Rappresentazione artistica di due lampi di raggi gamma (o GRB), uno di durata standard e uno ultra-lungo. Quello di durata standard è rappresentato dalla stella blu sullo sfondo: una stella di Wolf-Rayet di dimensioni paragonabili a quelle del Sole, ma dotata di una massa almeno dieci volte maggiore. La stella in primo piano è invece una supergigante, il cui collasso gravitazionale può produrre un’emissione di raggi gamma di diverse ore, come quella dell’evento GRB 111209A [Mark A. Garlick]

Lampi di raggi gamma e stelle collassanti

I lampi di raggi gamma, o GRB, sono tra i fenomeni più energetici dell’Universo: prodotti dalla fusione di stelle di neutroni, dal collasso gravitazionale di stelle di grande massa o dalla distruzione mareale di una stella da parte di un buco nero, liberano in breve tempo un’energia fino a 20 ordini di grandezza maggiore di quella irradiata in un secondo dal Sole

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
11 min readDec 21, 2018

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La luce visibile è solo una piccola porzione dello spettro elettromagnetico e contiene fotoni non particolarmente energetici, con energie comprese tra 1,6 e 3,4 elettronvolt. A mano a mano che la lunghezza d’onda dei fotoni diminuisce, l’energia trasportata aumenta. I raggi gamma si situano al limite superiore di questa scala, con lunghezze d’onda nell’ordine dei picometri — meno del diametro di un atomo — ed energie che possono superare le centinaia di gigaelettronvolt (GeV), cioè molti miliardi di volte maggiori di quella trasportata dalla luce visibile.

Il brillamento di una magnetar

Non sorprende, dunque, che i raggi gamma siano i messaggeri di alcuni degli eventi più energetici che accadono nel cosmo: superbrillamenti di magnetar (stelle di neutroni dotate di campi magnetici straordinariamente intensi), fusioni tra stelle di neutroni, fusioni tra stelle di neutroni e buchi neri, supernovae, ipernovae.

Trovarsi sulla traiettoria di un fascio di raggi gamma emesso nel corso di uno di questi eventi può essere estremamente pericoloso. L’effetto dipende ovviamente dalla distanza della sorgente, dalla potenza e dalla durata dell’emissione.

Il 27 dicembre 2004, un brillamento della magnetar SGR 1806–20 investì la Terra con un flusso di raggi gamma così potente da influenzare sensibilmente la ionosfera terrestre e accecare i sensori di tutti i satelliti artificiali in grado di registrare simili radiazioni. Fortunatamente, la sorgente si trovava a qualcosa come 50.000 anni luce dalla Terra. Fosse stata a pochi anni luce di distanza, il brillamento avrebbe distrutto lo strato di ozono che protegge la nostra atmosfera, con conseguenze potenzialmente catastrofiche. È stato calcolato che in un decimo di secondo la magnetar rilasciò più energia di quella prodotta dal Sole in centomila anni (1,3×10⁴⁶ erg). E fu tutto sommato un evento modesto, rispetto alla potenza di quei flash di raggi gamma, provenienti di solito da galassie lontane o lontanissime, che sono classificati come gamma-ray burst o, più brevemente, GRB.

I GRB sono suddivisi dagli astronomi in due categorie principali: GRB brevi, con durata fino a due secondi, e GRB lunghi, con durata dai due secondi in su.

GRB brevi

Dell’origine dei GRB brevi, che costituiscono il 30% circa del totale dei GRB osservati, si sa pochissimo. È certo che devono trarre origine da oggetti estremamente compatti, perché la loro durata media, pari a 0,2 secondi, implica che l’estensione dell’oggetto emittente debba essere coerente con tale durata (0,2 secondi-luce corrispondono a poco meno del 5% del diametro del Sole, cioè 60.000 km). I principali candidati progenitori sono dunque sistemi binari composti da due stelle di neutroni o da una stella di neutroni e da un buco nero, cioè oggetti che racchiudono diverse masse solari nello spazio di poche decine di chilometri.

