Un fermo immagine dalla scena finale del film “2001: Odissea nello spazio”

Il futuro attraverso gli occhi della fantascienza

C’è qualcosa di paradossale nella fantascienza. Ci parla di straordinarie innovazioni tecnologiche, che però sembrano non arrivare mai (ibernazione, viaggi interstellari, auto volanti ecc.). Al contempo, manca quasi sempre di anticipare le innovazioni che realmente trasformano il mondo (Internet e smartphone, tra le altre)

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
16 min readJun 16, 2020

--

Cosa cerchiamo nella fantascienza?

Perché ci appassiona tanto la fantascienza? Per l’inevitabile contrapposizione tra il bene e il male? Per le ambiguità che nascono dalla trasposizione nel futuro di questa contrapposizione? Per le vicissitudini dell’eroe o dell’eroina di turno, posti di fronte a un’impresa quasi impossibile da realizzare? O per gli amori, i tradimenti, le paure, gli slanci epici che abbondano nei libri e nei film di questo genere, conditi con l’immancabile serie di inseguimenti, sparatorie, scazzottate, torture, morti e salvataggi?

Forse per tutte queste ragioni, ma per nessuna di esse in particolare. La lotta tra il bene e il male, l’eroismo, l’amore, l’odio, i tradimenti, gli inseguimenti, le guerre, il sangue, la vendetta sono archetipi universali della cultura umana e si possono ritrovare in ogni tipo di espressione artistica, dalla tragedia greca fino alle forme espressive più recenti, tra le quali il cinema e i videogiochi.

No, l’elemento cardine che ci fa amare la fantascienza è un altro. È l’anticipazione del futuro. Gli autori di fantascienza “masticano” il presente, con le sue tecnologie di massa, e “sputano” fuori un’idea di futuro, in cui quelle tecnologie sono portate a un livello superiore o sono soppiantate da nuove e più potenti tecnologie. Nel compiere quest’operazione, essi arricchiscono la loro idea di futuro anche con le patologie sociali e i rischi ecologici, che diventano palpabili non appena si accetta l’idea di un inevitabile, vertiginoso aumento del potere delle macchine e del loro cattivo uso da parte degli umani.

Anche nei futuri più distopici immaginati dalla fantascienza, in cui guerre nucleari o altri cataclismi hanno decimato l’umanità e devastato l’ambiente, c’è sempre spazio per potentissime tecnologie, che i protagonisti della narrazione adoperano con la stessa naturalezza con la quale oggi utilizziamo uno smartphone o l’automobile parcheggiata sotto casa. Nella finzione narrativa, queste tecnologie possono essere sopravvissute alla catastrofe globale o essere state create in seguito: non importa. Ciò che conta è che esse sono l’elemento centrale che caratterizza la fantascienza in quanto tale.

Il presupposto che rende possibile e attraente la fantascienza è appunto l’idea che l’incredibile sviluppo scientifico e tecnologico che ha caratterizzato in particolare l’ultimo secolo possa continuare indefinitamente nel futuro. Del resto, se nell’arco di soli sessantasei anni siamo passati dal primo volo sbilenco dei fratelli Wright (1903) allo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11 (luglio 1969), perché mai dovremmo porre limiti alle macchine volanti che l’ingegno umano può realizzare? In un arco di tempo molto simile, la genetica ha conosciuto progressi analoghi. Dalla scoperta della struttura a doppia elica del DNA nel 1953 fino alla possibilità, resa disponibile nel 2015, di modificare a basso costo il DNA di topi da laboratorio con la tecnica di editing genetico CRISPR-Cas9 sono trascorsi solo 62 anni. Non è naturale, allora, immaginare un futuro in cui sarà possibile costruire in laboratorio copie di esseri umani indistinguibili dagli originali messi al mondo per via naturale?

