I vivaci colori della Grand Prismatic Spring nel parco di Yellowstone sono dovuti al tappeto microbico da cui è ricoperta. È probabile che un simile tappeto di microbi ricoprisse i bassi specchi lacustri che circa due miliardi di anni fa, nel territorio dell’odierno Gabon, videro l’accensione di una serie di reattori nucleari naturali, gli unici attualmente noti

I reattori nucleari naturali di Oklo

Circa due miliardi di anni fa, in una regione dell’Africa Centrale situata nell’attuale Repubblica del Gabon, un’incredibile e irripetibile serie di coincidenze provocò l’accensione di almeno diciassette reattori nucleari naturali, che rimasero in funzione per centinaia di migliaia di anni

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
10 min readMay 29, 2019

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Una scoperta sorprendente

Nel 1972 nell’impianto per l’arricchimento dell’uranio di Pierrelatte, in Francia, confluivano campioni di minerali contenenti uranio provenienti da varie miniere. Analizzando con il metodo della spettrometria di massa un campione di esafluoruro di uranio proveniente dalla miniera di Oklo in Gabon, il fisico Francis Perrin si accorse di qualcosa di strano. Il rapporto tra l’uranio-235 (²³⁵U) e l’uranio-238 (²³⁸U) presenti nel campione era pari a 0,007171, un valore leggermente inferiore a quello tipico di 0,007252. Era necessario capire l’origine di tale differenza. Furono così analizzati numerosi altri campioni provenienti dalla stessa miniera. Si scoprì che contenevano una quantità di ²³⁵U inferiore alla media, in alcuni casi molto al di sotto, fino a raggiungere un rapporto minimo di 0,00440 rispetto all’isotopo ²³⁸U. Erano esattamente i valori che ci si sarebbe attesi di trovare in un combustibile nucleare usato all’interno di un reattore.

La scoperta mise in non poco allarme i servizi segreti francesi. La miniera da cui sembrava mancare del pericoloso materiale fissile si trovava presso il fiume Oklo, non molto lontano dal confine con la Repubblica Democratica del Congo, nazione di recente indipendenza, agitata da forti contrasti interni. La possibilità anche remota che qualche gruppo tribale locale potesse aver sottratto abbastanza uranio da creare un ordigno nucleare era così sconvolgente da richiedere un’immediata e attentissima indagine scientifica, che fu affidata all’agenzia francese CEA (Commissariat à l’énergie atomique).

Un équipe di scienziati formata dai maggiori esperti del settore studiò approfonditamente il sito e i minerali da esso estratti e riuscì a trovare prove inconfutabili a sostegno di una conclusione a dir poco sorprendente: il deficit di uranio-235 nei campioni provenienti dalla miniera di Oklo era reale, ma non aveva una causa umana. Per una serie di coincidenze e di fenomeni del tutto naturali, in quella località dell’Africa Centrale si era attivato il medesimo tipo di reazione a catena che, in un reattore nucleare, viene usata per produrre energia. A Oklo, insomma, erano stati in funzione dei reattori nucleari naturali e ciò era avvenuto molto, moltissimo tempo prima di quel fatidico 2 dicembre 1942, in cui all’interno del reattore a fissione Chicago Pile-1, costruito sotto la guida di Enrico Fermi e Leó Szilárd, si innescò la prima reazione a catena autoalimentata prodotta dall’uomo.

I rilievi geologici indicano concordemente che i reattori nucleari di Oklo risalgono a un’epoca remota della storia del nostro pianeta. Le reazioni a catena innescate dalla fissione dell’uranio 235, di cui sono state trovate prove in almeno 17 località disseminate nei territori di Oklo, Okelobondo e Bangombé, avvennero intorno a due miliardi di anni fa. Per avere un’idea di quanto siano lunghi due miliardi di anni, può essere utile un paragone: pensiamo a quanto cose sono successe e a come è cambiato il mondo nei circa 2.000 anni trascorsi dalla morte di Ottaviano Augusto (14 d.C.): ebbene, bisogna mettere in sequenza un milione di intervalli temporali di 2.000 anni ciascuno per arrivare, risalendo indietro nel tempo, all’epoca dei reattori nucleari naturali di Oklo! A confronto di una distanza temporale così grande, persino l’estinzione dei dinosauri — avvenuta intorno a 66 milioni di anni fa — può essere considerata storia recente.

