Il futuro dell’Universo e l’esplosione tardiva delle stelle nere

In un futuro lontanissimo, l’esplosione delle nane nere sarà probabilmente l’ultimo evento degno di nota in un Universo avviato verso la morte termica

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
11 min readAug 23, 2020

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Secondo il modello cosmologico prevalente, l’Universo continuerà a espandersi indefinitamente, e con velocità accelerata, sotto il dominio via via più marcato della cosiddetta energia oscura. Se questa previsione è corretta, una serie di eventi inevitabili, scaglionati lungo un tempo incredibilmente lungo ma calcolabile, trasformeranno completamente l’aspetto dell’Universo osservabile. Lo stesso cielo che, visto attraverso i telescopi più potenti, ci mostra oggi una fittissima rete di galassie, poste alle distanze più diverse e colte in differenti stadi evolutivi, ciascuna popolata da decine o centinaia di miliardi di stelle, apparirà fra molti miliardi di anni completamente vuoto, pervaso da un’impenetrabile oscurità.

Ma cominciamo dall’inizio…

Un Universo di resti stellari

I dati più precisi e aggiornati, basati sull’analisi della radiazione cosmica di fondo, indicano che l’Universo esiste da 13,8 miliardi di anni. La gran parte delle stelle si formò nei primi due o tre miliardi di anni dopo il Big Bang. In tutto il tempo successivo, cioè da circa undici miliardi di anni a questa parte, il ritmo di formazione stellare nelle galassie è costantemente diminuito. I calcoli basati su tale declino, testimoniato da molteplici studi, suggeriscono che in futuro, non importa quanto a lungo si aspetti, l’Universo non formerà più che un ulteriore 5% di stelle, rispetto a quelle oggi esistenti.

Ma quanto ci vorrà perché anche le stelle più longeve si spengano? Lo hanno calcolato, insieme a molte altre cose, Fred C. Adams e Gregory Laughlin, due astrofisici dell’Università del Michigan, in uno studio sul destino dell’Universo, pubblicato nel 1997 su Reviews of Modern Physics. I 13,8 miliardi di anni trascorsi dall’epoca del Big Bang ad oggi sono davvero poca cosa rispetto ai 10¹⁴ anni — 1 seguito da 14 zeri, cioè centomila miliardi di anni — che occorrerà attendere affinché

  1. le galassie esauriscano completamente le riserve di gas necessarie a formare nuove stelle, e
  2. anche le nane rosse più piccole e fredde — cioè le stelle più longeve in assoluto — esauriscano la loro riserva di combustibile nucleare, diventando nane bianche composte prevalentemente di elio.

Quando anche l’ultima nana rossa avrà compiuto questa trasformazione, non resteranno che resti stellari iperdensi: una quantità relativamente modesta di buchi neri e stelle di neutroni e un’immensa quantità di nane bianche. Queste ultime, formate dai nuclei ormai inattivi, composti di materia degenere, di stelle che avevano in origine masse comprese tra 0,08 e circa 8−10 masse solari, saranno i resti stellari di gran lunga più numerosi in quel futuro remoto dell’Universo, nel quale nessuna nuova stella potrà più essere formata.

Spaccato della struttura interna di una nana bianca, colta durante il processo di cristallizzazione [University of Warwick/Mark Garlick]

L’evaporazione delle galassie e dei buchi neri

Un altro processo, che procederà parallelamente al progressivo spegnimento delle stelle, contribuirà nel frattempo a rendere lo spazio cosmico qualcosa di completamente diverso da ciò che osserviamo oggi: la lenta “evaporazione” delle galassie. Non si tratta di un’evaporazione nel senso letterale del termine, ma della progressiva espulsione nello spazio intergalattico di gran parte della popolazione di stelle e resti stellari di cui ogni galassia è composta. È un fenomeno, già in corso, che si verifica attraverso una sorta di “danza” coreografata dalla gravità. Il suo esito è la segregazione di massa: nel corso di miriadi di interazioni gravitazionali tra oggetti più o meno distanti, i corpi più massicci — i buchi neri in primis — precipitano verso il centro delle galassie, mentre i corpi meno massicci vengono espulsi nello spazio intergalattico [1].

Allo svuotamento delle galassie contribuiranno poi le inevitabili collisioni tra oggetti appartenenti a sistemi binari. Dato un tempo sufficientemente lungo, tutte le orbite binarie si contrarranno per l’emissione di onde gravitazionali, fino a produrre l’inevitabile collisione (con coalescenza o possibile esplosione di supernova) dei membri di ciascun sistema. Alla fine, tutte le stelle e i resti stellari rimasti all’interno delle galassie — si stima tra l’1% e il 10% del totale iniziale — finiranno divorati da un buco nero supermassiccio centrale, che raggiungerà masse nell’ordine delle decine o, forse, centinaia di miliardi di masse solari.

