu conferito per la scoperta del meccanismo che regola l’effetto fotoelettrico piuttosto che per la teoria della relatività, nonostante egli fosse ormai divenuto una celebrità mondiale, in seguito alla conferma sperimentale, giunta nel 1919, della deviazione della luce da parte della massa del Sole, prevista appunto dalla relatività generale.

[4] La precisazione è indispensabile, perché, se gli oggetti in caduta libera sono troppo distanti tra loro, diventa percettibile il fatto che le loro traiettorie non sono perfettamente parallele, come sarebbero in un puro sistema inerziale che si muove di moto rettilineo uniforme, ma convergono verso il punto da cui si origina il campo gravitazionale che genera la caduta (o convergono seguendo la curvatura dello spazio-tempo prodotta dalle masse in esso presenti, secondo la visione alternativa proposta dalla relatività generale).

[5] La misurazione più precisa fino ad oggi ottenuta dell’equivalenza di massa inerziale e massa gravitazionale si deve al satellite MICROSCOPE (Micro-Satellite à traînée Compensée pour l’Observation du Principe d’Equivalence), lanciato nel 2016 e decommissionato nel 2018. Dall’analisi dei dati ricavati dalle orbite compiute dal satellite intorno alla Terra, gli scienziati hanno potuto verificare che il principio di equivalenza rimane valido fino al limite di sensibilità garantito dal sistema di test a bordo del satellite, limite che corrisponde a una precisione di poche parti su 10⁻¹⁵, cioè nell’ordine dei milionesimi di miliardesimo.

[6] Della gravità restano, anche su un corpo in caduta libera, gli effetti mareali, cioè la differente forza con cui la gravità agisce sulle parti del corpo in caduta libera più vicine e più lontane dall’origine del campo gravitazionale. Ma gli effetti mareali diventano importanti solo in prossimità di oggetti dotati di immensa gravità come i buchi neri.

[7] L’analogia più usata per fornire un’immagine intuitiva della curvatura dello spazio creata dalle masse in esso presenti è quella di un trampolino elastico, in cui una palla massiccia simboleggiante il Sole crea una profonda depressione, il che costringe delle biglie più leggere lanciate sul telo (i pianeti) a percorrere delle ellissi sempre più strette intorno al “Sole”, finché non raggiungono il fondo della depressione e lì si fermano. Tale analogia è in verità poco chiarificatrice, sia perché nella realtà i pianeti non precipitano mai sul Sole sia perché la curvatura creata dalle masse influenza tutte e tre le dimensioni dello spazio e non solo due, come avviene in un trampolino elastico.

[8] Tutti i corpi in moto circolare uniforme sperimentano un’accelerazione centripeta, cioè una forza diretta verso il centro di rotazione, che, variando di continuo la direzione del vettore della velocità, si oppone alla naturale tendenza dei corpi a muoversi di moto rettilineo uniforme.

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.