L’attivazione delle reazioni a catena che accesero i reattori di Oklo dipese da un concorso di circostanze uniche, che non potrebbero ripetersi oggi. Cerchiamo dunque di ricostruire quei lontanissimi eventi.

Il segnaposto rosso indica la posizione della miniera di uranio in cui si trovano i resti spenti dei reattori nucleari naturali di Oklo, non lontano dalla città di Franceville, nello stato africano del Gabon

Uranio-235 e uranio-238

Il primo requisito per far funzionare un reattore nucleare è la presenza di un’alta percentuale di uranio-235 nei minerali che contengono uranio. A differenza del molto più comune uranio-238, l’uranio-235 è infatti fissile: nelle opportune condizioni, può dare origine a una reazione a catena autoalimentata. Se bombardato con un neutrone, un nucleo di uranio-235 assorbe il neutrone e aumenta il suo peso atomico a 236. A questo punto subisce il processo di fissione. Il nucleo, che contiene ora 92 protoni e 144 neutroni, si spezza, formando due atomi più leggeri: un atomo di bario, che ha 56 protoni, e un atomo di kripton, con 36 protoni. Ma i due atomi “figli” hanno in totale solo 141 neutroni. I tre neutroni in soprannumero vengono “sparati” nell’ambiente, insieme a raggi gamma, liberando una gran quantità di energia. È proprio la potenza energetica della fissione che ha indotto diverse nazioni a costruire reattori nucleari, nonostante i pericoli legati alla radioattività: se un chilogrammo di carbone può produrre circa 8 kWh di energia, un chilogrammo di uranio-235 può produrne più di 20 milioni!

Il processo della fissione nucleare [Encyclopaedia Britannica / adattamento Michele Diodati]

Basta che uno solo dei tre neutroni colpisca il nucleo di un altro atomo di uranio-235 perché il processo si ripeta, innescando la reazione a catena che alimenta il reattore. Affinché la reazione possa autosostenersi, è necessario però che la percentuale di uranio-235 contenuta nel minerale di uranio sia almeno del 3%, molto maggiore del misero 0,72% che è il tasso attuale di uranio-235 presente nei campioni che non hanno subito fissione. È per questo motivo che l’uranio utilizzato oggi nei reattori nucleari deve prima essere “arricchito”, attraverso procedimenti industriali che aumentano la percentuale di uranio-235 a scapito di quella di uranio-238, fino a raggiungere la soglia utile perché possa mantenersi una reazione a catena.

Ma due miliardi di anni fa, il rapporto naturale tra ²³⁵U e ²³⁸U era ben diverso da quello odierno. C’era allora nei minerali contenenti uranio una percentuale di uranio-235 pari al 3,7%, più che sufficiente a sostenere una reazione a catena, una volta innescata la fissione. Ecco perché i reattori nucleari di Oklo entrarono in funzione due miliardi di anni fa e non potrebbero riaccendersi oggi. La variazione nel rapporto tra ²³⁵U e ²³⁸U ha a che fare con i tempi di dimezzamento, molto diversi, dei due isotopi. L’uranio-235 ha un’emivita di “soli” 704 milioni di anni, a differenza dell’uranio-238, la cui emivita è di 4.468 milioni di anni, cioè oltre 6 volte più lunga. Pertanto, se anche il rapporto tra ²³⁵U e ²³⁸U presenti inizialmente nei minerali di uranio diffusi nel mantello e nella crosta terrestre fosse stato prossimo al valore che si ricava dallo studio delle supernovae, che è pari a 1,65:1 (favorevole dunque all’uranio-235), nei 4,5 miliardi di anni trascorsi dalla formazione del nostro pianeta la differente velocità di decadimento radioattivo dei due isotopi è stata più che sufficiente a ridurre la percentuale di ²³⁵U molto al di sotto della soglia del 3%, il che rende impossibile oggi il verificarsi di fenomeni come quelli accaduti a Oklo due miliardi di anni fa.

