I neutrini e la massa della Terra
Conosciamo la massa terrestre grazie all’applicazione della legge di gravitazione universale di Newton. Ma uno studio pubblicato il 5 novembre su Nature Physics dimostra che è possibile calcolare la massa della Terra anche in un altro modo: analizzando le informazioni fornite dai rari impatti di neutrini con il ghiaccio antartico, catturati dai rilevatori dello IceCube
La Terra, con il suo denso nucleo metallico e un raggio medio di 6.371 km, ha una massa totale di 5,97×10²⁴ kg, cioè quasi sei milioni di miliardi di miliardi di chilogrammi (la ripetizione della parola ‘miliardi’ non è un errore). È un numero così grande da riuscire quasi incomprensibile per la mente umana, abituata a confrontarsi con oggetti di massa infinitamente minore.
Ma come facciamo a sapere che la massa del nostro pianeta corrisponde proprio a questo valore astronomico? Lo sappiamo soprattutto grazie a Newton e alla sua legge di gravitazione universale: due corpi si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che separa i loro centri. Se uno dei due corpi è la Terra e l’altro un corpo qualsiasi situato sulla sua superficie, allora la distanza che separa i loro centri equivale al raggio terrestre. La formula che permette di ricavare la forza con cui essi si attraggono è dunque: F = GMm/r², in cui M è la massa della Terra, m quella del corpo sulla sua superficie, G la costante gravitazionale e r il raggio medio del pianeta.
Sappiamo poi dalla seconda legge della dinamica di Newton che F=ma: la forza è il prodotto della massa per l’accelerazione. Possiamo allora sostituire ma alla F nella formula precedente, ottenendo ma=GMm/r². Ma a questo punto la m, che indica la massa di un corpo qualsiasi, si può cancellare perché è presente in entrambi i membri dell’equazione. Resta nel primo membro la a dell’accelerazione, il cui valore in questo caso è noto: è l’accelerazione che un corpo subisce a causa della gravità terrestre al livello del mare. Si indica in fisica con la g minuscola ed equivale a 9,81 m/s². Sostituendo nell’equazione la a con la g rimane infine g=GM/r².
Ma a noi interessa conoscere M. Trasportiamo quindi la M al primo membro dell’equazione e otteniamo M=gr²/G: la massa della Terra sarà uguale pertanto all’accelerazione di gravità (9,81 m/s²) moltiplicata per il raggio terrestre al quadrato (6,37×1⁰⁶ m)², diviso per la costante gravitazionale G.
L’unico elemento che ora ci manca per calcolare la massa della Terra è la costante gravitazionale, cioè il coefficiente di proporzionalità che lega tra loro due masse di cui si voglia calcolare la reciproca forza di attrazione. Il valore della costante gravitazionale può essere ricavato solo per via empirica, e in modo tutt’altro che banale. Il primo che riuscì a calcolarne il valore fu lo scienziato scozzese Henry Cavendish, per mezzo di un celebre e ingegnoso esperimento compiuto nel 1798 usando una bilancia di torsione in legno e pesi di piombo.
Benché il valore ottenuto da Cavendish fosse sorprendentemente accurato per l’epoca, nei due secoli successivi è stato più volte aggiornato usando bilance di torsione sempre più sofisticate e precise. Tuttavia, in modo per la verità piuttosto misterioso, con l’aumentare della precisione degli strumenti non è aumentato il consenso sul valore finale ottenuto, sicché la costante gravitazionale resta una grandezza ancora oggi non perfettamente conosciuta. In ogni caso, il valore ufficiale più recente della costante pubblicato dalla IAU è 6,67428×10⁻¹¹ m³ kg⁻¹ s⁻². Inserendo quest’ultimo dato abbiamo finalmente tutti gli elementi che servono per calcolare il valore di M nell’equazione M=gr²/G. Il risultato che otteniamo è: 5,97×10²⁴ kg. Questa è dunque la massa della Terra che si ricava dalla legge di gravitazione universale di Newton.
