Rappresentazione grafica della storia evolutiva dell’universo, con l’indicazione delle regioni temporali influenzate dalle tre diverse curve di attenuazione dei raggi gamma emessi dai blazar, calcolate in uno studio pubblicato nel 2012 su Science [NASA / Goddard Space Flight Center]

La nebbia delle stelle e il grande vuoto

Tutte le stelle che sono esistite dall’inizio dell’Universo a oggi hanno contribuito a formare una lievissima “nebbia” luminosa che pervade lo spazio in ogni direzione: la EBL. Studiando questa radiazione “fossile”, un gruppo di scienziati usò nel 2012 il conteggio dei raggi gamma provenienti da 150 blazar per calcolare la densità stellare media dell’Universo. Venne fuori un numero incredibilmente basso: appena 1,4 stelle per 100 miliardi cubici di anni luce

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
5 min readMay 18, 2019

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L’universo è permeato da un fondo luminoso diffuso chiamato EBL, dall’inglese extragalactic background light. Questa radiazione, che copre un’estensione dello spettro elettromagnetico che va dall’infrarosso all’ultravioletto, è un fossile cosmico, costituito dalla somma della radiazione emessa da tutte le stelle e i nuclei galattici attivi che hanno brillato dalla notte dei tempi in poi. È difficile osservarla direttamente, perché il suo debole bagliore annega nella luce soverchiante di fonti galattiche vicine, prima di tutte la luce zodiacale, una luminescenza del cielo notturno prodotta dalla diffusione della luce del Sole da parte delle polveri disperse nel sistema solare.

L’EBL è come una debolissima nebbia. Misurarne l’intensità e le variazioni è però di fondamentale importanza per comprendere la storia evolutiva dell’Universo, in particolare per quanto riguarda il ritmo di formazione stellare e la densità con cui le stelle erano e sono distribuite nell’immensità dello spazio. Una risposta al problema della misurazione dell’EBL fu fornita da uno studio pubblicato il 1° novembre 2012 su Science, firmato da molti autori, tra i quali numerosi scienziati italiani.

I ricercatori usarono un metodo indiretto per misurare l’intensità dell’EBL. Costruirono in primo luogo un modello di come i raggi gamma emessi da 150 blazar posti a differenti distanze dalla Terra venivano filtrati, a seconda della loro energia, dalla “nebbia” del fondo luminoso extragalattico. Confrontarono poi la quantità e l’energia dei raggi gamma effettivamente registrati dal telescopio spaziale Fermi con la distanza di ciascun blazar, calcolata per mezzo del redshift (lo spostamento verso il rosso della luce emessa), in modo da poter estrapolare infine la densità media della “nebbia” luminosa formata dall’EBL.

Mappa del cielo alle alte energie, costruita utilizzando i primi quattro anni di osservazioni del telescopio spaziale Fermi. I punti verdi indicano le posizioni dei 150 blazar usati nella ricerca sul fondo luminoso extragalattico pubblicata su Science [NASA / DOE / Fermi LAT Collaboration]

Ma procediamo con ordine. Quando nel nucleo di una galassia è presente un buco nero supermassiccio attivo, impegnato cioè a fagocitare ad alta velocità grandi quantità di materia (stelle, pianeti, gas interstellare), dal disco di accrescimento che circonda il buco nero si sviluppano due getti potentissimi di plasma lanciati in direzioni opposte, quasi alla velocità della luce. Quando uno dei getti è orientato precisamente verso la Terra, ci appare come una sorgente puntiforme estremamente luminosa: un blazar. Ma i blazar sono anche potenti sorgenti di raggi gamma e i rilevatori del Fermi ne identificarono oltre mille tra il 2008 e il 2012, cioè nei primi quattro anni dal lancio del satellite. Di tutti quei blazar, i ricercatori ne selezionarono 150 appartenenti al tipo BL Lacertae, con emissioni di raggi gamma oltre i 3 GeV, cioè con energie oltre un miliardo di volte maggiori di quelle trasportate dai fotoni della luce visibile.

Rappresentazione artistica del getto emesso da un nucleo galattico attivo. Cortesia: NASA / Goddard Space Flight Center Conceptual Image Lab

Un fotone gamma emesso da un blazar nella nostra direzione ha viaggiato per miliardi di anni prima di finire intercettato dai rilevatori del Large Area Telescope (LAT) del Fermi. Ma non tutti i raggi gamma sparati da un blazar verso la Terra riescono ad arrivare fino a noi. Una percentuale di essi, variabile in ragione della distanza e dell’energia trasportata, scompare durante il viaggio lasciando il posto a una coppia di particelle: un elettrone e la sua controparte di antimateria, un positrone. La trasformazione avviene quando un fotone gamma si scontra con un fotone di luce stellare ultravioletta o visibile, appartenente al fondo luminoso extragalattico.

