L’orbiter sovietico Mars-3. La parte superiore è il blocco contenente il lander, nascosto all’interno dello scudo termico [Getty Images]

Mars-3, il primo lander su Marte (1/3)

Il lander InSight è l’ultima di una serie di sonde robotiche che la NASA è riuscita a far atterrare su Marte, una serie inaugurata dall’impresa dei Viking nel 1976. Ma il primo lander in assoluto a compiere un atterraggio morbido su Marte fu un prodotto della tecnologia sovietica, non di quella americana. Si chiamava Mars 3 e il suo destino si compì il 2 dicembre 1971. Questa serie di articoli racconta la sua storia

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
10 min readDec 10, 2018

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Fin dal lontano 1960 l’Unione Sovietica e poi, dopo la sua dissoluzione, la Russia hanno provato più volte a inviare sonde su Marte e persino su Fobos, una delle sue due piccole lune, ottenendo una lunga e sfortunata sequela di fallimenti. Gli unici due successi, peraltro parziali, furono quelli delle missioni Mars-2 e Mars-3 del 1971. Le due sonde erano composte entrambe da un orbiter e da un lander. I due orbiter riuscirono a entrare in orbita intorno a Marte, ma fallirono nel compito di mappare la superficie del pianeta. Non per colpa loro, a dire il vero: incapparono infatti in una imprevista tempesta globale, che, per mesi interi, sollevò nell’atmosfera di Marte una densa coltre di polvere che rese completamente invisibile la superficie dallo spazio.

Il primo dei due lander, quello di Mars-2, si schiantò al suolo, ma ha comunque un posto di rilievo nella storia dell’esplorazione spaziale perché è il primo manufatto umano ad aver toccato, sia pure in modo distruttivo, la superficie di Marte. Il lander di Mars-3 riuscì invece ad atterrare perfettamente e cominciò anche a comunicare con la Terra, inviando un frammento indecifrabile di immagine. Purtroppo, dopo circa 15 secondi smise per sempre di inviare segnali, per ragioni che nessuno conosce con certezza. Mars-3 resta però la prima missione spaziale in cui sia stato completato con successo un atterraggio morbido su Marte.

Vladimir G. Perminov all’epoca in cui era progettista capo della Lavochkin per le missioni spaziali sovietiche dirette verso Marte e verso Venere

Come siano riusciti i sovietici nel lontano 1971, ben cinque anni prima dei Viking americani, nella difficile impresa di far atterrare in modo automatico un lander su Marte è una storia affascinante e poco nota al grande pubblico, della quale esiste una testimonianza di prima mano, fornita da uno dei suoi protagonisti, l’ingegnere spaziale Vladimir Gennadievič Perminov. Il suo dettagliato resoconto delle missioni spaziali sovietiche dedicate alla conquista di Marte in piena guerra fredda fu tradotto in inglese e pubblicato dalla NASA nel 1999 in un testo monografico intitolato The Difficult Road to Mars (“La difficile strada verso Marte”). Buona parte di ciò che segue è basata sul contenuto di quel libro.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la pressione del governo sovietico sul personale che lavorava nel settore aerospaziale era ai massimi livelli. Dopo lo smacco subito da Mosca per la vittoria degli americani nella corsa alla Luna, resa definitiva dall’allunaggio dell’Apollo 11 a luglio del ’69, il Cremlino vedeva in Marte l’occasione per un immediato riscatto: battere sul tempo gli Stati Uniti nell’inviare una sonda in orbita intorno al pianeta rosso e, meglio ancora, riuscire a far atterrare un lander sulla sua superficie erano priorità assolute del programma spaziale sovietico.

