Simulazione in computergrafica della creazione di un cratere artificiale su Ryugu (JAXA)

Hayabusa2 o il trionfo dell’automazione (4/11)

La sonda giapponese è un concentrato di tecnologie, progettate per studiare l’asteroide Ryugu con il massimo livello di dettaglio. Questo lungo articolo fornisce una panoramica completa dei numerosi strumenti a disposizione di Hayabusa2, soffermandosi in particolare sull’altissimo livello di automazione necessario per portare a termine la missione

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
5 min readJul 8, 2018

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Come fare un cratere su Ryugu e riprendere tutto senza correre rischi

Lo scopo principale della missione Hayabusa2 è recuperare campioni dal suolo di Ryugu e riportarli sigillati sulla Terra. Raggiungere un simile obiettivo richiede che una complessa serie di procedure sia eseguita senza errori. Poiché solo una parte di tali procedure può essere sotto il diretto controllo umano, la missione deve fare necessariamente affidamento sul buon funzionamento di una lunga serie di automatismi, previsti dal progetto.

Uno di questi automatismi riguarda il lancio di un dispositivo che dovrà sparare un proiettile in rame contro Ryugu, per produrre un cratere artificiale sulla sua superficie. Il cratere servirà per esporre materiale proveniente dagli strati sub-superficiali dell’asteroide, materiale, cioè, che non ha subito gli effetti delle radiazioni e degli sbalzi di temperatura che colpiscono la superficie visibile di Ryugu.

Rendering 3D del pannello inferiore di Hayabusa2. Al centro è visibile il sistema SCI, che sarà usato per far esplodere un proiettile in rame, scagliato dall’esplosione contro la superficie di Ryugu, così da creare un piccolo cratere artificiale (JAXA)

Il terreno portato alla luce dall’impatto conterrà, pertanto, preziose informazioni sulla storia evolutiva dell’asteroide. E sarà proprio quel materiale, esposto dalla creazione del cratere, che Hayabusa2 cercherà successivamente di recuperare per mezzo di un apposito braccio meccanico, dopo essersi posata sulla superficie dell’asteroide.

Ma, per arrivare al prelievo dei campioni, bisogna prima di tutto fare il buco. Il sistema incaricato di svolgere questo compito cruciale per il successo della missione si chiama SCI, acronimo di Small Carry-On Impactor, che potremmo tradurre in italiano con “piccolo impattatore da viaggio”.

Il dispositivo SCI, Small Carry-On Impactor, che servirà per “bucare” la superficie di Ryugu (JAXA)

Lo SCI è un oggetto cilindrico alto poco più di 20 cm, con una base larga 30 cm e una massa totale di 18 kg. È dotato di una batteria e di una circuiteria elettronica, che servono per gestire l’innesco di una carica esplosiva e la sua successiva detonazione. Tutto ciò, per ovvie ragioni, avverrà all’esterno della sonda. Dopo che sarà stato scelto il sito nel quale produrre il cratere, cosa che avverrà probabilmente entro la prima metà del 2019, lo SCI sarà sganciato da Hayabusa2 sulla verticale del luogo, a un’altitudine di 500 metri, attraverso un meccanismo a molla che lo metterà in rotazione per stabilizzarne la traiettoria.

Il sistema con molla elicoidale che permetterà di sganciare il dispositivo SCI, impartendogli una rotazione sufficiente a stabilizzarne l’assetto (JAXA)

L’innesco del detonatore è impostato per avvenire 2400 secondi, cioè 40 minuti, dopo lo sganciamento del dispositivo, in modo da consentire a Hayabusa2 di mettersi al riparo dietro l’asteroide prima che avvenga l’esplosione che lancerà il proiettile. In questo frattempo, lo SCI sarà sceso di circa 300 metri in caduta libera verso la superficie di Ryugu.

La camera di scoppio dello SCI è una specie di imbuto che contiene 4,7 kg di un potentissimo esplosivo non sensibile agli urti e alle vibrazioni, chiamato HMX (da “High Molecular weight”, cioè alto peso molecolare) o ottagene, il cui componente chimico ha l’interminabile nome di ciclotetrametilentetranitroammina. Una volta che il detonatore avrà fatto esplodere la carica, la forza dell’esplosione investirà in pieno, in un solo millisecondo, alla velocità di 9 km/s, il rivestimento in rame: un disco del peso di 2 kg, che chiude verso l’esterno, come un tappo, l’imbuto della camera di scoppio.

