Rappresentazione artistica della diffusione della radiazione emessa dalla magnetar SGR 1806–20, in seguito a una violentissima esplosione avvenuta intorno a 50.000 anni fa presso la sua superficie, probabilmente a causa della rottura e successiva riconnessione delle linee del campo magnetico. Gli effetti dell’esplosione raggiunsero la Terra sotto forma di una pioggia di raggi gamma e raggi X il 27 dicembre 2004 [immagine: NASA]

La pasta nucleare delle stelle di neutroni

Attraverso una simulazione digitale che ha richiesto un tempo di elaborazione di due milioni di ore, un gruppo di ricercatori ha esplorato le caratteristiche elastiche del materiale più resistente dell’universo: la pasta nucleare che forma la base della crosta esterna di una stella di neutroni

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
10 min readSep 21, 2018

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Il 27 dicembre 2004 la Terra fu investita da una pioggia di raggi gamma e raggi X ad alta energia provenienti da SGR 1806–20, una magnetar, cioè una stella di neutroni fortemente magnetizzata, lontana qualcosa come 50.000 anni luce, situata nella costellazione del Sagittario, al di là del centro galattico. L’esplosione avvenuta alla superficie di SGR 1806–20, responsabile del picco di emissione osservato quel 27 dicembre da diversi satelliti in orbita intorno alla Terra, rilasciò un’energia totale di 2×10³⁹ joule (considerando l’esplosione come isotropica, cioè uguale in tutte le direzioni). Vuol dire che quella lontanissima stella di neutroni emise in pochi attimi una quantità di energia corrispondente a quella che il Sole irradia in oltre 150.000 anni!

Se invece di essere lontana 50.000 anni luce, SGR 1806–20 si fosse trovata a soli 10 anni luce di distanza da noi, cioè un po’ più lontana di Sirio, l’evento del 27 dicembre 2004 avrebbe distrutto lo strato di ozono atmosferico che protegge la Terra, con un effetto esplosivo simile a quello di una bomba nucleare da 12 kilotoni detonata a 7,5 km di altezza. Se fosse avvenuta a una distanza ancora minore dalla Terra, avrebbe potuto causare un’estinzione di massa sul nostro pianeta.

È probabile che il brillamento di SGR 1806–20 osservato nel 2004 sia stata la più potente esplosione avvenuta nella Via Lattea, dopo la supernova del 1604 vista da Keplero. Ma quale fenomeno fisico fu responsabile dell’emissione di una tale quantità di energia? In primo luogo, va detto che SGR 1806–20 è l’oggetto con il campo magnetico più potente che si conosca: la sua intensità, ricavata dal rallentamento che induce sulla velocità di rotazione della magnetar, è pari approssimativamente a 1,6×10¹⁵ gauss: è cioè milioni di miliardi di volte più potente del campo magnetico terrestre (una stella di neutroni che non sia anche una magnetar ha un campo magnetico “solo” mille miliardi di volte maggiore di quello della Terra).

La configurazione delle linee di questo campo magnetico superpotente risente dei fenomeni che interessano la superficie della stella di neutroni. In seguito al collasso di una “montagna” alta qualche centimetro o in seguito all’aprirsi di una frattura sulla crosta della magnetar, le linee del campo magnetico possono spezzarsi, per poi subito dopo riconnettersi, liberando nel corso dell’evento una smisurata quantità di energia.

Rappresentazione artistica della magnetar SGR 1806–20. Sono visibili nell’illustrazione le linee del potentissimo campo magnetico e le fratture della crosta che probabilmente furono all’origine dell’improvvisa esplosione, osservata dalla Terra il 27 dicembre 2004 [immagine: NASA]

La tempesta di raggi X e raggi gamma che raggiunse la Terra quel 27 dicembre 2004 ebbe origine probabilmente da un riassestamento improvviso della crosta di SGR 1806–20, cioè da uno “star-quake” — un terremoto stellare — accaduto intorno a 50.000 anni fa (il tempo necessario affinché le radiazioni emesse durante il flare potessero coprire i 50.000 anni luce che ci separano, fortunatamente, da quel pericoloso oggetto).