Riduzione della percentuale di uranio-235 all’interno di un campione di puro uranio nel corso della storia della Terra. Sull’asse delle ascisse è indicato il tempo in miliardi di anni a partire dal presente (t=0), risalendo a ritroso fino alla formazione del pianeta. Sull’asse delle ordinate è indicato il corrispondente valore percentuale [James D. Wells]

Ossigeno, acqua e batteri

Ma non basta che vi sia un’alta percentuale di uranio-235 per accendere un reattore. Servono anche altri fattori di contorno. All’epoca degli eventi di Oklo non c’erano minatori a prelevare campioni di minerale dal suolo né esisteva un qualsiasi processo industriale di selezione e raffinamento dei materiali (non esisteva neppure la specie umana, a voler essere pignoli). La natura dovette dunque servirsi di ciò che aveva a disposizione: il lavoro congiunto di acqua, ossigeno e batteri.

Nell’atmosfera della Terra primordiale non c’era ossigeno. La sua prima apparizione in massa risale al cosiddetto Grande Evento Ossidativo, accaduto circa 2,4 miliardi di anni fa: batteri che avevano scoperto come trarre energia dalla luce solare produssero enormi quantità di ossigeno molecolare (O₂) come semplice prodotto di scarto della fotosintesi. Ma quell’ossigeno non restò a lungo nell’atmosfera: in un mondo che non aveva ancora conosciuto la forza ossidativa di questo elemento, tutto ciò che poteva arrugginire lo fece, e rapidamente. Le rocce e i fondali marini sequestrarono così tutto l’ossigeno prodotto dai batteri e altrettanto fecero i minerali contenenti uranio, come l’uraninite, molto comune all’epoca degli eventi di Oklo.

Cristalli di uraninite [Rob Lavinsky, iRocks.com]

Grandi quantità di ossidi di uranio (UO₂²⁺), resi solubili dall’ossigeno, furono disciolte dalle acque meteoriche che si insinuavano nelle rocce ricche di uraninite presenti nel territorio di Oklo. Quelle acque, nelle quali la concentrazione di uranio non poteva essere maggiore di poche parti per milione, confluirono in rivoli e torrenti all’interno di laghi poco profondi, nei quali prosperavano immense colonie di batteri, che formavano tappeti di materia organica, simili a quelli che si possono ammirare ancora oggi presso le pozze formate dai geyser nel parco nazionale di Yellowstone e in altri luoghi simili.

Alcune popolazioni di batteri che vivevano in quei laghi avevano un debole per i sali di uranio disciolti nell’acqua: erano in grado di utilizzarli come fonte di energia. L’attività instancabile dei batteri convertì a poco a poco l’uranio disciolto nell’acqua in sali di uranio insolubili e quei sali precipitarono sui bassi fondali dei laghi, depositandosi in strati. Nel corso di milioni di anni, si crearono così su quei fondali depositi di migliaia di tonnellate di minerali ricchi di uranio-235: era stata così finalmente approntata — col concorso di ossigeno, acqua e batteri — la materia prima in grado di far partire i reattori nucleari di Oklo. L’accensione dei reattori non sarebbe potuta avvenire prima, perché non c’era in giro abbastanza ossigeno da rendere solubili i sali di uranio contenuti nelle rocce, né sarebbe potuta accadere in un’epoca di molto successiva, perché il decadimento radioattivo avrebbe presto ridotto la quantità di uranio-235 presente in quei depositi al di sotto del 3%.