Una foto che ritrae il primo volo aereo della storia, avvenuto il 17 dicembre 1903 a Kitty Hawk nella Carolina del Nord. Più che un volo, fu un balzo, a dirla tutta: il biplano a motore dei fratelli Orville e Wilbur Wright percorse soltanto 36 metri. Meno di 66 anni separano questo primo tentativo di volo dall’allunaggio dell’Apollo 11, avvenuto il 20 luglio 1969

La fantascienza, insomma, è il serbatoio di visioni e anticipazioni al quale attingere, quando vogliamo farci un’idea di come sarà il futuro che ci aspetta. Ma quanto sono attendibili le previsioni della fantascienza? La domanda ha senso e può ricevere risposte documentate, dal momento che molti dei futuri descritti da romanzi e film di fantascienza nei decenni trascorsi parlano di epoche che, per noi umani del 2020, rappresentano ormai non più il futuro ma il passato. Ci troviamo, così, nella curiosa ma interessante posizione di poter esaminare la nostra storia recente e vedere quanto di ciò che è realmente accaduto era stato previsto in opere che ebbero grande successo qualche decennio fa.

2001: Odissea nello spazio

Prendiamo per esempio 2001: Odissea nello spazio. Il film di Kubrick, uscito nel 1968, è universalmente considerato un capolavoro del cinema di fantascienza. Kubrick mise una cura maniacale nella realizzazione di effetti scenici che fossero scientificamente plausibili. Una delle invenzioni utilizzate a tal fine nel film sono per esempio le “grip shoes”: scarpe in grado di generare una presa stabile sul pavimento e permettere così di camminare anche in assenza di gravità alle hostess del traghetto spaziale che trasporta il dottor Floyd dalla Terra alla base lunare Clavius. Altri elementi scenici che appaiono come anticipazioni plausibili di tecnologie diffuse nel futuro delineato dal film sono, per esempio, le consolle video che consentono di effettuare videochiamate con la Terra, di giocare a scacchi con il computer e di ricevere per via satellitare le trasmissioni televisive della BBC.

Nella finzione cinematografica di “2001: Odissea nello spazio” il viaggio Terra-Luna è ormai un volo di routine. Le hostess camminano in assenza di gravità grazie ad apposite scarpe, che consentono loro di aderire alle superfici calpestabili dell’astronave

Ma quanto del futuro proposto nel 1968 da 2001: Odissea nello spazio è effettivamente diventato realtà? Poco o nulla, a dire il vero. La base lunare Clavius, alla quale è dedicata la prima parte del film, è un insediamento umano stabile, che consente complesse attività scientifiche. Nella finzione cinematografica, nel 1999 la base è già pienamente operativa: è lì che si reca il dottor Floyd, per esaminare il misterioso monolito di origine aliena, che rappresenta il filo conduttore della narrazione. La realtà, purtroppo, è ben diversa. Dopo la grande impresa delle missioni Apollo, che portarono in tutto dodici uomini a calpestare il suolo lunare tra il 1969 e il 1972, la Luna ha perso interesse come obiettivo di missioni spaziali con equipaggio. L’idea di costruire una base lunare abitata è ritornata più volte all’attenzione della NASA e di altre agenzie spaziali, ma le difficoltà tecniche e il costo esorbitante dell’impresa hanno finora bloccato qualsiasi passo concreto in quella direzione.

Elemento centrale di 2001: Odissea nello spazio è poi la missione con equipaggio umano diretta verso il sistema di lune di Giove, alla ricerca di un altro monolito di origine aliena. Anche in questo caso, l’anticipazione della fantascienza non si è realizzata. Sono passati quasi altri due decenni dal 2001, ma non siamo ancora riusciti ad andare su Marte, ben più vicino di Giove, e neppure a ritornare sulla Luna.

