Simulazione in computergrafica del momento in cui il corno campionatore di Hayabusa2 si posa sulla superficie di Ryugu e viene sparato il proiettile che solleverà i campioni di suolo da riportare sulla Terra (DLR)

Hayabusa2 o il trionfo dell’automazione (6/11)

La sonda giapponese è un concentrato di tecnologie, progettate per studiare l’asteroide Ryugu con il massimo livello di dettaglio. Questo lungo articolo fornisce una panoramica completa dei numerosi strumenti a disposizione di Hayabusa2, soffermandosi in particolare sull’altissimo livello di automazione necessario per portare a termine la missione

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
7 min readJul 10, 2018

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Il sistema per prelevare campioni di suolo da Ryugu

L’elemento più caratteristico del design di Hayabusa2 è una specie di proboscide, che la sonda userà per “pungere” la superficie di Ryugu più o meno come fa una zanzara con la nostra pelle: solo che, invece di succhiare sangue, preleverà minuscole quantità di particelle provenienti dall’asteroide, intrappolandole e sigillandole, compresi gli eventuali composti volatili, all’interno di un apposito contenitore suddiviso in tre scompartimenti (uno per ciascuno dei tre atterraggi previsti).

La “proboscide”, definita nelle specifiche della missione Sampler Horn, cioè corno campionatore, è un tubo cilindrico lungo un metro. L’estremità finale del corno, cioè l’elemento che entrerà fisicamente in contatto con la superficie di Ryugu, ha un diametro di 14 cm. Una delle migliorie progettuali introdotte con Hayabusa2 riguarda proprio questo componente: la parte rivolta verso l’interno è stata dotata di una fitta rete di dentini, studiati per intrappolare particelle di suolo di dimensioni millimetriche, sollevate dal contatto del corno con la superficie dell’asteroide.

Una delle migliorie progettuali di Hayabusa2 è l’estremità armata di dentini del corno campionatore. Se non dovesse funzionare il meccanismo di sparo, i dentini riusciranno ugualmente a intrappolare preziose particelle provenienti dalla superficie di Ryugu (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Si tratta di un sistema di backup. Se anche, infatti, non dovesse funzionare il meccanismo principale di acquisizione dei campioni, basato sullo sparo di un proiettile, i dentini riusciranno ugualmente a trattenere prezioso materiale proveniente dall’asteroide. Entro un secondo dal contatto con il suolo, si accenderanno infatti i razzi a propellente chimico e la sonda, ricevendo una spinta da 20 N, inizierà ad allontanarsi rapidamente dalla superficie di Ryugu. In seguito, verrà impartita una controspinta per decelerare. La decelerazione farà risalire per inerzia verso l’alto i granelli rimasti sui dentini del bocchettone. Poiché il materiale intrappolato all’interno del corno non ha vie di fuga verso l’esterno, almeno una parte dei granelli finirà necessariamente per farsi strada, risalendo, fino al contenitore dei campioni, che li conserverà opportunamente sigillati e, alla fine della missione, li recapiterà sulla Terra.

Rappresentazione schematica del meccanismo di backup per la raccolta dei campioni: il bocchettone dentato trattiene particelle di grandezza millimetrica, che, a causa della decelerazione nel corso della risalita, si faranno strada per inerzia fino al contenitore dei campioni (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Ma eccoci alla procedura principale per catturare particelle di suolo dell’asteroide. All’imboccatura superiore del corno campionatore sono inseriti tre proiettori (projectors in inglese): canne in acciaio inossidabile, lunghe 115 mm ognuna e con diametro di 17 mm. Sono sostanzialmente dei piccoli fucili, che, grazie a un innesco elettrico, spareranno un proiettile destinato a conficcarsi nella superficie dell’asteroide. Ciascun proiettore ha a disposizione un solo proiettile: uno sparo e un proiettile, dunque, per ognuno dei tre atterraggi previsti dalla missione.

I tre proiettori di Hayabusa2 con i relativi collegamenti elettrici per l’innesco delle cariche esplosive (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Il momento cruciale dell’atterraggio coincide proprio con lo sparo del proiettile. Hayabusa2, infatti, non può sostare sulla superficie di Ryugu, perché le forze laterali agenti nel corso della caduta libera verso l’asteroide, per quanto lievi, rischierebbero di farla cadere su un lato. Deve essere dunque tutto perfettamente sincronizzato: touch down, sparo, acquisizione dei campioni di materiale, ripartenza immediata!

Il segnale che avverte la sonda che il contatto con l’asteroide è avvenuto sarà un segnale ottico, inviato da LRF-S2, un laser range finder (cioè un misuratore laser della distanza). Il dispositivo, montato sullo stesso pannello inferiore da cui spunta il corno campionatore, si attiverà negli istanti finali della discesa, inviando il suo raggio laser contro una superficie di materiale riflettente, applicata sul bordo esterno della punta del corno, che è l’unica parte di Hayabusa2 che toccherà fisicamente il suolo dell’asteroide. Quando avverrà il contatto, questa placca si deformerà leggermente per la compressione. LRF-S2 rileverà la deformazione come una variazione di distanza, dando inizio in quell’istante alla cascata di eventi automatici che conclude l’operazione di discesa: in primo luogo lo sparo del proiettile.

