Il nuovo logo della missione Hayabusa2 (JAXA)

Hayabusa2 o il trionfo dell’automazione (1/11)

La sonda giapponese è un concentrato di tecnologie, progettate per studiare l’asteroide Ryugu con il massimo livello di dettaglio. Questo lungo articolo fornisce una panoramica completa dei numerosi strumenti a disposizione di Hayabusa2, soffermandosi in particolare sull’altissimo livello di automazione necessario per portare a termine la missione

Michele Diodati
8 min readJul 5, 2018

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Il 27 giugno 2018 alle 2:35 del mattino ora italiana, esattamente 1302 giorni dopo il lancio, la sonda giapponese Hayabusa2 ha finalmente raggiunto la sua meta, l’asteroide Ryugu, che si trova attualmente a 1,91 unità astronomiche dalla Terra, pari a circa 286 milioni di km.

Alla scoperta di Ryugu

Hayabusa2 è ora a soli 20 km dall’asteroide, rispetto al quale la sua velocità relativa è esattamente zero: non orbita intorno a Ryugu, ma mantiene una posizione di stazionamento fissa, che gli consente un’osservazione ravvicinata e costante del suo obiettivo. Questa posizione sarà la “casa” di Hayabusa2 per gran parte del tempo che essa trascorrerà nei pressi dell’asteroide.

Le ultime immagini di Ryugu, diffuse dalla JAXA il 26 giugno, ci mostrano con magnifico dettaglio la forma tozza dell’asteroide e la sua superficie irregolare, butterata da crateri e cosparsa di massi.

Due elaborazioni di Roman Tkachenko sull’immagine di Ryugu acquisita il 26 giugno 2018 dalla camera ONC-T di Hayabusa2 (JAXA, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, AIST)

L’arrivo presso Ryugu è il coronamento di un lungo viaggio nello spazio durato tre anni è mezzo. La sonda giapponese è partita il 3 dicembre 2014 dal Tanegashima Space Center, nell’isola omomina situata nell’estremo Sud del Giappone, sospinta da un potente razzo H-IIA. Esattamente un anno dopo, il 3 dicembre 2015, è tornata a far visita al nostro pianeta, sfiorando la Terra in modo da ricevere un assist gravitazionale che l’ha accelerata in direzione della sua meta, riducendo sensibilmente il tempo totale di viaggio.

Dopo il fly-by con la Terra, Hayabusa2, accelerata delicatamente ma con costanza dal suo motore ionico, ha impiegato poco più di 30 mesi per coprire la distanza che la separava da Ryugu. A 1,91 unità astronomiche dal nostro pianeta, occorrono attualmente 950 secondi, cioè 15,8 minuti, perché i segnali radio scambiati tra Hayabusa2 e le antenne terrestri arrivino a destinazione. Ci vuole pertanto oltre mezz’ora — 31,6 minuti per la precisione — prima che giunga dalla sonda il segnale di conferma per qualsiasi comando inviato dalla Terra. Questo lungo intervallo di tempo ha reso indispensabile automatizzare gran parte delle procedure con cui Hayabusa2 eseguirà i numerosi compiti che le sono stati assegnati.

Sul sito dedicato alla missione di Hayabusa2 è possibile conoscere momento per momento i dati sulla posizione, la velocità e la distanza della sonda dalla Terra (JAXA)

Le dieci parti successive di questo articolo sono dedicate proprio a descrivere gli strumenti e le procedure automatiche su cui la missione spaziale della sonda giapponese è imperniata. Lo faranno con il supporto di numerose illustrazioni e con un’abbondanza di dettagli che, per quanto ne sappia, non ha riscontro in alcuna altra fonte in lingua italiana.

Ma, prima di parlare di ciò che farà Hayabusa2 e di come lo farà, è opportuno fare la conoscenza con il destinatario inconsapevole di un così grande sforzo di progettazione, creatività, ingegno e risorse finanziarie: l’asteroide carbonioso Ryugu.

La prima domanda che viene in mente è perché la JAXA abbia scelto proprio l’asteroide Ryugu come destinazione di Hayabusa2. Lo ha fatto per diverse ragioni, che hanno a che fare con la sua composizione e con la sua orbita. Ma cerchiamo di capire innanzitutto perché sia valsa la pena di organizzare una complessa missione spaziale per esplorare un asteroide.

Gli asteroidi, come le comete, sono oggetti di particolare interesse per gli scienziati. Sono ritenuti, infatti, corpi primitivi, risalenti alle origini stesse del sistema solare. Possono essere considerati, in un certo senso, i mattoni con cui sono stati costruiti i pianeti. Studiarne la composizione vuol dire quindi risalire all’epoca della nascita stessa del sistema solare, intorno a 4,5 miliardi di anni fa.

