Big Bang, inflazione e Multiverso (3/4)

L’inflazione avviene sotto l’influenza di un campo scalare chiamato inflatone: visualizzare un fenomeno così lontano dall’esperienza comune richiede un certo sforzo d’immaginazione, ma è possibile. Le piccole disomogeneità nella distribuzione della materia nell’Universo osservabile sono la trasposizione a livello cosmologico di fluttuazioni quantistiche accadute durante l’inflazione

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

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L’inflazione è un ponte tra il microcosmo e il macrocosmo

Ma cosa determinò quell’improvvisa, inimmaginabile espansione dell’Universo? Si può giustificare da un punto di vista fisico un fenomeno così straordinario o è solo una congettura ad hoc pensata per risolvere i problemi lasciati aperti dalla teoria del Big Bang? Cerchiamo di capirlo. La spiegazione fisica del processo addotta dai teorici dell’inflazione ha a che fare con l’esistenza dei cosiddetti campi scalari.

Nella sua essenza, un campo scalare non è altro che una regione di spazio, in cui una funzione matematica permette di associare in modo univoco a ciascun punto dello spazio un valore scalare, cioè una quantità definita soltanto da un numero. I campi scalari influiscono sulle proprietà delle particelle elementari e, se hanno potenziale costante, sono indistinguibili dal vuoto. Seguiamo in proposito la spiegazione fornita dal fisico Andrei Linde:

Sebbene questi campi non si incontrino certo nella vita quotidiana, esiste un loro analogo familiare, il potenziale elettrico: la tensione in un circuito ne è un esempio. I campi elettrici compaiono solo se questo potenziale non è costante, come fra i poli di una batteria, o se cambia nel tempo. Se l’intero universo avesse lo stesso potenziale elettrico, nessuno potrebbe notarlo; il potenziale apparirebbe come un qualsiasi stato del vuoto. Così pure, un campo scalare costante appare come un vuoto: non lo vediamo anche se siamo circondati da esso. Questi campi scalari pervadono l’universo e rivelano la propria presenza influenzando le proprietà delle particelle elementari. È l’interazione delle particelle W e Z [mediatrici dell’interazione debole] con un campo scalare che le rende pesanti; le particelle che non interagiscono, come il fotone, non acquistano massa [Le Scienze n. 317, gennaio 1995, pag. 28].

È proprio un campo scalare (o più di uno, secondo alcuni modelli) che determina l’espansione esponenziale dello spazio nella teoria dell’inflazione. Per chiarire, l’Universo ha continuato a espandersi anche dopo il periodo inflazionario, ma il tasso di espansione dello spazio in un cosmo ormai riempito di materia e di radiazione, non solo è molto più ridotto rispetto all’epoca dell’inflazione, ma diminuisce col tempo (non considerando il contributo della cosiddetta energia oscura): esso scala, infatti, in ragione della densità dell’energia e tale densità diminuisce a mano a mano che lo spazio si dilata.

Ma durante l’inflazione si verificarono condizioni completamente diverse. Secondo la teoria, l’Universo, durante quella fase di rapidissima espansione, non era ancora riempito di materia e di radiazione: tutta l’energia era concentrata nel vuoto, un «falso vuoto» che era il teatro d’azione di un campo scalare chiamato inflatone. Sempre secondo la teoria, a differenza di quanto accade con la materia e con la radiazione, la densità di energia di questo (ipotetico) campo scalare non diminuisce con l’espansione, ma si mantiene pressoché costante in tutti i punti in cui l’energia potenziale del campo è lontana dal minimo. È in quei punti che avviene l’espansione inflazionaria.

Quando si instaura tale condizione, e finché il campo scalare non precipita localmente al suo valore minimo, il vuoto esercita una pressione negativa e la gravità agisce sorprendentemente non più come una forza attrattiva ma come una forza repulsiva, generando un’improvvisa e velocissima espansione dello spazio.