In un tempo complessivo calcolato approssimativamente in 10²⁰ anni — cento miliardi di miliardi di anni — , l’intero processo potrà dirsi concluso. In quel futuro remotissimo, l’Universo sarà popolato esclusivamente da resti stellari, per la maggior parte nane bianche, separati gli uni dagli altri da distanze abissali, a causa dell’immensa espansione dello spazio intervenuta nel corso di un tempo così lungo. Ogni corpo celeste sarà a quel punto disconnesso causalmente da tutti gli altri corpi, perché anche l’oggetto più vicino sarà così lontano da essere al di fuori dell’orizzonte dell’Universo osservabile.

A quell’epoca, anzi già da molto prima, le nane bianche non saranno più bianche, ma nere. Dopo aver dissipato nello spazio esterno, nel corso di miliardi di anni, tutto il calore interno ereditato dalla stella progenitrice, avranno infine raggiunto la stessa temperatura — qualche microkelvin al di sopra dello zero assoluto — degli sparsi fotoni della radiazione cosmica di fondo. Con dimensioni paragonabili a quelle della Terra, ma con masse talvolta superiori a quella del Sole [2], le nane nere saranno oggetti solidi, cristallizzati, invisibili ma densissimi: lo stadio evolutivo finale della grande maggioranza di tutte le stelle oggi esistenti.

Cosa accadrà in quell’Universo oscuro, composto da resti stellari separati da distanze siderali? Non lo sappiamo di preciso. La principale fonte di incertezza riguarda il destino dei protoni, le particelle subatomiche che, insieme ai neutroni, formano i nuclei di tutti gli atomi esistenti, compresi quelli delle nane nere. Se i protoni sono soggetti a decadimento, cosa della quale per ora non vi è traccia alcuna, allora anche le nane nere seguiranno il destino dei protoni. In un arco temporale che Adams e Laughlin stimano compreso tra 10³² e 10⁴⁹ anni, le nane nere si disgregheranno, per la dissoluzione dei nuclei dei loro atomi, seguita al decadimento dei protoni.

Se, invece, il protone è una particella stabile, non soggetta a decadimento, le nane nere dureranno imperturbate per tempi cosmici incredibilmente lunghi, rimanendo pressoché gli unici oggetti di un Universo buio in espansione, nel quale anche i buchi neri saranno ormai evaporati. Come dimostrò, infatti, Hawking in un celebre articolo del 1974, i buchi neri sono soggetti a una lenta, lentissima, ma costante perdita di massa, causata da quella che fu chiamata in seguito radiazione di Hawking. In un tempo stimato in circa 10¹⁰⁰ anni (1 seguito da 100 zeri, cioè un googol), anche i buchi neri supermassicci da centinaia di miliardi di masse solari saranno infine evaporati.

In un tempo pari a circa 10¹⁰⁰ anni, anche i buchi neri più massicci — quelli che oggi si trovano al centro di galassie ellittiche supergiganti — saranno evaporati [H.I.U.P]

Le nane nere e la fusione picnonucleare

Resta da vedere cosa accadrà alle nane nere, abitanti superstiti di un Universo avviato verso la morte termica. La loro evoluzione finale è l’oggetto di un articolo di Matt Caplan, assistente professore del Dipartimento di fisica della Illinois State University, pubblicato il 7 agosto 2020 su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Posto che il protone non decada, le nane nere potranno durare a tempo indeterminato. Ma non tutte. Un destino diverso — spiega Caplan — attende le più massicce, precisamente quelle con masse comprese tra 1,16 e 1,35 masse solari [3]. Il destino di queste nane nere sarà dettato, per quanto possa apparire strano, dalle reazioni di fusione nucleare che avverranno al loro interno. È un dato sorprendente, perché la fine delle reazioni termonucleari è appunto l’evento che trasforma una stella “viva” in una stella “morta”, cioè in un resto stellare, come sono buchi neri, stelle di neutroni e nane bianche (e poi nere). Ma le reazioni nucleari che scandiranno l’evoluzione di quelle nane nere sono di un tipo differente rispetto a quelle che avvengono all’interno del Sole e, in generale, in tutte le stelle che non sono ancora diventate resti stellari.

Mentre le reazioni nucleari che avvengono nel nucleo solare richiedono altissime temperature e producono grandi quantità di energia, questo diverso tipo di fusione, detta fusione picnonucleare [4], si verifica dove la materia è fredda e ultra-densa, come appunto nel nucleo delle nane nere. Le reazioni picnonucleari sono sensibili alla densità della materia, ma indifferenti alla sua temperatura. Avvengono tra ioni vicini, le cui funzioni d’onda, a causa dell’altissima densità, si trovano in uno stato di sovrapposizione.