Lo zoccolo in lega di alluminio A1070 e il proiettile in tantalio, usati nel sistema di sparo di Hayabusa2 (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Il proiettile, del peso di 4,85 grammi, è realizzato in tantalio, un metallo che è stato scelto per la sua rarità. Se anche, infatti, particelle di tantalio provenienti dal proiettile finiranno nei campioni di materiale prelevato dall’asteroide, per gli scienziati che analizzeranno quel materiale sarà facile identificare e separare l’elemento contaminante dalle particelle di origine extraterrestre (è alquanto improbabile che la superficie di un asteroide di tipo C contenga tantalio).

Ma c’è anche un altro rischio di contaminazione da fronteggiare: i gas prodotti nella camera di scoppio dalla carica esplodente che serve per sparare il proiettile. Questo problema è stato risolto con un metodo ingegnoso. Il proiettile in tantalio è bloccato con una vite nella cavità di uno zoccolo in lega di alluminio. La forza dello scoppio all’interno della canna non colpisce direttamente il proiettile ma lo zoccolo, che viene accelerato a 300 ± 30 m/s (oltre 1.000 km/h) verso il foro di uscita della canna. Qui, però, degli appositi fermi bloccano lo zoccolo, che, compresso dalla forza dello sparo, si deforma e si schiaccia, sigillando il foro di uscita in modo che i gas rimangano confinati all’interno della canna. Il proiettile, intanto, conserva quasi intatta la sua energia cinetica: rompe facilmente la vite che lo teneva saldato allo zoccolo e attraversa in una frazione di secondo il corno campionatore, finendo per schiantarsi alla velocità di 300 m/s contro la superficie dell’asteroide.

Rappresentazione schematica del meccanismo con cui ciascuno dei tre proiettori installati su Hayabusa2 sparerà il suo proiettile contro la superficie dell’asteroide (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

L’impatto crea una nuvola di particelle che si solleva dalla superficie di Ryugu e, di rimbalzo in rimbalzo, risale l’interno del corno campionatore fino all’imboccatura superiore, dove finisce in uno dei tre scompartimenti del contenitore per la raccolta dei campioni.

Rappresentazione schematica del percorso del proiettile nel corno campionatore e della risalita dei campioni di suolo verso il cilindro contenitore (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Il contenitore è un piccolo cilindro che misura 48 mm di diametro e 57 mm di lunghezza. La Camera A è lo scompartimento più grande, con un volume di 24 cm³. La Camera B e la C hanno entrambe un volume di 12 cm³, per cui il volume totale occupabile dalle particelle di suolo dell’asteroide è di 48 cm³. L’intero contenitore può ospitare approssimativamente 10 grammi di materiale proveniente dall’asteroide, nel caso abbia una densità tipica di 2 g/cm³. Ma, per gli scopi scientifici della missione è già considerata sufficiente una raccolta di particelle con una massa totale di appena 100 milligrammi: 1/10 di grammo.

All’interno dell’apertura è visibile il cilindro di raccolta dei campioni. In primo piano è visibile la copertura in vetro zaffiro della Camera A del contenitore (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017)

Secondo il piano della missione, la prima discesa sarà quella che dovrà produrre il volume maggiore di campioni di suolo. Per tale motivo il materiale raccolto sarà destinato alla Camera A, la più grande delle tre. Un cilindro rotante situato all’interno del contenitore, aperto su un lato, fa da guida per le particelle in ingresso e allo stesso tempo da separatore tra gli scompartimenti. Come si può vedere dall’immagine seguente, nella posizione iniziale il cilindro permette l’ingresso dei campioni nella Camera A e, contemporaneamente, mantiene chiuse le Camere B e C. Al momento di ricevere i campioni di suolo del secondo atterraggio, il cilindro ruota di una posizione, in modo da favorire l’ingresso delle particelle nella Camera B, tenendo chiuse al contempo la A e la C. Al terzo atterraggio, ruota ancora di una posizione, lasciando aperta la Camera C e chiuse la A e la B.

In rosso, il cilindro rotante che consente di indirizzare in successione i campioni di suolo verso ognuna delle tre camere del contenitore, mantenendo separati i tre scompartimenti e, alla fine, chiudendoli tutti e tre (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017 / traduzione in italiano: Michele Diodati)

Dopo che tutti e tre gli scompartimenti saranno stati riempiti, il cilindro farà un ultimo quarto di giro, sigillando tutti e tre gli scompartimenti. Questa procedura consente di evitare per quanto possibile che le particelle provenienti dai tre siti di atterraggio si mescolino tra loro, anche se potrà accadere che quelle più piccole passino attraverso i minuscoli vuoti tra il cilindro rotante e gli scompartimenti.

Dopo la chiusura delle tre camere, un apposito meccanismo spingerà il cilindro di raccolta dei campioni all’interno della capsula che sarà paracadutata sulla Terra nel 2020. All’interno della capsula il cilindro sarà quindi sigillato, in modo da essere impermeabile alla pressione dell’atmosfera terrestre, preservando intatto e incontaminato il suo prezioso carico, comprese le eventuali sostanze volatili.

Sulla faccia del cilindro rivolta verso l’esterno della capsula è installata una sorta di spioncino in vetro di zaffiro, che consentirà di monitorare lo stato dei campioni e la presenza di eventuali contaminazioni.

Vista d’insieme del corno campionatore di Hayabusa2 (Hirotaka Sawada et al., “Hayabusa2 Sampler: Collection of Asteroidal Surface Material”, 2017)

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.