Una rappresentazione artistica di Kepler-1625b, a sinistra, e della sua luna fuori misura Kepler-1625b-i. Credit: ProtoJeb21

Forse è stata scoperta la prima esoluna in assoluto: Kepler-1625b-i

Ma chiamarla “luna” non rende bene l’idea: se esiste, è grande infatti come Nettuno

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
9 min readAug 4, 2017

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Il sistema solare è pieno di lune. Ce ne sono ben 184, per la maggior parte suddivise tra i due pianeti più grandi, Giove e Saturno, che ne possiedono rispettivamente 69 e 62. Alla luce di questi numeri, sembra estremamente improbabile che il sistema solare sia una strana eccezione cosmica e che non vi siano satelliti naturali intorno alla miriade di pianeti finora scoperti intorno ad altre stelle.

Tuttavia accertarsi dell’esistenza di esolune, cioè lune orbitanti intorno a pianeti extrasolari, è tutt’altro che facile. Vediamo perché.

Già scoprire un genuino segnale di origine planetaria, con gli strumenti oggi disponibili, è piuttosto difficile. Il metodo che ha prodotto finora di gran lunga i maggiori successi nella ricerca di esopianeti è il metodo del transito, cioè la registrazione di piccolissimi, periodici cali di luminosità nella radiazione emessa da una stella, corrispondenti al passaggio — tecnicamente detto transito — di un pianeta davanti al disco stellare rispetto al nostro punto di osservazione terrestre. Lo strumento più potente per questo tipo di ricerca è senz’altro il telescopio spaziale Kepler, che, lanciato nel 2009, ha permesso di individuare fino ad oggi (considerando solo la missione principale e non l’estensione K2) quasi 4.500 candidati esopianeti, oltre 2.300 dei quali sono stati poi confermati da ulteriori ricerche.

Teoricamente è possibile scoprire anche delle lune con il medesimo metodo. Quando infatti un pianeta transita davanti alla sua stella, le eventuali lune che lo accompagnano contribuiscono a bloccare una piccola frazione della luce stellare, secondo uno schema che, con opportuni calcoli, potrebbe essere ricostruito. Solo che individuare il transito di una luna è molto più difficile che individuare quello di un pianeta. Innanzitutto perché una luna è, per definizione, più piccola del suo pianeta e, di conseguenza, è molto meno marcato il calo di luce prodotto dal suo passaggio davanti al disco stellare.

Prendiamo il caso delle lune galileiane di Giove — Io, Europa, Ganimede e Callisto — tra le più grandi del sistema solare. I loro raggi sono compresi grosso modo tra 0,2 e 0,4 raggi terrestri. Il transito di lune di tale grandezza davanti al disco di una stella di tipo solare produrrebbe un calo di luminosità, osservato dalla Terra, compreso tra 3 e 13 parti per milione: talmente poco che neppure Kepler è in grado di rilevare con sicurezza un segnale così debole.

Un altro elemento di confusione è dato dalla configurazione ignota e continuamente variabile di un sistema di lune intorno a un pianeta. A meno, infatti, di incredibili coincidenze, a ogni successivo transito, la luna o le lune in orbita intorno a un pianeta produrrebbero il loro piccolissimo calo di luminosità nella luce stellare in una fase differente del passaggio del pianeta davanti al disco stellare.

Tuttavia gli astronomi sono gente tignosa, che non si scoraggia facilmente. Grazie a strumenti software di ultima generazione e alla potenza di calcolo dei moderni computer, è possibile operare delle complicatissime manipolazioni statistico-matematiche sui dati dei transiti planetari rilevati da Kepler. Si riesce così a “spremere” da quei dati ogni possibile “goccia” d’informazione, utile magari anche per ricostruire i transiti di possibili esolune.

Il logo del progetto HEK, il cui principal investigator è David Kipping

C’è un progetto dedicato appunto a questa ricerca. Si chiana HEK, cioè Hunt for Exomoons with Kepler (“Caccia alle esolune con Kepler”) e ha già prodotto diversi articoli scientifici. L’ultimo dei quali, il sesto, è stato da poco pubblicato in prestampa e contiene indizi molto interessanti sulla probabile scoperta della prima esoluna in assoluto: Kepler-1625b-i.