Ma è l’unico modo possibile per ricavare la massa della Terra? Pare proprio di no, stando a quanto riporta uno studio pubblicato il 5 novembre su Nature Physics, firmato da Andrea Donini, Sergio Palomares-Ruiz e Jordi Salvado, tre fisici dell’Università di Valencia in Spagna. Il metodo usato dai tre autori per calcolare la massa terrestre è completamente indipendente da misurazioni gravitazionali ed è la prima volta che viene adoperato, per la mancanza, finora, di una base di dati sufficientemente ampia. Donini e colleghi si sono serviti dei neutrini come “sonde”, non solo per ottenere una nuova misurazione della massa della Terra, ma anche per ricavare altre importanti informazioni sulla struttura interna del nostro pianeta.
I neutrini sono particelle prive di carica elettrica e quasi completamente prive di massa. Non sono deflesse da campi magnetici e interagiscono pochissimo con la materia. Possono dunque attraversare enormi distanze, viaggiando nello spazio come messaggeri di fenomeni astrofisici che coinvolgono grandi emissioni di energia, quali lampi di raggi gamma ed esplosioni di supernova: il 23 febbraio 1987, per esempio, l’arrivo sulla Terra della luce dell’esplosione della supernova SN 1987A nella Grande Nube di Magellano fu accompagnata dal passaggio di uno sciame di neutrini, registrato da due diversi laboratori, uno in Giappone e l’altro negli Stati Uniti.
Proprio per la grande importanza dei neutrini come rivelatori di fenomeni astrofisici, sono stati costruiti negli ultimi decenni diversi impianti contenenti sofisticati strumenti in grado di registrare i rari impatti di queste sfuggenti particelle subatomiche. Uno di tali osservatori è lo IceCube, situato in Antartide presso la Base Amundsen-Scott, proprio in corrispondenza del Polo Sud della Terra.
Il sistema di rilevatori dello IceCube è formato da 5.160 sfere chiamate DOM (Digital Optical Modules, cioè “moduli digitali ottici”), contenenti ciascuna un fotomoltiplicatore e la necessaria elettronica di controllo. Gli oltre cinquemila DOM sono impilati in una serie di 86 pozzi scavati nel ghiaccio, distanziati di 125 metri l’uno dall’altro, disposti in modo da formare una griglia esagonale che si estende da 1.450 metri fino a 2.450 metri di profondità. In pratica, l’IceCube fa affidamento sulla capacità del chilometro cubico di ghiaccio antartico che circonda i DOM di arrestare qualcuno degli innumerevoli miliardi di neutrini che, ad ogni istante, attraversano l’atmosfera terrestre e spesso l’intero pianeta.
Ma i neutrini, essendo privi di carica elettrica, non sono di per se stessi rilevabili dai fotomoltiplicatori dello IceCube. È necessario un passaggio intermedio: quando un neutrino interagisce con la solida roccia o con il ghiaccio, decade in altre particelle, soprattutto muoni, i quali possiedono invece carica elettrica. Nell’attraversare il ghiaccio intorno ai DOM, i muoni generati dagli impatti di neutrini si muovono a velocità maggiore di quella della luce nel ghiaccio (ma sempre minore della velocità della luce nel vuoto: la relatività è salva). Questo fenomeno produce una specie di onda d’urto analoga al superamento del muro del suono, ma limitata però alla sola radiazione elettromagnetica: è il cosiddetto effetto Čerenkov. I fotomoltiplicatori dell’IceCube registrano la radiazione generata dal moto dei muoni a velocità superiore a quella della luce nel ghiaccio: è questa, in ultima analisi, la traccia osservabile lasciata dall’impatto di un neutrino.
