(ThoughtCo / Getty Images)

E se non ci fossero buchi neri? (1/2)

Esistono diverse ipotesi teoriche alternative ai buchi neri, nate per evitare i problemi connessi a singolarità e orizzonte degli eventi. Ma cos’è esattamente un buco nero? La prima parte dell’articolo fornisce alcune informazioni di base su questi oggetti misteriosi e invisibili

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
6 min readMar 23, 2018

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Finché sono sostenute dalle reazioni di fusione nucleare al loro interno, le stelle sono corpi in equilibrio idrostatico: la pressione di radiazione diretta verso l’esterno, che è il risultato della produzione di energia dovuta a quelle reazioni, bilancia più o meno esattamente la spinta centripeta della gravità esercitata dalla massa della stella, mantenendo costanti raggio e densità stellare.

Nane bianche e stelle di neutroni

Le cose cambiano quando una stella, giunta ormai al termine della sua vita, non è più in grado di alimentare le reazioni di fusione nucleare. A quel punto, la spinta della gravità, non più adeguatamente contrastata, prevale, inducendo il collasso gravitazionale del nucleo.

Se la massa collassante non supera il cosiddetto limite di Chandrasekhar, pari approssimativamente a 1,4 masse solari, il collasso gravitazionale si arresta quando la spinta della gravità non è più in grado di comprimere ulteriormente i gusci elettronici degli atomi. La resistenza degli elettroni è un fenomeno di natura quantistica: nonostante la spaventosa compressione a cui la materia è sottoposta nel nucleo stellare, il principio di esclusione di Pauli obbliga due fermioni identici (e gli elettroni sono fermioni) a non occupare simultaneamente lo stesso stato quantico. Ciò produce una pressione diretta verso l’esterno, detta pressione di degenerazione, indipendente dalla temperatura, che arresta il collasso. È questa la condizione della materia nelle nane bianche, residui stellari compatti che hanno più o meno le dimensioni della Terra.

Ma, se la massa collassante supera il limite di Chandrasekhar, la pressione di degenerazione degli elettroni non è più sufficiente a contrastare la spinta comprimente della gravità. Gli atomi vengono allora stritolati in una morsa inesorabile che costringe elettroni e protoni a fondersi, formando neutroni. Se la massa è inferiore a circa 3 masse solari, il collasso gravitazionale si arresta a una densissima “zuppa” di neutroni, che riesce a contrastare efficacemente la spinta della gravità grazie, ancora una volta, alla pressione di degenerazione, conseguente ai vincoli posti dal principio di esclusione di Pauli. Ma stavolta i fermioni che si oppongono a un’ulteriore compressione non sono elettroni, ma neutroni: la loro resistenza alla compressione è maggiore di quella degli elettroni, ma opera su un raggio più breve. Tutti gli spazi vuoti vengono così eliminati nel corso del collasso gravitazionale e la materia nel nucleo stellare collassa fino a produrre un oggetto del diametro di soli 20–24 km, mille volte più piccolo di una nana bianca, ma più massiccio del Sole. È una stella di neutroni, in cui la materia può raggiungere densità nell’ordine dei 10¹⁷ g/cm³.

Buchi neri

Ma cosa succede quando la massa collassante è così grande da superare persino la capacità dei neutroni di resistere alla spinta della gravità? Quando ciò avviene, cioè quando la massa collassante supera il cosiddetto limite di Tolman–Oppenheimer–Volkoff (non esattamente determinato, ma compreso tra 2 e 3 masse solari), si forma un buco nero.

Se le stelle di neutroni sono oggetti estremi, ai limiti della comprensione, i buchi neri lo sono molto di più. Hanno due caratteristiche, in particolare, che li distinguono da qualsiasi altro corpo celeste:

  1. il loro interno è nascosto in modo assoluto da un confine spazio-temporale insondabile, detto orizzonte degli eventi;
  2. al loro centro c’è — o almeno dovrebbe esserci — una singolarità.

L’orizzonte degli eventi è il luogo in cui la velocità di fuga dal buco nero eguaglia la velocità della luce. Né la radiazione elettromagnetica né tanto meno un corpo materiale sono pertanto in grado di attraversare questo confine in uscita: luce e materia possono cadere in un buco nero, ma non possono riemergerne. È come una valvola, un passaggio a senso unico.