Schema strutturale del dispositivo SCI (JAXA/Michele Diodati)

Il disco in rame verrà così deformato dall’esplosione, assumendo la forma del guscio di una chiocciola, e verrà scagliato a una velocità superiore ai 2 km/s contro la superficie di Ryugu, producendo un cratere del diametro previsto di 4 metri.

Poiché durante questi eventi la sonda sarà nascosta dietro l’asteroide, sarà necessario sganciare un ulteriore dispositivo automatico per catturare le immagini dell’esplosione e quelle della generazione del cratere. Queste ultime sono particolarmente importanti, perché consentiranno di studiare la composizione dello strato sub-superficiale di Ryugu e di monitorare la dispersione dei detriti provocati dall’impatto in un ambiente a bassissima gravità.

Nei test balistici effettuati sulla Terra, il proiettile in rame si è deformato per la forza dell’esplosione, assumendo una forma corrispondente quasi alla perfezione a quella prevista dalle simulazioni digitali (JAXA)

Il dispositivo che avrà il compito di registrare questi eventi si chiama DCAM3 (Deployable Camera 3). Si tratta di un piccolo cilindro di 120 × 120 × 150 mm, che verrà sganciato da Hayabusa2 dopo la separazione di SCI, lungo il tragitto verso il lato nascosto dell’asteroide. Il meccanismo di sgancio impartirà a DCAM3 un moto di rotazione di circa 100 gradi per secondo per stabilizzarne l’assetto. La rotazione avverrà intorno all’asse maggiore del cilindro, in modo da mantenere i due obiettivi di DCAM3 sempre puntati sulla scena da riprendere.

Il dispositivo DCAM3. Il cilindro contenente le due antenne e le due fotocamere verrà sganciato da Hayabusa2 dopo il dispositivo SCI, in modo da documentare la creazione di un cratere artificiale sulla superficie di Ryugu (JAXA)

Lo strumento dispone di due fotocamere indipendenti per l’acquisizione delle immagini, una digitale e l’altra analogica. La fotocamera digitale, DCAM3-D, ha un campo visuale di 74 × 74 gradi, un sensore CMOS con una risoluzione di 2.000 × 2.000 pixel e produce immagini monocromatiche a 8 bit di profondità. La gamma di lunghezze d’onda osservabili è compresa tra 450 e 750 nanometri, grosso modo quella della luce visibile. La risoluzione spaziale è di 65 cm per pixel alla distanza di 1 km.

L’illustrazione mostra la direzione in cui il cilindro con le fotocamere verrà separato dalla base di DCAM3 e messo in rotazione (JAXA / Michele Diodati)

La fotocamera analogica, DCAM3-A, funzionerà insieme a quella digitale, ma il suo scopo non è quello di produrre immagini statiche, bensì un flusso video continuo in bassa risoluzione, con qualità corrispondente allo standard televisivo NTSC.

Le due fotocamere sono collegate ciascuna a una propria antenna, così da poter inviare ad Hayabusa2 il flusso di immagini e video in modo indipendente mentre viene registrato. La batteria di DCAM3 è progettata per sostenere un funzionamento di alcune ore, nel corso delle quali il flusso di dati inviato alle antenne riceventi su Hayabusa2 sarà intorno ai 4 Mbps, con un volume totale di dati per l’intera operazione calcolato in circa 1 Gbit.

Solo in seguito il materiale registrato da DCAM3 potrà essere finalmente trasmesso a Terra da Hayabusa2, e solo allora il controllo missione potrà avere la certezza che tutta la complessa procedura si sia svolta secondo i piani oppure no.

Rappresentazione schematica dell’intera procedura automatizzata per la creazione di un cratere artificiale su Ryugu e la documentazione dell’evento. L’operazione prevede diverse fasi: 1) sganciamento del dispositivo SCI sulla verticale del luogo in cui dovrà essere prodotto il cratere artificiale; 2) manovra orizzontale di Hayabusa2, necessaria per sganciare DCAM3 alla distanza giusta per riprendere in sicurezza l’esplosione, la formazione del cratere e la dispersione dei detriti; 3) sganciamento di DCAM3; 4) manovra verticale di Hayabusa2, per mettersi in sicurezza alle spalle dell’asteroide e rimanere, allo stesso tempo, in contatto visivo con DCAM3, in modo da poter ricevere via radio immagini e video degli eventi registrati dalle fotocamere analogiche e digitali di DCAM3 (JAXA/Michele Diodati)

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.