Le collisioni registrate dallo IceCube in seguito agli eventi appena descritti sono catalogabili in base all’energia e alla direzione di provenienza. Combinando tali dati è possibile capire se un neutrino proveniva dall’alto, dall’atmosfera terrestre, o se ha impattato il rilevatore dal basso, dopo aver attraversato la Terra. I neutrini dotati di minore energia possono attraversare tutto il pianeta indisturbati; quelli più energetici, invece, hanno una sezione d’urto maggiore e, di conseguenza, una maggiore probabilità di impattare lungo il cammino in un nucleo atomico.
Donini, Palomares-Ruiz e Salvado hanno utilizzato queste proprietà dei neutrini e i dati registrati in quasi un anno di osservazioni dallo IceCube per eseguire una vera e propria tomografia della Terra, cioè una ricostruzione degli strati che formano l’interno del pianeta, simile in linea di principio alle tomografie del corpo umano fatte per scopi diagnostici.
I tre hanno utilizzato i dati raccolti da IceCube tra il 2011 e il 2012, cioè un totale di 20.145 muoni rilevati nel corso di 343,7 giorni di esercizio dell’Osservatorio. In base alle energie e agli angoli di provenienza di questi muoni, hanno ricostruito quali parti dell’interno della Terra erano state “sondate” dai neutrini dai quali quei muoni avevano tratto origine.
Il primo risultato da essi ottenuto è una stima della massa della Terra basata esclusivamente sui neutrini. Il valore riportato— 6,0×10²⁴ kg — è in ottimo accordo con le misurazioni gravitazionali (5,97×10²⁴ kg). Il margine d’incertezza della stima è però molto elevato, intorno al 25%, a causa del basso numero di impatti accumulati in meno di un anno di statistiche. Nei prossimi anni, con l’aumento del numero di eventi disponibili, la stima della massa terrestre diventerà senz’altro più precisa.
Gli altri dati ricavati dallo studio di Donini e colleghi riguardano l’interno della Terra e sono di grande importanza, perché la composizione interna e il profilo di densità del pianeta sono stati ricavati finora principalmente dall’analisi del modo in cui le onde sismiche registrate dai sismografi si propagano nel suolo durante i terremoti. Poiché i dati sismologici risentono di notevoli incertezze, poter ricavare informazioni sull’interno della Terra dai neutrini fornisce una nuova e per certi versi insperata fonte di conoscenza.
Uno dei dati di maggior interesse ricavati dagli autori è la massa del nucleo terrestre. Il valore ottenuto è di 2,72×10²⁴ kg (con un margine d’incertezza superiore al 30%). Si tratta di una stima un po’ superiore a quella fornita dai modelli geofisici di densità, che è pari a circa il 33% della massa terrestre totale.
Un’altra grandezza stimata attraverso l’analisi degli impatti di neutrini registrati da IceCube è il momento d’inerzia della Terra, cioè la resistenza offerta dal pianeta a forze che cerchino di modificare la sua velocità di rotazione. Il valore ottenuto da Donini e colleghi è (6,9±2,4)×10³⁷ kg m², inferiore a quello ricavato dalle misurazioni gravitazionali, che è di 8,01×10³⁷ kg m²; le due stime sono però largamente compatibili tra loro, considerando gli ampi margini d’incertezza del valore basato sui dati provenienti dai neutrini.
Un’ultima, notevole inferenza ricavata da questo studio è che la Terra non è omogenea al suo interno: il nucleo è molto più denso del mantello. Può sembrare una cosa scontata, ma non lo è: poiché non possiamo scavare fino al centro della Terra, abbiamo bisogno di “sonde” che possano viaggiare attraverso il pianeta e dirci come è fatto dentro. Le stime sulle variazioni di densità e di composizione ricavate dalla propagazione delle onde sismiche sono basate su relazioni empiriche che diventano tanto più inaffidabili quanto più ci si avvicina al nucleo terrestre. Perciò, avere una fonte di informazione indipendente come i neutrini rappresenta un prezioso alleato nel perseguimento di una migliore conoscenza della struttura interna del nostro pianeta.
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