La potenza distruttiva di una magnetar deriva, dunque, in parte dalla forza del suo spaventoso campo magnetico, in parte è conseguenza degli eventi che si verificano alla sua superficie. Per capire meglio l’origine di fenomeni come il potentissimo brillamento del 2004, occorre perciò approfondire la conoscenza strutturale di quegli oggetti estremi che sono le stelle di neutroni (tutte le magnetar sono stelle di neutroni),

Purtroppo si tratta di corpi celesti che non si trovano esattamente a portata di mano: la più vicina stella di neutroni dista come minimo alcune centinaia di anni luce. Lo studio delle loro proprietà è perciò molto complicato. Sappiamo che sono stelle morte, cioè i residui super-densi di stelle molto più massicce del Sole, che, una volta esaurito il combustibile nucleare, sono esplose come supernovae, disperdendo nello spazio i loro strati esterni. La stella di neutroni è l’oggetto che sopravvive all’esplosione di supernova, ovvero ciò che rimane del nucleo collassato della stella progenitrice.

In quanto residui stellari, questi corpi celesti non sono alimentati dalla fusione nucleare. Si limitano a irradiare il calore accumulato al loro interno, un processo lentissimo, perché la superficie radiante è minuscola: il raggio medio di una stella di neutroni è infatti di appena 10–12 km. La cosa straordinaria è che fino a oltre due masse solari possono essere racchiuse nel volume di una sfera di raggio così piccolo (1 massa solare = 1,99×10³⁰ kg).

Una simile, enorme concentrazione di massa sottopone la materia in una stella di neutroni a forze di compressione incomparabilmente maggiori di quelle che agiscono sulla Terra e persino all’interno del Sole. La gravità schiaccia la materia di cui sono composti questi corpi con potenza tale da spezzare non solo i gusci elettronici degli atomi, ma gli stessi nuclei atomici. L’interno di una stella di neutroni è composto, pertanto, da una specie di “zuppa” di particelle, dominata appunto dai neutroni, i quali sono creati in gran numero attraverso la cattura di elettroni liberi da parte dei protoni (un fenomeno che si verifica alle altissime temperature — dell’ordine dei miliardi di gradi kelvin — che si generano durante il collasso del nucleo della stella progenitrice, nel corso degli eventi che producono l’esplosione di supernova).

La composizione e la distribuzione della materia in una stella di neutroni non possono essere conosciute in modo diretto. Esistono però numerosi modelli strutturali, creati per mezzo di simulazioni digitali che — sfruttando la straordinaria potenza di calcolo dei moderni supercomputer — elaborano le interazioni fisiche che plausibilmente accadono in una stella di neutroni, nel rispetto dei vincoli definiti dai dati osservativi di cui siamo in possesso.

I modelli strutturali ci dicono che una stella di neutroni ha una densità variabile, che aumenta progressivamente dalla superficie verso l’interno, raggiungendo al centro valori incredibili, che possono superare i 5×10¹⁷ kg/m³: significa che un solo metro cubo di materia nel nucleo di una stella di neutroni può avere una massa superiore a cinquecento milioni di miliardi di chilogrammi (circa un decimo della massa dell’intera atmosfera terrestre).

Ci sono varie incertezze, dal punto di vista teorico, sullo stato della materia nel cuore di una stella di neutroni: non si sa, per esempio, se protoni e neutroni conservino la loro individualità, oppure se vengano ridotti ai loro componenti fisici fondamentali (i quark). Quel che è certo è che la densità è tale da annullare quasi ogni spazio tra le particelle, rendendo l’interno di una stella di neutroni più o meno l’equivalente di un gigantesco nucleo atomico, composto da un elevatissimo numero di nucleoni.

Qualcosa di più preciso si conosce, forse, delle condizioni della materia nella crosta, comprendente il chilometro più esterno di una stella di neutroni. Nella crosta lo stato di compressione della materia è meno estremo che nei livelli più interni, anche se la densità cresce progressivamente dal quasi-vuoto della superficie fino ai 10¹⁷ kg/m³ della base.