I due autori dello studio — Alex Teachey e David Kipping dell’Università della Columbia, coadiuvati dal “citizen scientist” Allan R. Schmitt — sono partiti da un campione iniziale di 4.098 KOI (Kepler Object of Interest, “oggetti d’interesse di Kepler”). Da questo campione, attraverso un complesso lavoro di cernita, per metà manuale e per metà automatizzato, hanno selezionato il campione finale, costituito da un gruppo di 284 esopianeti. La scelta è caduta su pianeti di dimensioni medio-grandi, con transiti ben definiti nelle curve di luce di Kepler, orbitanti a distanze comprese tra 0,1 e 1 unità astronomiche dalla loro stella e con periodi orbitali compresi approssimativamente tra 20 e 400 giorni. Sono risultati questi i candidati migliori per trovare potenziali analoghi delle quattro lune galileiane in orbita intorno a Giove.

La complessa procedura con la quale sono stati selezionati i 284 pianeti extrasolari da usare per la “caccia” alla prima esoluna, da un campione iniziale di 4.098 KOI. Credit: arXiv:1707.08563v1 [astro-ph.EP]

Sulle curve di luce dei 6.096 transiti osservati da Kepler per questi 284 pianeti, è stato eseguito un numero pressoché sterminato di elaborazioni statistiche, volte a scoprire regolarità che potessero essere “tradotte” nella presenza di una o più lune in orbita intorno a qualcuno dei 284 pianeti del campione.

Il risultato complessivo di tutto questo lavoro è stato piuttosto deludente: i dati sembrano favorire la possibile presenza di una popolazione di lune da circa 0,5 raggi terrestri, che gli autori hanno definito provvisoriamente Super-Io (dal nome del satellite gioviano Io), orbitanti in media a circa 5–10 raggi planetari di distanza dal loro pianeta. Ma la significatività statistica di tale risultato è talmente bassa che può essere considerata al massimo un’indicazione utile in vista di futuri approfondimenti.

C’è però un’eccezione, anzi una vistosa eccezione, che ha costretto gli autori a emendare l’articolo pubblicato in origine a giugno su arXiv, aggiungendovi una nuova sezione nella versione pubblicata online il 26 luglio, in seguito alle voci che si erano diffuse su Twitter, dopo che un astronomo aveva notato — tra i dati pubblicamente disponibili online — che David Kipping, il più noto tra gli autori della ricerca, aveva ottenuto tempo di osservazione con Hubble per ottobre 2017.

La vistosa eccezione riguarda Kepler-1625b. Le curve di luce dei tre transiti di questo esopianeta registrati dal telescopio Kepler suggeriscono la presenza di una luna che gli orbita intorno, con una significatività iniziale di 4,1 sigma: una nettissima differenza rispetto alle centinaia di altri pianeti esaminati con gli stessi metodi, per i quali la significatività statistica si discosta poco dallo zero.

Kepler-1625b è un evidente “outlier” tra le centinaia di esopianeti esaminati in questo studio: i dati dei suoi transiti indicano la presenza di un’esoluna con una significatività pari a 4,1 sigma. Credit: arXiv:1707.08563v1 [astro-ph.EP]

Ovviamente gli autori della ricerca hanno dedicato a Kepler-1625b un supplemento d’indagine. Ma, anche utilizzando un diverso approccio nell’analisi delle tre curve di luce dei transiti osservati da Kepler, il risultato non è cambiato: la significatività della rilevazione è apparsa sempre evidente e in linea con il valore di 4,1 sigma registrato all’inizio (un valore che significa, statisticamente, che in un solo caso su oltre 23.000 un segnale come quello osservato potrebbe comparire nei dati per puro caso).

I ricercatori hanno vagliato varie ipotesi alternative all’idea di un’esoluna. Per prima cosa, hanno esaminato i dati del telescopio Kepler, per verificare se, in associazione con i tre transiti di Kepler-1625b, non fossero apparse anomalie di funzionamento, come pixel difettosi o altre cause tecniche in grado di generare segnali spuri nei dati. Ma non hanno trovato nessuna anomalia riferibile allo strumento. Ciò è un forte indizio a favore del fatto che l’origine del segnale sia proprio di natura astrofisica.

Le possibili cause alternative al transito di un’esoluna insieme al pianeta si riducono così a due: la presenza di un sistema di anelli intorno a Kepler-1625b oppure l’occultazione di macchie stellari sulla fotosfera della stella da parte del pianeta in transito.

La prima ipotesi è da scartare, perché l’esistenza di un sistema di anelli intorno a Kepler-1625b avrebbe prodotto un segnale di natura simile in tutti e tre i transiti, cosa che invece non si è verificata. Ad un’analisi accurata, anche l’ipotesi delle macchie stellari si è rivelata poi insostenibile (essenzialmente per ragioni geometriche: il calo della luminosità stellare attribuibile a un’esoluna si è verificato al di fuori dell’area principale coperta dal transito planetario, il che non sarebbe potuto accadere, se la causa di quel calo fosse stata il transito stesso del pianeta davanti ad un gruppo di macchie stellari).