Gli americani in effetti stavano vincendo anche la corsa a Marte. Erano della NASA, infatti, i soli tre velivoli che, nel corso degli anni ’60, erano riusciti a compiere un fly-by di Marte e a inviare per la prima volta a Terra immagini ravvicinate del pianeta e preziosi dati scientifici: il Mariner 4 nel 1965 e i Mariner 6 e 7 nel 1969. Da parte sua l’Unione Sovietica aveva effettuato tra il 1960 e il 1964 ben sei tentativi di inviare sonde verso il pianeta rosso, ma erano tutti falliti durante la fase di lancio, con la sola eccezione della missione Zond-2, in cui la navicella era stata immessa con successo sulla traiettoria per Marte, ma era incappata ben presto in una serie di problemi tecnici, culminati con l’interruzione del contatto radio circa quattro mesi prima dell’arrivo a destinazione (non si sa, quindi, a quale distanza da Marte sia passata prima di perdersi nello spazio).

Il Mariner 4, lanciato il 28 novembre 1964, fu la prima sonda a sorvolare da vicino Marte il 15 luglio 1965 [NASA/JPL-Caltech]

Comunque sia, all’inizio degli anni ’70 né i russi né gli americani erano ancora riusciti a mettere una sonda in orbita intorno a Marte. I sovietici ci avevano provato nel 1969 con l’orbiter Mars 2M №522, ma il velivolo e il razzo vettore erano precipitati in fiamme appena 41 secondi dopo il lancio, per via di un bullone mancante che aveva causato una perdita di tetrossido di azoto, innescando un incendio fatale.

Per cercare di battere gli Stati Uniti nella corsa verso Marte, i migliori scienziati e ingegneri aerospaziali sovietici furono sottoposti a ritmi di lavoro sfibranti, con la costante paura che una decisione dall’alto bloccasse o modificasse in corso d’opera i progetti a cui stavano lavorando, pregiudicando le loro carriere e i risultati ottenibili. Con pochissimo tempo a disposizione, scienziati geniali dovettero inventare soluzioni che ancora non esistevano per problemi estremamente complessi. E dovettero farlo con risorse limitate, che per qualità e abbondanza non potevano reggere il confronto con quelle messe in campo negli stessi anni dagli Stati Uniti per le sue numerose missioni spaziali.

Ad agosto del 1971 Marte si sarebbe trovato in opposizione con la Terra, alla minima distanza possibile, una condizione che non sarebbe ricapitata per altri due anni abbondanti. Fin dal 1969, dunque, sovietici e americani stavano affilando le armi per sfruttare al massimo la finestra di lancio del 1971, che garantiva la possibilità di ridurre i tempi di viaggio e di caricare a bordo degli orbiter diretti verso Marte una massa minore di combustibile. Per sfruttare al meglio l’opportunità, occorreva però riuscire a effettuare i lanci non oltre maggio, meglio se nei primi giorni del mese. Per quella finestra temporale, la NASA stava allestendo le missioni Mariner 8 e Mariner 9, basate su due orbiter gemelli che avrebbero avuto il compito di entrare in orbita intorno a Marte, raccogliere dati scientifici dall’alto e mappare la superficie del pianeta, inviando quante più foto possibile verso le antenne terrestri.

Il piano dei sovietici era molto più ambizioso. In un vertice tenuto a maggio 1969 nell’ufficio di Mstislav V. Keldysh, Presidente dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, le massime autorità del settore aerospaziale avevano approvato un progetto che prevedeva l’invio verso Marte nel 1971 di ben tre velivoli spaziali.

Una copia di Mars-3 esposta nel padiglione “Spazio” dell’Esposizione delle conquiste dell’economia popolare di Mosca [Nikolai Kuleshov/TASS]

Il primo a partire sarebbe stato un orbiter dotato di un’ampia riserva di combustibile e della massima quantità possibile di strumenti scientifici. La sonda avrebbe avuto due scopi principali: battere sul tempo gli americani nella corsa a mettere un velivolo in orbita intorno a Marte e servire poi come radiofaro per indicare la via ad altri due orbiter, che sarebbero stati lanciati alcuni giorni dopo. I due orbiter avrebbero trasportato un lander ciascuno, nel tentativo di effettuare per la prima volta un atterraggio morbido sulla superficie del pianeta.