Quando due stelle di neutroni collidono, dopo aver spiraleggiato l’una verso l’altra a causa della perdita di momento causata dal rilascio di onde gravitazionali, si fondono formando (presumibilmente) un buco nero, circondato da un disco di materia in rapidissima rotazione. Tutto avviene nel giro di pochi istanti. In seguito alla fusione, un’enorme quantità di energia viene rilasciata sotto forma di getti collimati di raggi gamma, sparati perpendicolarmente rispetto al piano di rotazione del disco di accrescimento, grazie alla spinta di potentissimi campi magnetici. Gli astrofisici calcolano che in meno di un secondo questo rapidissimo processo produca la stessa quantità di energia emessa dal Sole nel corso di dieci miliardi di anni o da un’intera galassia nel corso di un anno.

Una simulazione al computer della fusione di due stelle di neutroni, con la generazione di un buco nero e di due getti collimati di raggi gamma [NASA/GSFC]

I GRB che durano più di due secondi sono catalogati in tre classi:

  1. lunghi, con durata da 2 a 1.000 secondi (16,6 minuti);
  2. super-lunghi, con durata da 1.000 a 10.000 secondi (2,8 ore);
  3. ultra-lunghi, con durata di oltre 10.000 secondi.

GRB lunghi

La maggior parte dei GRB lunghi si esaurisce in un tempo compreso tra i 20 e i 50 secondi, compatibile con la formazione di un buco nero di massa stellare attraverso il collasso gravitazionale di una stella di Wolf-Rayet.

Le stelle di Wolf-Rayet, così chiamate dal nome degli astronomi francesi Charles Wolf e Georges Rayet, sono stelle massicce, caldissime e molto luminose, giunte a uno stadio evolutivo in cui hanno già disperso nello spazio circostante gran parte della loro massa, attraverso l’espulsione degli strati esterni composti principalmente da idrogeno, spinti via dalla poderosa pressione di radiazione proveniente dall’interno e da impetuosi venti stellari.

Secondo il modello teorico della collapsar (da collapsed star, stella collassata), quando una stella massiccia giunge allo stadio evolutivo in cui la fusione nucleare produce ferro, l’energia generata diventa minore di quella necessaria per sostenere il meccanismo della fusione. Ciò innesca un inesorabile e rapidissimo collasso gravitazionale del nucleo, che sprofonda su se stesso producendo un buco nero. La materia stellare che si trova al di fuori del nucleo precipita così verso il buco nero, circondandolo con un denso disco di accrescimento in rotazione più o meno veloce.

Se la rotazione del disco è sufficientemente rapida, sotto l’azione di forti campi magnetici parte dell’energia cinetica della materia in caduta viene trasformata in getti collimati di particelle ionizzate, diretti verso i poli della stella collassante, cioè là dove è minore la densità del gas che forma il disco di accrescimento. Questi getti si fanno strada verso lo spazio esterno, dove erompono a velocità relativistiche (prossime cioè alla velocità della luce), generando raggi gamma nell’impatto con la materia che attraversano.

Se la Terra si trova allineata con la direzione di uno dei getti, strumenti come il satellite Swift della NASA registrano un GRB lungo, la cui durata è strettamente collegata alla grandezza della stella collassante, cioè alla quantità di materia in caduta che può alimentare i getti. Poiché una stella di Wolf-Rayet che collassa ha già espulso gran parte dei suoi strati esterni, un GRB da essa prodotto dura in media pochi secondi.

La stella di Wolf-Rayet WR124, circondata dalla nebulosa M1–67, che essa stessa ha formato nel corso degli ultimi 20.000 anni, espellendo enormi masse di gas sotto l’azione del suo tumultuoso vento stellare [Hubble Legacy Archive, NASA, ESA — Judy Schmidt]

Stelle che al momento del collasso gravitazionale hanno nuclei con masse superiori a circa 15 masse solari, collassano verso il buco nero formato nel nucleo senza produrre un’esplosione di supernova. L’immensa gravità del buco nero attrae, infatti, irresistibilmente la materia stellare circostante, soverchiando la forza esplosiva che avrebbe altrimenti disgregato la stella e disperso i suoi strati esterni nello spazio.