A partire dal nucleo delle nane nere, dove la materia è più densa, la fusione picnonucleare trasformerà a poco a poco gli atomi degli elementi che compongono la materia stellare — ossigeno, neon e magnesio, nelle nane nere più massicce — in altri elementi via via più pesanti. Con lentezza esasperante, ma in modo inesorabile, la composizione interna delle nane nere cambierà, senza che nulla di visibile all’esterno tradisca la trasformazione in atto. Almeno fino a che non si arriverà alla fusione del silicio-28 (o di un altro nuclide analogo).

La fusione picnonucleare del silicio-28 produce nickel-56, che, attraverso l’emissione di positroni, decade in ferro-56. E qui le cose cambiano. Nel corso delle reazioni che portano alla creazione di ferro-56, due elettroni vengono annichilati. Pertanto, a mano a mano che più ferro viene creato, la nana nera si “deleptonizza”, perde cioè elettroni, indebolendo progressivamente la sua capacità di resistere alla pressione. Le nane bianche, e dunque anche le nane nere, resistono, infatti, all’enorme forza di compressione dovuta alla loro stessa gravità grazie alla pressione di degenerazione, diretta verso l’esterno, esercitata dagli elettroni presenti nei loro atomi: un fenomeno quantistico imposto dal principio di esclusione di Pauli.

Giganteschi apparati sperimentali come il giapponese Super-Kamiokande cercano di catturare le tracce, finora non rilevate, del decadimento dei protoni [University of Tokyo — Institute for Cosmic Ray Research]

Oltre il limite di Chandrasekhar

Tuttavia, la capacità degli elettroni di sopportare la compressione ha dei limiti. Se il nucleo di una stella collassante supera la soglia critica di 1,44 masse solari — il cosiddetto limite di Chandrasekhar— , la spinta centripeta della gravità diventa così forte da vincere la resistenza degli elettroni. In tal caso, invece di una nana bianca, si forma una stella di neutroni (o un buco nero, se il nucleo stellare collassante è sufficientemente massiccio).

Ma il limite di Chandrasekhar può essere superato anche dopo la formazione di una nana bianca. È ciò che accade, talvolta, in sistemi binari formati da una nana bianca e da una stella di sequenza principale o da una gigante rossa. La nana bianca acquista progressivamente massa, strappandola alla compagna binaria grazie alla propria superiore forza gravitazionale. Quando la massa acquistata nel corso di questo processo fa superare alla nana bianca il limite di 1,44 masse solari, essa esplode come una supernova di tipo Ia.

La cosa curiosa è che il limite di Chandrasekhar può essere superato anche senza acquistare massa, ma, anzi, perdendola. È ciò che accadrà alle nane nere, secondo quanto spiega Caplan nel suo articolo. Quando la fusione picnonucleare avrà prodotto una sufficiente quantità di ferro-56, la conseguente perdita di elettroni diminuirà la pressione di degenerazione al di sotto della soglia necessaria per resistere al collasso gravitazionale. La nana nera allora collasserà rapidissimamente, il che produrrà, di rimbalzo, un’esplosione di supernova. Ciò vuol dire che la creazione di ferro avrà abbassato il limite di Chandrasekhar, per le nane nere, al di sotto di 1,44 masse solari.

La quantità di massa che dovrà essere convertita in ferro affinché la stella esploda e, di conseguenza, il tempo necessario per giungere al limite critico che innesca l’esplosione, dipendono dalla massa della nana nera. Caplan prende in considerazione tre casi:

  1. nane nere con masse pari a 1,35 masse solari, le più massicce in assoluto;
  2. nane nere di massa intermedia, da 1,24 masse solari;
  3. nane nere da 1,16 masse solari, prossime al limite inferiore di massa che la stella deve possedere affinché la trasformazione della materia in ferro produca un’esplosione.
Rappresentazione artistica della fase iniziale dell’esplosione di una nana nera [NASA’s Goddard Space Flight Center / S. Wiessinger.]

Esplosioni ai confini dell’eternità

Nel caso delle nane nere da 1,35 masse solari, basterà la trasformazione in ferro di una piccola quantità di massa nel nucleo, dove la densità centrale è pari a 1,19 × 10⁹ g/cm³ (circa 1.200 tonnellate per centimetro cubico), per indurre l’esplosione. Il tempo necessario per giungere a questa soglia è di 10¹¹⁰⁰ anni, un numero di anni uguale a 1 seguito da 1100 zeri!

Nel caso di una nana nera da 1,24 masse solari, la cui densità centrale è nell’ordine dei 10⁸ g/cm³, il collasso gravitazionale, con la successiva esplosione di supernova, avverrà quando circa metà della massa sarà stata convertita in ferro. Il tempo necessario affinché ciò avvenga è pari approssimativamente a 10¹⁶⁰⁰ anni.