Ma il modo in cui questo confine si manifesta dipende dalla posizione dell’osservatore. Per chi si trova all’esterno del buco nero, è impossibile vedere qualcosa attraversare l’orizzonte degli eventi: un osservatore distante vedrà un oggetto in caduta verso l’orizzonte degli eventi rallentare sempre più fino ad apparire congelato nel tempo; la sua luce, poi, gli apparirà sempre più spostata verso il rosso. Questo strano fenomeno è una conseguenza del fatto che la luce emessa da un oggetto nel momento in cui attraversa l’orizzonte degli eventi non può in nessun caso raggiungere un osservatore distante: detto in termini relativistici, il cono di luce che parte dall’orizzonte degli eventi non interseca mai la linea di universo dell’osservatore. Il che significa che ciò che accade durante l’attraversamento dell’orizzonte degli eventi di un buco nero è e sarà per sempre invisibile per qualsiasi osservatore si trovi nello spazio esterno al buco nero.

Rappresentazione schematica del comportamento della luce in prossimità di un buco nero (Beginners Magazine)

Ma questo congelamento del tempo e del movimento riguarda solo appunto l’osservatore esterno. Un astronauta che decidesse di sperimentare in prima persona il brivido di precipitare in un buco nero, attraverserebbe l’orizzonte degli eventi senza incontrare alcun ostacolo e senza percepire alcuna alterazione nello scorrere del suo tempo proprio. L’unica percezione avvertita durante la caduta sarebbe quella delle forze di marea che agiscono sul suo corpo, “spaghettificandolo”: se cade per esempio con i piedi in avanti, i piedi sarebbero attirati con molta più forza della testa, fino a smembrare il povero astronauta. Ma più un buco nero è massiccio, più questo effetto letale diminuisce d’intensità: si potrebbe attraversare l’orizzonte degli eventi di un buco nero da milioni di masse solari senza essere spaghettificati e senza avere la percezione di aver superato un punto di non ritorno.

Il fatto che l’orizzonte degli eventi sia un confine vuoto è dovuto a una differenza sostanziale tra gli oggetti compatti visibili, cioè nane bianche e stelle di neutroni, e i buchi neri. Nelle prime, la materia conserva una distribuzione spaziale: sono oggetti di forma sferoidale, con una densità che aumenta progressivamente dalla periferia al centro. Nei buchi neri, invece, la potenza della spinta gravitazionale diretta verso il centro è irresistibile e ciò obbliga tutta la massa a raccogliersi in un unico punto centrale. La relatività generale predice che nei buchi neri non rotanti, o buchi neri di Schwarzschild, tutta la massa finisca confinata in un unico punto senza volume e senza estensione, di densità infinita. Nei buchi neri rotanti, o di Kerr, la massa finisce invece concentrata in un anello centrale (forse non stabile), anch’esso di densità infinita. L’anello ha un raggio, ma non spessore e, pertanto, neppure volume.

Questi punti centrali senza volume ma di densità infinita sono noti come singolarità gravitazionali. Una singolarità è considerata dai fisici una sorta di patologia: quando i valori diventano infiniti, la relatività generale cessa di produrre predizioni significative. In presenza di una singolarità cominciano ad accadere cose strane: la curvatura dello spazio-tempo diventa infinita e le geodetiche diventano incomplete. Una particella in caduta libera verso il centro del buco nero segue una geodetica, cioè la traiettoria più breve tra due punti prevista dalla relatività generale in base alla curvatura locale dello spazio tempo. Ma questa traiettoria s’interrompe bruscamente in corrispondenza della singolarità: è come se la particella scomparisse dall’universo, anche se la sua massa va ad aggiungersi alla massa preesistente del buco nero.

Per farla breve, le singolarità in generale non sono molto amate dai fisici. Molti scienziati si sono impegnati nella ricerca di alternative teoriche alla struttura dei buchi neri prevista dalla relatività generale. Tali tentativi fanno ricorso soprattutto a forme di integrazione tra la fisica quantistica e la relatività generale. Le due teorie sono notoriamente incompatibili: la relatività generale descrive lo spaziotempo in termini classici, come un’entità infinitamente divisibile in cui non sono presenti discontinuità. La fisica quantistica, al contrario, descrive spazio, tempo, materia e radiazione come entità quantizzate, che esistono e hanno significato, cioè, solo a partire da unità minime discrete, come la lunghezza di Planck e il tempo di Planck.

A causa di questa differenza sostanziale, per la fisica quantistica non è ammissibile, per esempio, che una particella occupi uno spazio più piccolo della sua lunghezza d’onda: una posizione in conflitto con l’idea che la massa di un buco nero sia tutta concentrata in un punto senza volume, ma di densità infinita.

Una schematica descrizione dell’origine e della struttura di un buco nero (NASA, la traduzione delle didascalie è mia)

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.