L’astronave che nel film viaggia verso Giove dispone di un sistema di gravità artificiale basato sulla forza centrifuga creata dalla rotazione. Anche questa anticipazione resta per ora pura fantascienza. L’umanità è stata in grado finora di creare una complessa base spaziale in bassa orbita terrestre, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), ma essa è fatta di piccoli moduli interconnessi, all’interno dei quali gli astronauti fluttuano in condizioni di microgravità. Non c’è alcuna possibilità che la ISS venga espansa con l’aggiunta di moduli rotanti in grado di creare una gravità artificiale. È molto più probabile invece che nei prossimi anni la stazione spaziale venga smantellata e deorbitata, a causa dei suoi elevati costi d’esercizio.

In “2001: Odissea nello spazio”, l’astronave Discovery One offre agli astronauti un sistema di gravità artificiale basato sulla rotazione. Dal fermo immagine si intuisce la forma a “ciambella” necessaria per simulare la gravità attraverso la forza centrifuga. Nell’immagine sono visibili anche gli astronauti in ibernazione, all’interno di apposite cripte

Un altro elemento importante del futuro delineato da 2001: Odissea nello spazio è la possibilità di compiere viaggi spaziali in stato di ibernazione. Tre membri dell’equipaggio della Discovery One, l’astronave inviata verso Giove, viaggiano appunto in ibernazione. L’espediente è utilizzato, del resto, in un numero incalcolabile di romanzi e film di fantascienza. Ma è realmente possibile ibernare un essere umano e risvegliarlo a comando dopo un certo numero di mesi o di anni? Per ora, assolutamente no. A oltre mezzo secolo di distanza dall’uscita nei cinema di 2001: Odissea nello spazio, l’ibernazione resta una frontiera scientifica, prima ancora che tecnologica, ancora ben lontana dall’essere raggiunta.

Gli ultimi progressi della ricerca ci informano che un gruppo di scienziati dell’Università di Harvard è riuscito a scoprire quali neuroni, nell’ipotalamo dei topi, regolano l’ingresso e l’uscita di questi mammiferi dal torpore, uno stato in cui la temperatura corporea e il metabolismo scendono molto al di sotto dei livelli normali, per far fronte a una condizione duratura di mancanza di cibo. La scoperta di questi meccanismi è un primo, promettente passo verso la possibilità di controllare in modo deliberato il metabolismo dei mammiferi, ma siamo ancora ben lungi dalla possibilità di ibernare esseri umani in vista di lunghi viaggi spaziali.

Ma veniamo all’elemento narrativo centrale di 2001: Odissea nello spazio: il conflitto tra il supercomputer Hal 9000 e l’equipaggio umano della Discovery One. Hal 9000 è un computer così sofisticato, da essere in grado di elaborare e attuare strategie per ingannare gli esseri umani: finge, infatti, il guasto imminente di un componente esterno, così da costringere il comandante Bowman e il suo vice Poole a uscire dall’astronave, in modo da impedire poi loro di rientrare. Per condurre a termine la missione, Hal 9000 è disposto a sacrificare senza problemi la vita degli umani a bordo del velivolo spaziale.

L’iconico “occhio” di Hal 9000 in “2001: Odissea nello spazio”

L’idea di un’intelligenza artificiale (AI) dotata di capacità cognitive superiori, in certi casi più che umane, è diffusissima nella fantascienza. I film della serie Terminator ne sono un altro esempio. Ma quanto siamo vicini, nella realtà, alla possibilità di costruire un supercomputer con le capacità di Hal 9000? Non molto, a quanto sembra. Disponiamo, è vero, di computer dotati di grande potenza di elaborazione, ma sono in grado per ora di eseguire solo compiti molto specifici. Già nel 1997, Deep Blue di IBM dimostrò di poter battere l’allora campione del mondo di scacchi Garry Kasparov. Un’altra impresa notevole è stata la netta vittoria del programma AlphaGo sul diciotto volte campione del mondo di Go Lee Sedol, in un match disputato nel 2016 in Corea del Sud.