I pianeti, al contrario, sono il risultato di un’evoluzione più complessa, nel corso della quale i materiali originari si sono fusi e sono stati alterati in modo significativo da processi fisici e chimici, separandosi col tempo in strati concentrici di differente densità, con la segregazione degli elementi più pesanti nel nucleo. A causa di questo lungo processo di differenziazione, dall’analisi della superficie terrestre, per esempio, non è possibile ricavare informazioni sulle condizioni della materia nelle fasi iniziali di aggregazione del pianeta.

Comete e asteroidi sono invece come macchine del tempo: conservano pressoché intatte le tracce della condizioni esistenti all’epoca della loro formazione. L’esplorazione di questi corpi primitivi è dunque essenziale per ottenere dati di prima mano sulla formazione del sistema solare.

Gli asteroidi non sono però tutti uguali. In base alla loro composizione possono essere divisi in classi e sottoclassi, con ciascuna classe che mostra una particolare distribuzione all’interno della fascia di asteroidi diffusa tra l’orbita di Marte e di Giove, una distribuzione legata principalmente alla distanza dal Sole. Mentre la prima sonda Hayabusa ha raccolto e restituito campioni (pochissimi, per la verità) da un asteroide di tipo S, Itokawa, di composizione rocciosa, la seconda missione Hayabusa è diretta verso un asteroide di tipo C, di composizione prevalentemente carboniosa: Ryugu appunto.

Le dimensioni di Ryugu, a sinistra, e quelle di Itokawa (535 m), l’asteroide visitato dalla prima missione Hayabusa, a confronto con quelle di due grandi edifici della città di Tokyo: il Tokyo Sky Tree, alto 634 m, e la Tokyo Tower, alta 333 m

Gli asteroidi di tipo S forniscono indizi utili per comprendere la storia evolutiva dei pianeti rocciosi come Marte e la Terra; gli asteroidi di tipo C sono invece importanti nell’ambito della ricerca sull’origine della vita. Contengono infatti — come suggeriscono le osservazioni spettroscopiche e le analisi dei meteoriti appartenenti al tipo delle condriti carbonacee — una quantità notevole di composti organici e di idrati (cioè minerali contenenti acqua): gli impatti con asteroidi di tipo C potrebbero perciò aver contribuito in passato ad arricchire la crosta terrestre di acqua e di sostanze organiche.

I dati telescopici, che sembrano confermati dalle prime osservazioni ravvicinate di Hayabusa2, indicano che Ryugu ha un diametro massimo di circa 900 metri. La superficie è scurissima: combinando le osservazioni nel visibile con quelle nell’infrarosso, è stato determinato che l’albedo, cioè la capacità di riflettere la luce incidente, è di appena 0,05. In pratica, solo il 5% della luce che colpisce l’asteroide viene riflessa, facendone un corpo pressoché nero, il che è in linea con la presunta composizione carboniosa.

A sinistra, immagine della Terra catturata da Hayabusa2 durante il flyby del 3 dicembre 2015, con l’Antartide chiaramente visibile in primo piano. A destra, immagine di Ryugu acquisita da Hayabusa2, elaborata in modo tale da mostrare la reale luminosità dell’asteroide, a confronto con quella della Terra (JAXA, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, AIST)

Ryugu ha un moto di rotazione retrogrado: ruota cioè in senso orario, ovvero in direzione opposta rispetto al Sole e alla Terra. L’analisi delle curve di luce ha rivelato che il periodo di rotazione è di esattamente 7,6275 ore, cioè 7 ore e 38 minuti.

Osservazioni telescopiche eseguite nel 2007 e nel 2012 hanno permesso di determinare con esattezza il periodo di rotazione di Ryugu, che è di 7 ore e 38 minuti. Ciò è stato possibile grazie alle differenze di luminosità registrate nelle curve di luce, dovute alle irregolarità della superficie, che si ripetono con un intervallo corrispondente appunto al periodo di rotazione dell’asteroide (Myung-Jin Kim et al. A&A 550, L11, 2013)

I dati più interessanti, ai fini della missione Hayabusa2, riguardano l’orbita dell’asteroide. Ryugu è classificato come un NEO, un PHA e un Apollo. NEO sta per Near Earth Object, cioè oggetto vicino alla Terra: sono definiti così quei corpi minori del sistema solare che hanno il perielio dell’orbita a meno di 1,3 au, o unità astronomiche, dal Sole. Tra i NEO sono indicati come PHA (potentially hazardous asteroids, asteroidi potenzialmente pericolosi) quelli con un diametro maggiore di 140 metri, la cui distanza minima d’intersezione con l’orbita della Terra è minore di 0,05 au, cioè 19,5 volte la distanza media della Luna.

