Una tuta spaziale che non suggerisce l’idea di essere maneggevole… Credit: Life/F. Goro

Lunar Exploration Suit, Model MK 1

Fantastica per grattarsi o sgranocchiare un panino, meno per esplorare la superficie lunare

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
3 min readOct 3, 2017

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La strada dell’esplorazione spaziale, come tutte le avventure umane, è lastricata di difficoltà e spesso di fallimenti. A volte vanno in fumo anni di progettazione e milioni di dollari (o di euro, yen, rubli eccetera) per errori che appaiono, col senno di poi, a dir poco incredibili. Il pensiero va subito al Mars Climate Orbiter, bruciato 18 anni fa subito dopo essere entrato nell’atmosfera di Marte, perché sceso a una quota di soli 57 chilometri dalla superficie marziana invece dei 140–150 previsti per orbitare in sicurezza. L’errore, di cui abbiamo parlato in un post precedente, fu dovuto a una mancata conversione dal sistema anglosassone al sistema metrico decimale: nessuno si era accorto che i razzi che regolavano la discesa aspettavano l’input in unità del sistema metrico, cioè in Newton, mentre il software utilizzato per calcolare la spinta necessaria usava la libbra-forza del sistema anglosassone, pari a 4,45 Newton.

Altre volte, invece, progetti — come dire? — un po’ eccentrici non creano danni economici né perdite umane perché fortunatamente qualcuno si accorge in tempo che è meglio non dar seguito all’impresa. È ciò che accadde, in piena corsa allo spazio con l’Unione Sovietica, a una tuta spaziale per l’esplorazione della Luna partorita dalla matita di Allyn Hazard, ingegnere del Jet Propulsion Laboratory a Pasadena.

L’ombrellino sulla testa: semplice parasole o sofisticato sistema di comunicazione radio? Credit: Life/F. Goro

La tuta fu svelata al mondo in un servizio con foto a tutta pagina apparso sullo storico magazine “Life” (il numero era quello del 27 aprile 1962). Si trattava di un buffissimo catafalco del peso di quasi un quintale: niente di preoccupante, secondo il progettista, visto che la gravità lunare è appena un sesto di quella terrestre. Ma, nell’approntare il servizio fotografico per “Life”, il buon Hazard (è lui l’uomo che indossa la tuta nelle foto) dev’essersi preoccupato non poco: calato a forza di braccia in un anfratto roccioso del deserto del Mojave, imprigionato in quella sorta di gigantesco frullatore metallico da lui stesso disegnato, abbranca una piccozza con fare per niente disinvolto, mentre sta in bilico su un terreno sassoso con l’aria di chi è in procinto di andar giù a gambe all’aria. Difficile immaginare un astronauta che percorra lieve la superficie della Luna imbracato in quel sudario a forma di Barbapapà

La tuta spaziale di Hazard aveva la particolarità di consentire a chi la indossava di ritirare le braccia all’interno del “cestello” centrale per poter risolvere a mano libera qualsiasi urgenza improvvisa: grattarsi il naso o sbocconcellare uno snack, per esempio. Lascia perplessi, invece, quanto ai possibili usi sulla Luna, l’ampia finestra in zona “cavallo” della tuta, ben visibile nella foto in cui due uomini trasportano a spalla l’improbabile manufatto su per le pietraie del Mojave.

Bizzarra finestra là davanti. Serviva all’ipotetico astronauta per vedere dove metteva i piedi, visto che la forma a scaldabagno della tuta non consentiva una facile visibilità del terreno. Credit: LIfe/F. Goro

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.