L’AI si sta rivelando uno strumento estremamente potente e versatile per svolgere elaborazioni su grandi quantità di dati. Software di AI sovrintendono, per esempio, alla guida di aeroplani e navi, processando un’infinità di informazioni inviate dai numerosi dispositivi di bordo. Tali software vengono utilizzati, inoltre, per gestire complesse simulazioni scientifiche in vari campi (meteorologia, astrofisica, biologia ecc.). Ma tutte queste attività, benché essenziali al funzionamento di tecnologie ormai indispensabili per la nostra civiltà, non somigliano neppure lontanamente, almeno per ora, all’idea fantascientifica di un computer, per così dire, autocosciente.

Una scena di “2001: Odissea nello spazio”. Hal 9000 infligge scacco matto al dr. Frank Poole, che muove i suoi pezzi attraverso comandi vocali

Non esiste qualcosa — nell’esecuzione di un software, per quanto complesso, da parte di un computer — che somigli alla percezione di sé come individuo pensante che è propria dell’essere umano. Un software di AI non “desidera” completare la sua missione o fare bella figura con gli umani; si limita semplicemente a eseguire le routine scritte nel suo codice. L’autonomia decisionale dei computer rimane perciò confinata a ciò che i programmatori stabiliscono che un programma possa e debba fare. L’AI può migliorare le proprie capacità per tentativi ed errori. È così, per esempio, che AlphaGo ha sviluppato le strategie per battere il super-campione umano di Go Lee Sedol. Ma i limiti in cui tale miglioramento può avvenire sono sempre dettati dalle routine presenti nel software e dalle caratteristiche fisiche del computer in cui tale software viene installato. Dati simili limiti, è molto difficile immaginare in che modo un computer possa decidere in autonomia di compiere operazioni per le quali non è stato programmato, riorganizzando “a suo piacimento” la realtà fisica con cui ha la possibilità di interagire.

Blade Runner

Un altro film del secolo scorso considerato a buon diritto un capolavoro della fantascienza è Blade Runner, del 1982. Sottovalutato all’inizio, anche per la concomitante uscita in quell’anno di altri film di fantascienza di grande successo come Star Trek II — L’ira di Khan ed E.T. l’extra-terrestre, Blade Runner si prese la rivincita nei decenni successivi, diventando a poco a poco un film di culto. Le atmosfere cupe e piovose della Los Angeles del futuro voluta dal regista Ridley Scott, la bellissima colonna sonora di Vangelis e soprattutto la magistrale interpretazione di Rutger Hauer nel ruolo del replicante Roy Batty hanno reso Blade Runner un punto di riferimento imprescindibile per le visioni del futuro immaginate dalla fantascienza, influenzando le atmosfere di moltissimi film e videogiochi usciti negli anni successivi.

Ma, tolto il fascino visionario, quanto del futuro descritto da Blade Runner si è poi effettivamente avverato? Pochissimo, meno ancora che nel caso di 2001: Odissea nello spazio. La trama di Blade Runner è ambientata a Los Angeles nel novembre 2019, 37 anni nel futuro rispetto all’anno di uscita del film e sette mesi nel passato rispetto al presente (giugno 2020). La Los Angeles immaginata da Ridley Scott è un formicaio umano, dominato da edifici giganteschi: non semplici grattacieli a sviluppo verticale, ma enormi agglomerati di cemento, che, come il palazzo della Tyrell Corporation, si sviluppano anche in orizzontale, formando masse immense. Nulla di simile è mai stato costruito nella Los Angeles reale né in alcuna altra metropoli del mondo.

Lo smisurato edificio della Tyrell Corporation in una delle scene iniziali di “Blade Runner”

In questo caso, la fantascienza non ha fatto altro che enfatizzare una tendenza in corso da alcuni secoli, cioè il progressivo spostamento della popolazione umana dalle campagne alle città. Tale tendenza ha prodotto negli ultimi decenni delle autentiche megalopoli, soprattutto in Asia. Ma gli edifici in cui abitano esseri umani reali devono possedere caratteristiche minime di vivibilità di cui la fantascienza non si preoccupa. Ecco perché la Los Angeles disegnata da Blade Runner, così come tante altre megalopoli immaginarie create dalla fantascienza, appaiono così lontane dalla realtà: sono pensate per affascinare lo spettatore, non per consentire alla gente di viverci.