Le curve di luce dei tre transiti di Kepler-1625b, dalla cui conformazione è stata ricavata la probabile presenza di un’esoluna in transito davanti alla stella insieme al pianeta. Credit: arXiv:1707.08563v1 [astro-ph.EP]

Resta dunque al momento come ipotesi principale per spiegare i dati l’esistenza di un’esoluna in orbita intorno a Kepler-1625b.

Tali dati non sono però sufficienti ad affermare con la dovuta sicurezza che sia proprio questo il caso. I transiti osservati sono infatti solo tre, un campione statistico poco rilevante, e, inoltre, la risoluzione del telescopio Kepler è proprio al limite della capacità di rilevare un segnale così debole. Ecco perché Kipping ha chiesto e ottenuto tempo di osservazione con il telescopio spaziale Hubble per ottobre 2017: in quel mese, infatti, secondo i parametri orbitali ricavati dai transiti già osservati, avverrà il prossimo passaggio di Kepler-1625b davanti alla sua stella. E solo Hubble, con la sua eccezionale risoluzione, potrà confermare se, nella curva di luce di quel transito, sarà possibile leggere davvero la presenza di una luna insieme a quella, indiscutibile, di un pianeta.

Nell’attesa che Hubble risolva in un modo o nell’altro la questione, possiamo però speculare sulla natura di questa esotica coppia formata da un pianeta extrasolare e dalla sua ipotetica luna. Per capire quali possono essere le loro caratteristiche, è indispensabile conoscere nel modo più accurato possibile quelle della stella intorno alla quale orbitano: non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’unica cosa che possiamo scorgere, dalla Terra, è la luce della stella, con le sue piccole oscillazioni.

Kepler-1625 è una stella di tipo solare, di classe spettrale G5. Si trova nella costellazione del Cigno, a una distanza stimata di 1.200 parsec, cioè poco più di 3.900 anni luce. Ha una massa leggermente superiore a quella del Sole e un raggio, recentemente ricalcolato, pari a 1,793 raggi solari, più o meno il doppio del valore stimato in precedenza (0,838 raggi solari).

Il raggio stellare è un parametro importantissimo per derivare correttamente le caratteristiche di un esopianeta e, in questo caso, anche di un’esoluna. Il raggio di Kepler-1625 ci dice che, probabilmente, la stella si avvia a percorrere il ramo delle giganti, cioè si avvicina alla fine della sua vita sulla sequenza principale. Ma, cosa più importante, messo in relazione con i dati dei transiti e con gli altri parametri stellari noti, ci dice che il pianeta, Kepler-1625b, ha probabilmente le dimensioni di Giove e una massa pari a circa 10 masse gioviane.

Proporzioni a confronto tra Nettuno e la Luna

Ma la sorpresa principale viene dalla sua probabile luna: Kepler-1625b-i, se davvero esiste, non somiglia a nessuna luna del sistema solare. È grande infatti come Nettuno, che ha un diametro di quasi 50.000 km: più di 14 volte quello della nostra Luna. È dunque un oggetto davvero gigantesco, per essere solo un satellite. Come ha fatto a finire in orbita intorno a un pianeta grande come Giove?

L’ipotesi dei ricercatori è che Kepler-1625b-i sia stata catturata gravitazionalmente dal pianeta, durante un passaggio molto ravvicinato, avvenuto probabilmente all’epoca della formazione di questo sistema stellare. Si sarebbe trattato di una collisione mancata per poco: i due corpi si sono sfiorati così da vicino che le loro atmosfere hanno svolto una potente azione frenante, facendo sì che il massiccio pianeta da dieci masse gioviane catturasse con la propria gravità Kepler-1625b-i, trasformandolo in una sua luna. Col tempo l’orbita si è poi stabilizzata, raggiungendo la configurazione attuale, nella quale, secondo i calcoli degli autori, c’è una distanza di circa 19 raggi planetari tra la gigantesca luna e il pianeta (circa 3 volte e mezza la distanza media tra la Terra e la Luna).

Peccato non poter osservare da vicino lo spettacolo offerto da un sistema planetario che contiene un pianeta grande come Giove, orbitato da una luna delle dimensioni di Nettuno… e da chissà quante altre lune minori, troppo piccole per lasciare la benché minima traccia nelle curve di luce della stella!

Credit: Science Photo Library

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.