Se la massa della stella collassante è compresa, invece, tra 5 e 15 masse solari (con variazioni dipendenti dalla composizione chimica), è possibile che vi sia un’esplosione di supernova, che segue il GRB osservato nei raggi gamma. La dispersione della materia verso l’esterno è comunque contrastata dalla forza attrattiva del buco nero. Gli astronomi usano talvolta il termine ipernova, per riferirsi a una supernova associata al collasso gravitazionale di una stella. Queste supernovae appartengono di preferenza alle classi Ib o Ic.

L’energia rilasciata da un’ipernova è maggiore, nel complesso, di quella di una tipica supernova, anche se viene dispersa in modo differente, cioè principalmente attraverso l’espulsione di getti relativistici e lampi di raggi gamma. È stato calcolato che l’energia prodotta da un’ipernova, se diffusa isotropicamente (cioè in modo uguale in tutte le direzioni), sarebbe nell’ordine dei 10⁵³ erg. Gli astrofisici ritengono tuttavia che quest’energia sia di circa due ordini di grandezza minore (10⁵¹ erg), considerando che l’emissione di energia non è isotropica, ma avviene lungo direzioni preferenziali: i coni di ridotta dimensione angolare, attraverso i quali si liberano i getti relativistici prodotti dalla materia in caduta sul disco di accrescimento del neonato buco nero.

Ovviamente, l’impatto di un GRB di tale potenza sulla biosfera terrestre sarebbe letale. È possibile, del resto, che qualcosa del genere sia già accaduta in passato. Alcuni studiosi, per esempio, avanzarono l’ipotesi che la tremenda estinzione di massa che si verificò alla confluenza tra l’ordoviciano e il siluriano, circa 440 milioni di anni fa, fu causata proprio dall’esplosione di un’ipernova. Secondo gli autori dell’ipotesi, se la presunta esplosione fosse avvenuta entro 6.500 anni luce di distanza dalla Terra, il flusso di raggi gamma che avrebbe investito l’atmosfera sarebbe stato sufficiente a distruggere lo strato di ozono, scatenare piogge acide e innescare un periodo di raffreddamento globale. Resta il fatto che l’evento di estinzione dell’ordoviciano-siluriano, la seconda maggiore delle cinque estinzioni di massa conosciute, causò la scomparsa improvvisa di oltre il 60 per cento delle specie marine, anche se non vi sono, almeno per ora, prove che consentano di addebitare la causa a un GRB assassino.

Un grafico che mette in relazione il numero e la durata dei GRB osservati dal satellite Swift (in basso) con la dimensione delle probabili sorgenti espressa in miglia (in alto. Un miglio è uguale a 1,6 km): in blu sono rappresentati gli oggetti compatti (stelle di neutroni e buchi neri) e i GRB brevi a essi associati; in giallo le stelle di taglia solare come le Wolf-Rayet e i GRB lunghi; in rosso le supergiganti e i GRB ultra-lunghi, di cui queste ultime sono ritenute responsabili [Andrew Levan (University of Warwick)]

GRB ultra-lunghi

Il lancio di telescopi spaziali in grado di rilevare lampi di radiazione ad alta energia come i satelliti Swift, Fermi e XMM-Newton ha consentito negli ultimi anni un notevole miglioramento nell’individuazione dei GRB e nell’analisi della loro struttura ed evoluzione.

Grazie a simili strumenti, a partire dal 2010 è stata scoperta una nuova classe di GRB, definiti ultra-lunghi, con durate di due ordini di grandezza maggiori rispetto ai tipici GRB lunghi.