Un altro elemento potente del fascino di Blade Runner sono gli spinner, le auto volanti usate dalla polizia di Los Angeles. Possono correre sulle strade come comuni automobili, ma all’occorrenza decollano in verticale e attraversano volando lo spazio urbano, zigzagando tra i grattacieli con eleganza e velocità. Anche in questo caso, la realtà non ha seguito per nulla la fantascienza. L’idea che un giorno gli esseri umani possano spostarsi liberamente nel cielo usando macchine volanti ricorre da oltre un secolo nelle visioni del futuro di innumerevoli autori, ma la trasformazione di quest’idea in un sistema praticabile di mobilità aerea su scala personale, in grado di trasferire il comune traffico automobilistico dalle strade ai cieli, si è rivelata molto più difficile del previsto.

Lo spinner con a bordo Rick Deckard (Harrison Ford) e il collega Gaff, mentre atterra su uno dei grattacieli della futuristica Los Angeles del 2019 immaginata da “Blade Runner”

Anche gli aerei più recenti, infatti, non sono adatti per la mobilità personale su scala cittadina. Sono grandi, costosi, difficili da pilotare e richiedono per il decollo e l’atterraggio lunghe piste, sgombre da qualsiasi altro velivolo. Neanche gli elicotteri sono una soluzione personale praticabile. Sono anch’essi relativamente costosi e ingombranti e richiedono, per essere pilotati, un addestramento ben maggiore di quello necessario alla guida di una comune automobile. Le lunghe pale del rotore impediscono poi l’atterraggio e il decollo da luoghi affollati come le strade cittadine. I droni con motori elettrici, tarati sulle dimensioni e il peso di un guidatore umano, hanno qualche possibilità, forse, di diventare in futuro un’alternativa alla mobilità urbana su strada, ma solo per usi particolari e per guidatori particolarmente addestrati. I primi esperimenti al riguardo, come dimostra il video seguente, non sono affatto incoraggianti…

Ma le anticipazioni futuristiche di Blade Runner che si sono rivelate, col senno di poi, più lontane di tutte dalla realtà sono quelle delle colonie extra-mondo e dei replicanti sintetici. Nella realtà immaginaria del film, l’umanità, per fronteggiare il terribile inquinamento creato sulla Terra e la scarsità di risorse conseguente alla distruzione dei terreni coltivabili e di quasi tutte le specie animali, ha colonizzato altri mondi, costruendovi delle colonie nelle quali i lavori più faticosi e ingrati, compresa la prostituzione, sono affidati ad androidi organici, creati con avanzate tecniche di ingegneria genetica dalla Tyrell Corporation. Gli androidi più sofisticati, appartenenti alla serie Nexus-6, sono intelligenti almeno quanto i loro creatori umani e molto più forti fisicamente. Il loro codice genetico è stato però manipolato dai costruttori in modo da consentire loro una durata di vita massima di quattro anni. Vengono prodotti già come individui adulti, ma, grazie all’innesto di falsi ricordi, credono di avere una storia personale risalente all’infanzia, simile a quella dei normali esseri umani.

Purtroppo, a giugno 2020, di colonie extra-mondo non ce n’è neppure l’ombra. Come ricordato più sopra, l’esplorazione spaziale con equipaggio umano si è arrestata alla Luna e, a partire dal 1972, nessun essere umano si è mai più allontanato dall’orbita terrestre.