Ryugu è un NEO e un PHA sostanzialmente perché è un Apollo, appartiene cioè a quel gruppo di asteroidi che orbitano intorno al Sole a una distanza media un po’ maggiore di quella della Terra, ma con il perielio che si trova più vicino al Sole dell’afelio dell’orbita terrestre (q < 1,017). In virtù di tali caratteristiche, gli Apollo intersecano necessariamente in qualche punto l’orbita della Terra e può accadere, nel tempo, che l’attraversamento avvenga in un punto pericolosamente vicino alla posizione del nostro pianeta.

Le orbite di Ryugu e della Terra intorno al Sole si intersecano. Attualmente Ryugu dista 0,99 unità astronomiche dal Sole, cioè quasi esattamente quanto la Terra, ma il nostro pianeta e l’asteroide si trovano in punti pressoché opposti delle rispettive orbite (NASA/JPL)

L’Apollo Ryugu percorre in poco meno di 474 giorni un’orbita relativamente eccentrica (e = 0,19), con il perielio a 0,963 au dal Sole e l’afelio a 1,189 au. L’inclinazione sul piano dell’eclittica è modesta: 5,883°. L’insieme di queste caratteristiche orbitali lo hanno reso il candidato migliore per la missione Hayabusa2: il compito della sonda giapponese non consiste, infatti, solo nello studiare l’asteroide da vicino. È previsto, invece, che, attraverso una complessa procedura automatizzata, prelevi dei campioni di materia dalla sua superficie e li riporti sulla Terra intorno al 2020, paracadutandoli al suolo in territorio australiano, all’interno di un contenitore sigillato, progettato per resistere al calore dell’ingresso in atmosfera.

L’asteroide Ryugu ripreso da Hayabusa2 tra il 18 e il 20 giugno 2018 (ONC team/JAXA)

Prima di cominciare ad approfondire i dettagli della missione Hayabusa2, è interessante spendere qualche parola sull’origine del nome del “nostro” asteroide.

Ryugu fu scoperto nel 1999 dalla survey LINEAR (Lincoln Near-Earth Asteroid Research) e gli fu assegnato il nome provvisorio 1999 JU₃. Divenne ufficialmente Ryugu, o meglio 162173 Ryugu, ai primi di ottobre del 2015. Il nome, poi approvato ufficialmente dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU), era stato proposto dall’agenzia spaziale giapponese JAXA al termine di un sondaggio che aveva coinvolto oltre 7.300 persone.

Ryūgū-jō è il palazzo sottomarino del dio drago del mare in una nota fiaba popolare giapponese, che racconta la storia del pescatore Urashima Tarō. Per aver salvato una tartaruga marina, Urashima fu portato nel castello sommerso Ryugu, dove visse tre anni insieme con la principessa Otohime. Alla fine, gli prese la nostalgia e volle tornare in superficie. Otohime cercò di dissuaderlo, ma, visto che Urashima era deciso a ripartire, acconsentì, regalandogli però un tamatebako, uno scrigno prezioso, con la promessa che Urashima non lo avrebbe mai aperto. Quando il pescatore ritornò in superficie, scoprì che tutto era cambiato: a casa sua erano passati non tre anni, ma centinaia di anni. Preso dallo sconforto, ruppe la promessa e aprì lo scrigno. Ne uscì una nube che immediatamente lo avvolse, trasformandolo in un vecchio pluricentenario: dentro lo scrigno c’era infatti la sua vera età.

La storia di Urashima Tarō si presta bene a simboleggiare la missione di Hayabusa2: l’asteroide Ryugu è come il castello sottomarino che contiene un tesoro antico, che la sonda dovrà riportare sulla Terra, sigillato in una specie di capsula del tempo.

Il nuovo logo della missione, visibile a inizio pagina, riprende alcuni motivi della fiaba: il colore vermiglio, all’esterno, simboleggia il palazzo sottomarino Ryūgū; il viola, più all’interno, rappresenta i nobili che vivevano nel palazzo e la principessa Otohime; il pennacchio azzurro, al centro, simboleggia infine il vestito di piume della principessa, ma anche la luce azzurrina del flusso di ioni di xeno, espulso dai motori ionici di Hayabusa2.

Urashima Tarō trasportato dalla tartaruga che ha salvato, in una stampa dell’800 (Ogata Gekkō 尾形月耕)

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Michele Diodati

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.