Il primo a essere scoperto è stato GRB 101225A, il cosiddetto “botto di Natale” (Christmas burst), verificatosi il 25 dicembre 2010. Ebbe una durata di oltre 2.000 secondi: qualcosa di mai visto prima.

Poiché inizialmente non era nota la sua distanza, si formarono due diverse scuole di pensiero: una, presumendo che l’esplosione si fosse verificata nella Via Lattea, attribuì la causa alla distruzione di un asteroide o di una cometa da parte di una stella di neutroni; la seconda, assumendo invece che l’esplosione fosse avvenuta in una galassia distante almeno 3,5 miliardi di anni luce, attribuì la causa alla fusione di un esotico sistema binario, formato da una stella di neutroni e da una stella di elio che aveva già espulso il suo involucro di idrogeno.

Il secondo GRB ultra-lungo fu scoperto dal satellite Swift il 9 dicembre 2011. Chiamato GRB 111209A, durò per un tempo incredibile: 25.000 secondi, cioè circa sette ore. Un terzo GRB ultra-lungo, GRB 121027A, fu scoperto, anche questo da Swift, il 27 ottobre 2012. Ebbe l’inusuale caratteristica di un lunghissimo ed energetico brillamento nei raggi X, seguito all’innesco, molto più breve, rilevato nei raggi gamma.

I tre eventi sono accomunati non solo dall’interminabile durata, ma anche dalle distanze cosmologiche alle quali sono avvenuti. La valutazione della distanza per oggetti così lontani è fatta per mezzo dell’analisi spettrale: si misura il cosiddetto redshift, cioè lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali. Il redshift di GRB 101225A, calcolato in un primo tempo pari a z=0,33, è stato ridefinito a z=0,847; quello di GRB 111209A è stimato in z=0,677, quello di GRB 121027A è pari addirittura a z=1,773. Traducendo questi redshift in lookback time, cioè nella distanza temporale tra l’emissione del lampo e la sua osservazione dalla Terra, si ottengono rispettivamente i valori di 7,05, 6,16 e 9,92 miliardi di anni!

Un grafico che mette in relazione energia e durata di differenti categorie di GRB. Sull’asse delle ascisse è rappresentata la durata del GRB, sull’asse delle ordinate la sua energia. Le emissioni di GRB più lunghe e potenti sono, secondo questo modello teorico, quelle causate dalla distruzione mareale di una stella da parte di un buco nero [Bruce Gendre (ASDC/INAF-OAR/ARTEMIS)]

GRB 111209A

Uno studio pubblicato a marzo 2013 su The Astrophysical Journal, a cui parteciparono anche ricercatori italiani, analizzò in dettaglio il più lungo dei tre eventi, GRB 111209A.

Gli autori calcolarono l’energia liberata da questo GRB, se diffusa isotropicamente, in (5,82±0,73)×10⁵³ erg. Per capire l’ordine di grandezza del fenomeno, occorre pensare che l’energia prodotta dal Sole ogni secondo è pari a circa 3,83×10³³ erg: centinaia di miliardi di miliardi di volte inferiore.

Tuttavia, l’analisi dei dati suggeriva anche che l’enorme emissione di energia associata al GRB non era stata causata né da una tipica esplosione di supernova né dalla distruzione mareale di una stella da parte di un buco nero. Cosa poteva aver prodotto, dunque, un’emissione così lunga ed energetica?

La causa più probabile, secondo gli autori della ricerca, era il collasso gravitazionale di una stella gigantesca, una supergigante blu con un diametro circa mille volte maggiore di quello del Sole: poco meno di un miliardo e quattrocento milioni di chilometri, pari più o meno alla dimensione dell’orbita di Giove.

Rappresentazioni artistiche che pongono a confronto con il Sole e l’orbita di Giove la supergigante blu ritenuta all’origine dell’emissione di raggi gamma GRB 111209A [NASA Goddard Space Flight Center/S. Wiessinger]

Per alimentare un’emissione di raggi gamma della durata sette ore, la progenitrice del GRB doveva possedere un’altissima velocità di rotazione, in grado di trasferire al disco di accrescimento formatosi intorno al buco nero momento sufficiente a generare getti relativistici così potenti.