Per quanto riguarda gli androidi organici, la questione è più complessa. Le moderne tecniche di manipolazione genetica consentono in linea teorica di alterare il genoma umano, inserendo negli embrioni delle mutazioni artificiali per mezzo della tecnica denominata CRISPR-Cas9. Tuttavia, a parte un unico tentativo, a quanto pare fallito, di produrre una mutazione controllata nel genoma di due gemelline cinesi nel 2018, questa tecnica non viene utilizzata per ora su embrioni umani, soprattutto per ragioni etiche. In ogni caso, se anche fosse lecito condurre esperimenti di ingegneria genetica su esseri umani, non disponiamo di alcuna tecnologia in grado di produrre “androidi” adulti, fisicamente potenziati e destinati a vivere solo quattro anni. Un embrione umano modificato geneticamente porterebbe alla nascita di un neonato, il quale sarebbe, non un androide, ma un essere umano a tutti gli effetti, anche se portatore di modifiche artificiali al suo genoma. Meno che mai disponiamo delle tecnologia per impiantare falsi ricordi d’infanzia nella mente di chicchessia.

Un fermo immagine dal celebre monologo finale dell’androide Roy Batty (Rutger Hauer) in “Blade Runner”

Il paradosso della fantascienza

La fantascienza è essenzialmente una forma di intrattenimento. Pertanto, i futuri che essa immagina non devono per forza essere verosimili. Eppure, molta parte del fascino di questo genere di intrattenimento sta proprio nella sua capacità di catturare l’immaginazione, mostrandoci una serie di dispositivi e di soluzioni tecnologiche che devono apparirci verosimili, sulla base della comune esperienza che abbiamo del presente. I mondi della fantascienza sono pieni di gadget tecnologici che consentono di fare cose che al momento non sono possibili, ma che un giorno forse potrebbero esserlo. E di certo c’è moltissimo studio dietro la progettazione e la creazione delle tecnologie futuribili mostrate in tanti film. Come mai, allora — viene naturale domandarsi — la fantascienza sbaglia così tanto nelle sue anticipazioni del futuro? E, soprattutto, come mai non riesce invece ad anticipare le tante innovazioni tecnologiche che realmente sono state introdotte nel corso degli ultimi decenni e che plasmano oggi il nostro presente?

Prendiamo il caso, ancora una volta, di Blade Runner. Nel 2019 immaginato nel film ci sono automobili volanti, colonie extra-mondo e androidi così perfetti da richiedere un complicato test per scoprire che non sono esseri umani. Tuttavia, in questo mondo così avanzato tecnologicamente, tutti i monitor presenti negli uffici sono del vecchio tipo a tubo catodico (o CRT, da cathode-ray tube), una tecnologia che nella realtà è ormai completamente caduta in disuso. Già nel 2007, infatti, dodici anni prima dell’epoca in cui è ambientato Blade Runner, la qualità delle immagini riprodotte sugli schermi a cristalli liquidi aveva superato quella dei monitor CRT. Il contemporaneo abbattimento dei prezzi ha favorito in pochi anni la diffusione globale di questa nuova tecnologia, nelle sue numerose varianti, a danno del vecchio, pesante e meno performante sistema CRT. Ma, nel 1982, gli autori del film tutto ciò non potevano saperlo e, soprattutto, non seppero prevederlo.

I monitor della macchina di Voight-Kampff, con cui in “Blade Runner” si eseguono i test per verificare se la persona intervistata è un essere umano o un androide

Un altro elemento che rende, per così dire, datato il futuro di Blade Runner sono le interfacce a caratteri mostrate sugli schermi dei computer che si vedono nel film. Nella realtà, già molto prima del 2019 la potenza di elaborazione dei computer è diventata tale da consentire la diffusione universale delle interfacce grafiche, basate sui sistemi operativi di Microsoft e Apple. Oggi nessuno comprerebbe un computer limitato all’uso del DOS, se non per collezionismo o come gadget dal sapore retrò.