La crosta, suddivisa in una regione esterna e in una interna, parte dalla superficie di una stella di neutroni e si sviluppa per un chilometro verso l’interno [immagine: Nature]

La crosta è suddivisa essenzialmente in due regioni. Nella regione più esterna, la materia forma un reticolo cristallino di nuclei atomici a simmetria cubica, del tipo che si definisce corpo-centrato: ogni cella cubica è formata cioè da un nucleo atomico centrale più altri otto nuclei nei vertici del cubo. Si tratta di materia ionizzata: i nuclei atomici sono separati dagli elettroni. L’intero reticolo cristallino è immerso in un gas di elettroni degenerati, cioè elettroni che resistono alla spinta centripeta della gravità grazie alla cosiddetta pressione di degenerazione, diretta verso l’esterno: è un fenomeno quantistico determinato dal principio di esclusione di Pauli (due elettroni vicini non possono occupare il medesimo stato quantico).

La struttura a simmetria cubica detta a corpo-centrato del reticolo cristallino formato dai nuclei atomici nella regione più esterna della crosta di una stella di neutroni [immagine: Wikimedia]

Il reticolo cristallino della crosta diventa via via più ricco di neutroni a mano a mano che cresce la profondità e aumenta, parallelamente, la densità. Quando quest’ultima raggiunge un livello tale per cui la separazione tra i nuclei atomici è paragonabile al raggio di un nucleo atomico, le particelle che compongono i nuclei — cioè i nucleoni (protoni e neutroni) — si riorganizzano in una struttura cristallina differente, che costituisce la regione più interna della crosta di una stella di neutroni.

Questa regione più interna ha uno spessore compreso tra 100 e 250 metri, ma, per via della sua maggiore densità, contiene la metà circa, o anche più, della massa totale della crosta. Dal punto di vista strutturale, non è un reticolo cristallino solido, come la crosta esterna, ma liquido, e si comporta appunto come un fluido: è dotata di straordinaria resistenza, derivante da una sorprendente elasticità, che le consente di riadattare la propria forma sotto l’azione di forze deformanti che agiscono sia longitudinalmente sia di taglio.

La materia in questa regione più interna della crosta è definita negli studi specialistici pasta nucleare: i nucleoni che formano il reticolo cristallino si dispongono infatti a strati sovrapposti, che somigliano a fogli di pasta: lasagna, gnocchi, spaghetti (o anche waffles). Ogni strato è formato da un miscuglio di protoni e neutroni, con netta prevalenza di questi ultimi. Il modo in cui i nucleoni si dispongono all’interno della pasta nucleare è influenzato dall’azione a corto raggio dell’interazione nucleare forte e da quella a lungo raggio della forza elettromagnetica (sotto spinte compressive, la repulsione di Coulomb tende ad allontanare tra loro i protoni, dotati di carica elettrica positiva).

Esempi di strutture possibili per la pasta nucleare che forma la regione più interna della crosta di una stella di neutroni [immagine: Matthew Caplan et al. / McGill University]

Uno studio accettato per la pubblicazione su Physical review Letters, con Matthew Caplan della McGill University come primo autore, descrive i risultati della più estesa e completa simulazione finora realizzata sulla resistenza e l’elasticità della pasta nucleare che forma la base della crosta di una stella di neutroni.

Lo studio, che può essere letto in pre-stampa su arXiv, si basa sull’enorme mole di dati accumulata in simulazioni digitali che hanno richiesto qualcosa come due milioni di ore di tempo di processore: l’equivalente di 250 anni di elaborazione, se tutto il lavoro fosse stato svolto da un unico computer portatile dotato di una buona scheda grafica.

Le simulazioni eseguite da Caplan e colleghi hanno ricreato, usando insiemi via via più numerosi di nucleoni, le condizioni fisiche che si pensa esistano all’interno degli strati di pasta nucleare. Hanno poi sottoposto la pasta simulata all’azione di forze sempre più potenti, agenti sia longitudinalmente (forze compressive, come la gravità), sia lateralmente, di taglio. L’applicazione di queste forze serviva a riprodurre in modo realistico le tensioni a cui è sottoposta la materia nella crosta di una stella di neutroni.