La stella deve inoltre aver posseduto una caratteristica molto rara nell’universo locale, cioè una metallicità molto bassa. Una così lunga durata del GRB si spiega, infatti, soltanto se ci fu un altrettanto lungo e costante flusso di materia in caduta verso il buco nero formatosi dal collasso gravitazionale del nucleo della supergigante. Ciò vuol dire che la stella, pur giunta a uno stadio evolutivo tanto avanzato da innescare il collasso del nucleo, doveva possedere ancora buona parte del suo involucro esterno. Ma una supergigante di metallicità simile a quella del Sole sarebbe giunta alla fase del collasso avendo già dissipato molta parte della sua massa nello spazio esterno. Infatti, più metalli (cioè elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio) sono presenti in una stella, più forte ed efficiente è il vento stellare che contribuisce alla dispersione degli strati esterni nello spazio circostante.

La progenitrice del GRB doveva essere dunque, con ogni probabilità, una stella con una metallicità molto inferiore a quella solare. Ma un così basso contenuto di metalli è tipico dell’universo primordiale. L’ipotesi teorica proposta dai ricercatori fu, pertanto, che la supergigante all’origine dell’evento GRB 111209A fosse quanto di più vicino a una stella di Popolazione III fosse stato fino ad allora scoperto (le stelle di Popolazione III —di cui per la verità nessuna è stata ancora individuata— sono, secondo la teoria, le stelle più antiche in assoluto. Composte quasi esclusivamente di idrogeno e di elio, furono le prime a formarsi nelle proto-galassie che popolavano l’universo neonato).

A una distanza stimata di oltre sei miliardi di anni luce, la galassia ospite di GRB 111209A fu osservata con il telescopio spaziale Hubble cinque settimane dopo l’evento e si rivelò un oggetto molto debole e compatto, con un’estensione stimata in circa 700 parsec (poco meno di 2.300 anni luce). Le caratteristiche spettrali confermarono l’ipotesi di una bassa metallicità, anche se non bassissima, e la possibilità che si trattasse di una galassia nana con un alto tasso di formazione stellare, compatibile con l’ipotesi teorica che spiegava l’emissione ultra-lunga di raggi gamma come l’effetto del collasso gravitazionale di una supergigante blu.

La galassia ospite di GRB 111209A ripresa con la WFC3 del telescopio spaziale Hubble. Il cerchio centrale indica la posizione del bagliore residuo dell’esplosione di raggi gamma con un margine di errore di 1 sigma. La ‘x’ marca il centroide della galassia [arXiv:1302.2352v1 [astro-ph.HE]]

Va detto, infine, che il collasso gravitazionale di quella supergigante potrebbe aver prodotto anche qualcosa di diverso da un buco nero. È quello che sostennero Jochen Greiner e altri autori in uno studio pubblicato su Nature l’8 luglio 2015. Secondo questo gruppo di ricercatori, la curva di luce della supernova SN 2011kl, associata con il lampo di raggi gamma ultra-lungo GRB 111209A, non è compatibile con le caratteristiche di una tipica supernova Ic. L’alta luminosità e la bassa presenza di metalli sono invece meglio spiegabili, se si suppone che il collasso gravitazionale della supergigante produsse, non un buco nero, ma una magnetar, cioè una stella di neutroni dotata di un campo magnetico straordinariamente potente, che iniettò nel sistema collassante una quantità extra di energia, tale da giustificare la potenza e la durata del lampo di raggi gamma osservato insieme alla supernova.

Immagine in falsi colori di GRB 111209A, acquisita dal telescopio a raggi X del satellite Swift [NASA/Swift/B. Gendre (ASDC/INAF-OAR/ARTEMIS)]

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.