Vi sono poi le nane nere da 1,16 masse solari. Nel loro caso, la creazione di ferro attraverso fusione picnonucleare deve arrivare fino alla superficie stellare, dove la materia non è allo stato degenere e ha densità paragonabile a quelle terrestre, per raggiungere il livello critico che induce l’esplosione. Il tempo occorrente affinché ciò si verifichi è calcolato da Caplan in 10³²⁰⁰⁰ anni! Se non è esattamente l’eternità, è comunque qualcosa che gli somiglia molto.

Il grafico mostra il rapporto tra massa e raggio nelle nane nere che possono esplodere come supernovae dopo la trasformazione in ferro-56 di una quantità sufficiente della loro massa. I raggi, sull’asse delle ascisse, sono espressi in frazioni del raggio terrestre; le masse, sull’asse delle ordinate, sono espressi in masse solari. La curva rossa indica il caso delle nane nere da 1,16 masse solari, al limite inferiore dell’intervallo di masse soggetto all’esplosione di supernova. Esse devono essere interamente trasformate in ferro-56 per indurre il collasso gravitazionale e la successiva esplosione. Nelle nane nere più massicce, basta la conversione in ferro di una frazione di massa minore. I quadratini sulla curva rossa indicano livelli differenti di densità a seconda della distanza dal centro della stella. Le densità sono espresse in unità di 10⁶ g/cm³ [M E Caplan, “Black Dwarf Supernova in the Far Future”]

Il quadro che emerge da questa descrizione del futuro dell’Universo è piuttosto desolante. Tutti gli eventi interessanti — formazione di stelle e galassie, fusioni galattiche, esplosioni di supernova, formazione di pianeti, nascita ed evoluzione della vita (almeno qui sulla Terra) — avvengono tutti in un tempo iniziale estremamente breve, se paragonato all’oscura, quasi eterna fase successiva. Entro 10²⁰ anni dal Big Bang, l’Universo sarà popolato ormai solo da resti stellari, così lontani gli uni dagli altri da rendere impossibile qualsiasi collegamento causale. Entro 10¹⁰⁰ anni saranno evaporati anche i buchi neri più massicci. Dopo di che, bisognerà attendere un tempo quasi infinito perché, improvvisamente, nel buio del proprio angolo di Universo, le nane nere più massicce comincino ad esplodere, dopo che la fusione picnonuclare avrà trasformato in ferro una parte sufficiente dei loro nuclei. Ci vorranno poi ben 10³²⁰⁰⁰ anni prima che anche le ultime nane nere esplodano. Saranno quelli gli ultimi eventi degni di nota, prima della morte termica definitiva.

Se tali previsioni sono corrette, viviamo in un Universo in cui, per la stragrande maggioranza del tempo, cioè dopo che ogni stella si sarà trasformata in un resto stellare, non succederà praticamente nulla. Dobbiamo sperare nel decadimento del protone o in un destino diverso dalla morte termica, per avere un finale meno lungo e monotono.

Note

[1] Gli effetti della segregazione di massa determinata dalle interazioni gravitazionali tra più corpi di masse differenti sono già visibili nell’Universo locale. Sono visibili, per esempio, in alcuni ammassi globulari, nei quali è avvenuto il cosiddetto collasso del nucleo, cioè una netta contrazione della parte centrale dell’ammasso, causata dal progressivo “affondamento” delle stelle più massicce verso il centro. In alcune galassie ellittiche particolarmente massicce è visibile invece lo spopolamento del nucleo galattico, causato dall’espulsione di miliardi di stelle in seguito alle violente forze gravitazionali generate da sistemi binari di buchi neri supermassicci.

[2] La massa del Sole è circa 333.000 volte maggiore della massa terrestre.

[3] 1,16 masse solari equivalgono a circa 386.000 masse terrestri, mentre 1,35 masse solari a circa 449.000 masse terrestri. Le nane nere in questo intervallo di masse saranno il risultato finale dell’evoluzione di stelle che, all’epoca dell’approdo sulla sequenza principale, avevano masse comprese approssimativamente tra 6,5 e 7,7 masse solari. Secondo i dati riportati da Caplan, delle 10²³ stelle di cui si stima sia popolato l’Universo osservabile, circa un centesimo, cioè un numero nell’ordine delle 10²¹ stelle, appartengono all’intervallo di masse utile per produrre, in un lontano futuro, nane nere con masse comprese tra 1,16 e 1,35 masse solari.

[4] Il prefisso picno- deriva dal greco antico πυκνός (puknós), che vuol dire “denso, compatto, spesso”.

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.