Un ciclo di tre ore

Gli studi compiuti a partire dal 1972 hanno accertato che nei vari siti della miniera di Oklo in cui si attivarono reattori nucleari le reazioni a catena durarono per centinaia di migliaia di anni, forse addirittura per milioni di anni. Questa capacità unica di sostenere reazioni nucleari così a lungo, e in modo del tutto naturale, fu un prodotto non solo delle circostanze fin qui descritte, ma anche di altri due fattori, altrettanto importanti: i depositi di uranio in quella regione del Gabon contenevano una bassa percentuale di terre rare ed erano immersi nell’acqua.

Alle terre rare appartengono elementi che sono noti come veleni neutronici: sono grandi assorbitori di neutroni e perciò ostacolano fortemente le reazioni a catena originate dall’emissione di neutroni che avviene durante la fissione dell’uranio-235. Il fatto che nei depositi di Oklo le terre rare fossero appunto rare (mi si perdoni il gioco di parole) fu dunque un elemento molto importante nell’insieme di coincidenze che consentì il lunghissimo funzionamento di quei reattori nucleari.

L’acqua, infine, svolse un ruolo essenziale di moderatore delle reazioni a catena: rallentava i neutroni prodotti dal decadimento dei nuclei di uranio-235 e li rifletteva indietro verso il reattore, aumentando così la probabilità che essi venissero assorbiti da altri nuclei dello stesso isotopo, fattore indispensabile per il mantenimento delle reazioni a catena. In questo modo l’acqua consentiva ai vari reattori formatisi nel territorio di Oklo di funzionare a pieno regime. Le reazioni nucleari facevano salire la temperatura, che raggiungeva presto i 300–400 °C. A un certo punto, ovviamente, l’acqua intorno ai reattori cominciava a bollire e si trasformava in vapore. I neutroni prodotti dalla fissione erano così finalmente liberi di sfuggire all’esterno e ciò evitava che i reattori raggiungessero il livello critico che prelude a un’esplosione.

Schema di massima della composizione geologica nel territorio dei reattori di Oklo: 1) reattori nucleari; 2) depositi di arenaria; 3) strato contenente minerali di uranio; 4) basamento di granito

Ma la fuga dei neutroni bloccava le reazioni a catena, sicché la temperatura scendeva rapidamente fino al punto in cui il vapore condensava nuovamente in acqua liquida. A questo punto il ciclo ripartiva con una nuova accensione dei reattori, fino alla successiva evaporazione dell’acqua. Gli scienziati hanno scoperto che, durante il lunghissimo periodo di tempo in cui i reattori di Oklo rimasero attivi, funzionarono in base a un ciclo di tre ore: per mezz’ora circa le reazioni a catena procedevano a pieno regime, fino a che l’acqua non bolliva; nelle successive due ore e mezza i siti si raffreddavano, fino a che il ritorno dell’acqua non faceva ripartire il meccanismo. Questo ciclo, assolutamente naturale e incontrollato, si ripeté per un numero incalcolabile di volte, con i batteri unici testimoni viventi di ciò che accadeva. Altrettanto naturalmente i reattori alla fine si spensero, quando la percentuale di uranio-235 scese al di sotto del 3%.

Durante la loro lunga attività i reattori nucleari del Gabon produssero un milione di volte più energia di quella che sarebbe stata prodotta dal semplice decadimento radioattivo dell’uranio. Si calcola che le reazioni a catena avvenute in quei siti abbiano generato circa 5,4 tonnellate di prodotti della fissione (tra cui cinque isotopi dello xenon, neodimio-143 e rutenio-99) più 1,5 tonnellate di plutonio e di altri elementi transuranici. La cosa notevole, emersa dagli studi effettuati sul territorio, è che le scorie prodotte da quelle reazioni nucleari sono rimaste intrappolate nel sito originale, circondate da strati di materiale argilloso, spostandosi solo di alcuni centimetri nel corso di ben due miliardi di anni: una prova incontestabile a sostegno della tesi che interrare le scorie nucleari è, tra tutti i possibili metodi di stoccaggio, la scelta migliore.

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Michele Diodati
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Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.