In “Blade Runner”, i computer hanno schermi CRT e interfacce a caratteri. L’oggetto visibile sulla sinistra ha tutto l’aspetto di una stampante ad aghi, uno strumento quasi antidiluviano nel 2019 reale

Ma, riguardando Blade Runner con gli occhi del presente, c’è una mancanza ancora più appariscente. A un certo punto del film, Rick Deckard, l’agente dell’unità speciale Blade Runner interpretato da Harrison Ford, decide di telefonare a Rachael, uno degli androidi della serie Nexus-6, per invitarla a uscire. Deckard si trova in strada e, per chiamare Rachael, usa un telefono pubblico. La soluzione proposta dal film è certamente avveniristica per il 1982. L’apparecchio consente la videochiamata, sicché Deckard e Rachael possono parlare guardandosi l’un l’altra. Ma l’intero sistema di comunicazione è poco pratico e costoso, visto con gli occhi del presente. Deckard deve comporre il numero cifra per cifra su una tastiera fisica. Pochi secondi di conversazione gli costano ben 1,25 dollari. Ma, soprattutto, deve recarsi a una postazione pubblica per effettuare la videochiamata.

Rick Deckard (Harrison Ford) compone il numero di Rachael sulla tastiera di un videotelefono pubblico. In “Blade Runner” non ci sono smartphone

Da questo punto di vista, il nostro presente è molto più avanzato del futuro immaginato da Blade Runner. A un qualsiasi abitante della vera Los Angeles del 2019 sarebbe bastato tirar fuori lo smartphone dalla tasca, selezionare il nome di Rachael dalla rubrica dei contatti e avviare la chiamata, magari con un rapido comando vocale. Usando WhatsApp o un qualsiasi servizio dotato di funzioni analoghe, avrebbe poi potuto intrattenersi in una videochiamata lunga a piacere, pagando certamente meno di 1,25 dollari.

Un fermo immagine dalla videochiamata a Rachael e il costo totale della conversazione

C’è, dunque, nella fantascienza qualcosa di davvero singolare. Quando il futuro di cui ci parla è per noi ancora lontano, allora le tecnologie più o meno verosimili che essa ci presenta hanno il fascino futuristico di qualcosa che ancora non c’è, ma che un domani forse potrebbe esserci. Quando, invece, quel futuro è ormai vicino o addirittura passato, come nel caso di 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner, allora ci appaiono in tutta la loro chiarezza gli errori contenuti in quelle anticipazioni: le cose che non si sono realizzate e, soprattutto, quelle che si sono realizzate, ma che la fantascienza non aveva previsto. L’aspetto paradossale delle opere di fantascienza è che, quando invecchiano, il futuro di cui ci parlano ha ormai il sapore del passato, come le luci al neon della Los Angeles di Blade Runner, i suoi monitor CRT, i videotelefoni pubblici con le tastiere, la gigantesche pubblicità della Atari, ormai fallita, la mancanza di droni, di telefoni cellulari, di tablet e l’inesistenza di qualsiasi riferimento a Internet e a siti web.

In conclusione, la fantascienza è in grado di creare opere potenti, che catturano l’immaginazione, disegnando futuri popolati di tecnologie affascinanti e in alcuni casi verosimili. Tuttavia, il futuro di cui la fantascienza è in grado di parlare è semplicemente una manipolazione del presente, del quale vengono enfatizzate tendenze e aspirazioni. Auto volanti, viaggi interstellari, ibernazione, cyborg umanoidi e colonie spaziali fanno parte appunto di questo bagaglio di aspirazioni futuribili; non sono possibilità reali, almeno a breve termine. Manca in genere alla fantascienza la capacità di anticipare le innovazioni tecnologiche possibili, quelle che plasmeranno il futuro nella realtà.

Il futuro, in sostanza, è e resta imprevedibile. Del resto, se potessimo davvero conoscere in anticipo come sarà il domani, quali invenzioni e tecnologie useremo fra venti o cento anni, la fantascienza perderebbe di colpo tutto il suo innegabile fascino.

Il Dr. Heywood Floyd, mentre è in viaggio verso la Luna, effettua una videochiamata con la figlia rimasta sulla Terra in una scena di “2001: Odissea nello spazio”

--

--

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.