Rappresentazione grafica dell’interazione tra raggi gamma e fotoni del fondo extragalattico luminoso: quando avviene uno scontro, il fotone gamma scompare e al suo posto compaiono un elettrone e un positrone [NASA / Goddard Space Flight Center]

Il risultato di queste annichilazioni casuali di fotoni gamma dovute all’EBL è che ai rilevatori del telescopio spaziale Fermi giungono più raggi gamma dai blazar più vicini e meno raggi gamma da quelli più lontani, con una diminuzione tanto più netta quanto maggiore è l’energia trasportata, soprattutto oltre i 25 GeV. L’analisi dello spettro di energie dei raggi gamma provenienti da blazar vicini e lontani permise così ai ricercatori di modellare delle curve di attenuazione dei raggi gamma, legate alla distanza nello spazio (e nel tempo) dei blazar emittenti. In base alle tre diverse curve ottenute, calcolarono poi la densità media della “nebbia” di luce stellare diffusa, attraverso la quale i raggi gamma dei blazar — simili a fari che “bucano” con difficoltà una notte nebbiosa — avevano dovuto farsi strada fino a noi.

I raggi gamma emessi dal getto di un blazar si diffondono nello spazio passando attraverso la nebbia diffusa del fondo luminoso extragalattico, formato dalla radiazione fossile di tutte le stelle che hanno brillato dalla nascita dell’Universo in poi. La luce di un faro che emerge ovattata dalla nebbia è la migliore analogia per raffigurarsi questo processo [Akinom / Wikimedia Commons / CC-BY-SA-3.0]

I risultati della ricerca diedero indicazioni importanti sulla storia evolutiva dell’Universo. Le prime stelle, estremamente massicce e brillanti, prive di metalli, si formarono intorno a 400 milioni di anni dopo il Big Bang, forse un po’ più lentamente di quanto era stato prima ipotizzato. Il picco di formazione stellare sembra, invece, che abbia avuto luogo tre miliardi di anni dopo il Big Bang. Da quel momento in poi il ritmo di formazione stellare è andato sempre declinando.

Infine, la misurazione dello spessore della “nebbia luminosa” formata dall’EBL fornì una cifra per la densità stellare media nell’Universo: appena 1,4 stelle per 100 miliardi cubi di anni luce. Una simile densità equivale a una distanza media tra una stella e l’altra di 4.150 anni luce. Ovviamente, al’interno delle galassie la distanza tra le stelle è di gran lunga minore: il sistema triplo di Alfa Centauri, per esempio, dista dal Sole circa mille volte di meno. In alcuni ammassi globulari e nei nuclei galattici le stelle sono poi così addossate le une alle altre da superare le migliaia per parsec cubico. Ma le galassie sono come isole sperdute, disseminate in uno spazio immensamente grande e, soprattutto, immensamente vuoto.

La misurazione della densità dell’EBL ha permesso di calcolare il numero medio di stelle presenti in un volume di spazio pari a 100 miliardi cubi di anni luce [NASA / Goddard Space Flight Center]

Per capire meglio quanto sia grande questo vuoto, può essere utile trasformare in chilometri, un’unità di misura per noi umani più familiare, la distanza media tra le stelle fornita sopra in anni luce. Ebbene, 4.150 anni luce corrispondono a quasi 40 milioni di miliardi di chilometri (3,926×10¹⁶ km, espresso nella più compatta notazione scientifica)! L’enormità di una simile distanza diventa ancora più sconcertante, se si riflette sull’incalcolabile numero di stelle che sono esistite dagli albori dell’Universo ad oggi. Centinaia di miliardi di stelle in una sola galassia, miliardi di galassie nell’intero Universo, e poi intere generazioni di stelle esistite e morte in ciascuna galassia, ognuna delle quali ha lasciato una traccia nella radiazione fossile dell’EBL. Eppure, questo numero di stelle indescrivibilmente grande è assolutamente insufficiente a riempire l’universo: solo 1,4 stelle per 100 miliardi cubi di anni luce. Praticamente il vuoto quasi assoluto.

Un’animazione che segue il viaggio dei raggi gamma, dalla loro emissione nel getto di un blazar fino all’incontro con i rilevatori del telescopio spaziale Fermi [NASA’s Goddard Space Flight Center / Cruz deWilde]

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.