Rappresentazione schematica del meccanismo che determina l’inflazione. Il campo scalare in un universo inflazionarlo può essere rappresentato immaginando una sfera che scende lungo la parete di una ciotola. Più la palla è lontana dal fondo della ciotola, maggiore è l’energia potenziale dell’inflatone. Quando la palla arriva sul fondo e raggiunge il minimo di energia, le oscillazioni intorno al minimo determinano il re-riscaldamento dell’Universo e la produzione di materia/antimateria e radiazione, cioè la nascita dell’Universo secondo lo scenario classico del Big Bang [Le Scienze n. 317, gennaio 1995, pag. 32]

Sembra tutto molto astratto. Per rendere più comprensibile il meccanismo con cui l’energia potenziale dell’inflatone determina l’inflazione può essere utile ricorrere a una rappresentazione visiva. È quello che ha fatto l’astrofisico e divulgatore scientifico Ethan Siegel nel suo libro Beyond the Galaxy, dal quale riporto il seguente brano nella mia traduzione in italiano:

Come possiamo visualizzare l’inflazione e in che modo questa fase inflazionaria giunge al termine? Mi piace immaginare una superficie del tutto piatta, sospesa in alto rispetto al terreno, formata da un incalcolabile numero di blocchi rettangolari. Questi blocchi non sono saldati fisicamente l’uno all’altro, ma sono mantenuti in posizione da una qualche forza invisibile che spinge presso i loro bordi. E allo stesso tempo c’è una palla massiccia — immaginiamo una palla da bowling — che rotola sopra i blocchi. Finché i blocchi restano al loro posto e la palla vi rotola sopra, l’inflazione procede. Ciascun nuovo blocco su cui la palla rotola dà all’Universo abbastanza tempo per raddoppiare di dimensioni. Nel tempo che la palla impiega a passare su 64 blocchi, c’è stata abbastanza inflazione per trasportare qualcosa della grandezza della più piccola particella esistente oggi nel nostro Universo fino alle dimensioni dell’intero Universo osservabile. […] Ma, a un certo punto, o la palla incappa in un punto debole tra i blocchi oppure semplicemente ha rotolato così a lungo che il suo effetto cumulativo fa sì che un solo, unico blocco cada giù. Quando ciò avviene, si verifica una reazione a catena intorno alla palla e tutti i blocchi nelle sue vicinanze cadono, precipitando al suolo. Il momento in cui sia la palla sia i blocchi hanno finalmente raggiunto il terreno rappresenta la fine dell’inflazione e l’inizio di un Universo — uniforme in qualunque direzione si guardi — riempito di materia, antimateria e radiazione, la cui energia è determinata semplicemente dall’altezza dalla quale i blocchi sono caduti. […] Ciò che resta alla fine dell’inflazione è un Universo che può essere descritto da una fase calda, densa, in espansione ma in via di raffreddamento: esattamente ciò che identifichiamo con il Big Bang [Ethan Siegel, Beyond the Galaxy (2016), pag. 253–255].

Un’analogia che illustra il meccanismo dell’inflazione: l’espansione esponenziale dello spazio procede finché la palla rotola su una superficie di blocchi adiacenti. A un certo punto la struttura di blocchi si rompe in un punto, viene meno la coerenza dell’insieme e la palla e tutti i blocchi precipitano al suolo: è la fine dell’inflazione [Ethan Siegel, Beyond the Galaxy (2016), pag. 256]

Durante l’inflazione la temperatura cala di diversi ordini grandezza (da 10²⁷ K a 10²² K secondo alcuni modelli di inflazione). Ma, una volta che il campo dell’inflatone è precipitato intorno al suo valore minimo, l’inflazione termina e la temperatura ritorna ai valori precedenti: è la fase chiamata cosmic reheating, cioè re-riscaldamento cosmico. È in questa fase cruciale che il decadimento dell’inflatone porta alla creazione di un numero enorme di particelle, che nascono letteralmente dal vuoto: da quel momento in poi, l’Universo continua a espandersi e a raffreddarsi nel modo descritto tradizionalmente dal modello del Big Bang.

Ma che prove abbiamo che le cose si siano svolte realmente come predice la teoria dell’inflazione? Certo, l’espansione esponenziale dello spazio descritta dal modello inflazionario risolve elegantemente i tre problemi dell’orizzonte, della piattezza e dei monopoli mancanti, che la teoria del Big Bang, da sola, non era in grado di spiegare. Ma c’è qualcosa di più? Pare proprio di sì e questo qualcosa ci porta verso scenari ancora più sconcertanti di un cosmo che si espande di 10⁵⁰ volte in una frazione infinitesima di un secondo.