Lo scopo della simulazione era scoprire i limiti di resistenza della pasta nucleare: verificare cioè la sua capacità di deformarsi senza rompersi e scoprire qual è la soglia oltre la quale la rottura diventa inevitabile. Si tratta di informazioni preziose per la ricerca in astrofisica, perché conoscere il comportamento complessivo della crosta di una stella di neutroni è il punto di partenza per comprendere meglio le cause e, possibilmente, prevedere la frequenza e l’intensità di eventi catastrofici come il flare della magnetar SGR 1806–20, osservato alla fine del 2004.

Nella più lunga e complessa delle simulazioni descritte da Caplan e colleghi nello studio in corso di pubblicazione, una pasta nucleare formata da 3.276.800 nucleoni (con una percentuale di protoni del 30%) è stata fatta evolvere per oltre 15.250.000 passaggi. I parametri impostati hanno prodotto “fogli” esagonali di nucleoni che richiamano la forma di waffles.

La simulazione che ha prodotto la struttura a “waffles” ha formato una pasta nucleare composta da sette distinti domini, rappresentati nell’animazione con colori differenti. Sottoposti a tensione, i domini si sono semplicemente riorganizzati, senza mai rompersi. L’animazione mostra la progressiva deformazione a cui la pasta è stata sottoposta dalla tensione applicata lungo l’asse delle x [M.E. Capaln et al., “The Elasticity of Nuclear Pasta” — Supplemental Materials]

Il risultato di questa simulazione è stato che la pasta nucleare si è rivelata praticamente indistruttibile rispetto alle forze che possono plausibilmente agire sulla crosta di una stella di neutroni. Il segreto della sua resistenza è nell’altissima densità e nella struttura policristallina: i reticoli cristallini formano cioè diversi domini adiacenti, dotati di orientamenti differenti. Le forze che agiscono sulla pasta nucleare sia longitudinalmente sia di taglio, per quanto siano intense, non fanno che produrre una riorganizzazione della pasta, con i domini che fluiscono gli uni sugli altri senza incontrare grandi resistenze, scambiandosi all’occorrenza nucleoni fino a raggiungere un nuovo equilibrio:

Quando sono sottoposti a tensione, i domini si muovono gli uni rispetto agli altri e scorrono offrendo solo una limitata resistenza. Ai bordi i nucleoni fluiscono liberamente tra domini adiacenti, riorganizzando la materia nucleare e permettendo ai domini di ridursi o di espandersi in risposta allo stress applicato. Ciò evita che si accumulino tensioni così forti da produrre rotture catastrofiche. Poiché è prevedibile che la pasta nucleare nella crosta delle stelle di neutroni formi domini, è possibile che la regione interna della crosta sia in grado di resistere senza rompersi a qualsiasi realistica tensione di origine astrofisica [M. Caplan et al., “The Elasticity of Nuclear Pasta”].

Questa incredibile elasticità fa della pasta nucleare il materiale forse più resistente che esista nell’universo:

La pasta nucleare idealizzata del nostro modello è forte, con un modulo di taglio che può raggiungere valori dell’ordine di 10³¹ erg/cm³. È una forza paragonabile a quella della crosta esterna, ma estrapolata alle alte densità del confine tra la crosta e il nucleo. È possibile che ciò faccia della pasta nucleare il materiale più resistente nell’universo conosciuto [M. Caplan et al., “The Elasticity of Nuclear Pasta”].

Al termine delle simulazioni, emerge chiaramente che la pasta nucleare che forma la base della crosta di una stella di neutroni è più resistente della crosta ionica esterna, la quale raggiunge il punto di rottura molto prima. Ciò ha una importante conseguenza per la ricerca di onde gravitazionali. La deformabilità e la resistenza della pasta nucleare consentono, infatti, che possano formarsi nella crosta di una stella di neutroni delle “montagne”, sostenute dalla pasta.

L’eventuale presenza di una “montagna” nella crosta rappresenterebbe una disomogeneità nella distribuzione della massa all’interno della stella di neutroni: la condizione indispensabile affinché si produca un’emissione continua di onde gravitazionali in un corpo celeste singolo in rotazione. Ora spetta agli osservatori LIGO e Virgo, o a qualche futuro osservatorio ancora più potente, trovare una conferma osservativa di questa possibilità: una sorgente continua di onde gravitazionali, associata al periodo di rotazione di una stella di neutroni isolata.

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.