L’inflazione, come ricordato in precedenza, comincia quando l’Universo ha dimensioni submicroscopiche, dell’ordine della lunghezza di Planck, e termina quando lo spazio si è dilatato a dismisura, molto oltre i confini dell’Universo osservabile. Ciò significa che l’inflazione possiede una proprietà unica: quella di costruire un ponte tra il microcosmo e il macrocosmo. Più specificamente, significa che le fluttuazioni quantistiche dell’energia del vuoto, che influenzano i valori locali dell’inflatone (il campo scalare che governa l’inflazione), invece di rimanere confinate al mondo submicroscopico producono effetti visibili su scala cosmologica.

Le fluttuazioni dell’energia del vuoto, che si verificarono durante l’inflazione per l’intrinseca indeterminazione dei fenomeni quantistici (in accordo con il principio definito da Heisenberg), si tradussero alla fine in sottili differenze nella distribuzione della materia che riempì l’Universo, una volta che l’inflazione fu terminata e l’energia da essa rilasciata fu convertita in un oceano di particelle: è come se quelle fluttuazioni fossero rimaste “congelate” nella trama dello spazio-tempo, producendo un’eco visibile nelle variazioni di densità nella distribuzione della materia creata al termine della fase inflazionaria.

Le tracce di quelle fluttuazioni quantistiche originarie sono visibili oggi sia nella anisotropie presenti nella CMB, la radiazione cosmica di fondo, sia nella distribuzione delle galassie nell’Universo osservabile. La teoria dell’inflazione predice che le tracce impresse da tali fluttuazioni abbiano una proprietà: quella dell’invarianza di scala. In altre parole, analizzando le imperfezioni della CMB con livelli di dettaglio sempre maggiori, dovrebbe essere possibile riscontrare dei pattern, degli schemi che si ripetono uguali, o molto simili, al variare della scala. È un po’ come se l’immagine di un virus ripresa da un microscopio elettronico venisse riprodotta a fattori di scala sempre più elevati, fino a raggiungere le dimensioni di un ammasso di galassie.

Valori dell’indice spettrale scalare, che misura l’invarianza di scala della CMB. Le varie misurazioni finora effettuate si allineano intorno a un valore leggermente inferiore a 1 (la linea verticale grigia visibile nel grafico), in accordo con le previsioni dei principali modelli di Universo inflazionario [NASA LAMBDA Archive Team]

Per quanto possa sembrare sorprendente, le osservazioni della CMB compiute nel corso di vari anni dai satelliti COBE, WMAP e Planck, integrate da altri esperimenti che hanno studiato la distribuzione delle galassie nell’Universo, hanno confermato che esistono davvero schemi che si ripetono pressoché invariati a scale differenti. La previsione dell’invarianza di scala, almeno per quanto riguarda alcuni modelli di Universo inflazionario, pare insomma confermata dai dati: il parametro che la definisce, chiamato indice spettrale scalare, è stato misurato di recente in 0,9667 ± 0,0040, un valore leggermente minore di 1, coerente con i modelli inflazionari che predicono che le fluttuazioni su scala più grande siano leggermente maggiori delle fluttuazioni visibili su scale minori.

C’è poi un altro effetto potenzialmente osservabile delle fluttuazioni quantistiche avvenute durante l’epoca inflazionaria: le tracce lasciate da onde gravitazionali emesse in conseguenza di fluttuazioni del campo gravitazionale. In base alla teoria, tali onde dovrebbero aver lasciato una traccia ben riconoscibile nella polarizzazione dei fotoni che compongono la CMB. Purtroppo fino ad oggi, nonostante vari esperimenti abbiano cercato di rilevare tali tracce, la firma delle onde gravitazionali emesse all’epoca dell’inflazione, se esiste, non è stata ancora trovata (anche se nel 2014 i ricercatori dell’esperimento BICEP2 credettero erroneamente di averla trovata).

Nel 2014 la collaborazione BICEP2 diffuse quest’immagine che mostra una particolare polarizzazione dei fotoni della CMB, considerata come la traccia lasciata nella radiazione cosmica di fondo dalle onde gravitazionali primordiali prodotte durante la fase di espansione inflazionaria dell’Universo. Purtroppo successive analisi condotte sui dati raccolti dal satellite Planck dimostrarono che l’annuncio della scoperta era stato prematuro: quei modi di polarizzazione erano ascrivibili non a onde gravitazionali primordiali, ma, molto più probabilmente, a polveri diffuse nella Via Lattea [Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics]

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.