Per raggiungere un obiettivo così difficile, occorreva calcolare con la massima precisione il corridoio di entrata e l’angolo esatto con cui i due lander dovevano penetrare nell’atmosfera di Marte. Ciò richiedeva delle effemeridi molto accurate, che i sovietici però non possedevano (a differenza degli americani, che le avevano ricavate dalle misurazioni fatte negli anni ’60 dai tre Mariner che avevano sorvolato da vicino il pianeta). Ecco, dunque, la ragione per cui il programma spaziale approvato a maggio del ’69 nell’ufficio di Keldysh prevedeva l’invio di un primo orbiter: era necessario innanzitutto determinare l’esatta posizione di Marte.

La struttura dei tre velivoli che sarebbero stati lanciati nel maggio 1971 era quella definita dal Progetto M-71, approvato nel febbraio del 1970. Ai sovietici restavano così in tutto quindici mesi scarsi per costruire e testare tre orbiter, due lander e due rover (i lander delle missioni Mars-2 e Mars-3 avrebbe infatti trasportato a bordo anche un piccolo rover, chiamato PROP-M, che avrebbe avuto il compito di eseguire alcune analisi del suolo, allontanandosi fino a 15 metri dal lander, al quale rimaneva collegato da un cavo). Gli scienziati e i tecnici impegnati nel progetto furono perciò costretti a lavorare a ritmi serratissimi, sotto una duplice minaccia: rispettare le scadenze e mantenere alta la qualità finale.

Un prototipo funzionante del piccolo rover PROP-M, che avrebbe dovuto essere rilasciato sulla superficie di Marte dopo l’atterraggio del lander. Il veicolo avanzava lentamente sollevando alternativamente l’elemento interno e poi quello esterno dei pattini laterali. È visibile sulla sinistra il cavo di collegamento al lander. Il rover era dotato di un percussore per scavare nel terreno e analizzarne la composizione

La mancanza di tempo e la pressione politica fecero emergere alla fine quella che forse è la caratteristica più tipica del popolo russo: un misto inscindibile di genialità e approssimazione, in virtù del quale furono scelte soluzioni drastiche e talvolta pericolose, per risolvere rapidamente problemi che avrebbero richiesto tempi più lunghi e attrezzature differenti. Un caso esemplare è la produzione degli esplosivi che servivano per garantire ai lander l’accelerazione necessaria per entrare nell’atmosfera di Marte, dopo la separazione dai rispettivi orbiter. La produzione delle cartucce e del materiale esplosivo era stata affidata all’Istituto Tecnologico Chimico di Ricerca Scientifica. Ecco il racconto di Perminov di una sua visita presso questo centro di ricerca:

Una volta arrivato all’istituto, mi sentii come sul palcoscenico di un teatro. Davanti a me c’era una linea di produzione con utensili da lavoro. Il muro della struttura di produzione mancava. Era sdraiato lì vicino a terra. “State cercando di ristrutturare l’impianto mentre continuate la produzione?”, chiesi a un mio conoscente. “No”, rispose calmo. “Ieri, la cartuccia della polvere da sparo è esplosa e il muro è crollato. Questo muro è stato progettato specificamente per collassare nel suo insieme al momento dell’impatto, in modo che il resto dell’impianto produttivo rimanga intatto. Oggi lo rimetteranno a posto e tutto sarà in ordine” [V.G. Perminov, The Difficult Road to Mars, NASA 1999, pag. 42–43].

Finalmente giunse il mese di maggio del 1971 e la lotta tra russi e americani per la conquista dell’orbita marziana si fece febbrile. Il 9 maggio partì da Cape Canaveral il primo dei due orbiter gemelli progettati dalla NASA: il Mariner 8, sospinto da un vettore Atlas-Centaur. Meno di cinque minuti dopo il lancio furono attivati i motori del Centaur, ma lo stadio superiore del razzo cominciò a oscillare paurosamente e a ruotare fuori controllo. Poco dopo i motori si spensero e il lancio fallì. Il Mariner 8 rientrò in atmosfera, precipitando nell’Oceano Atlantico circa 560 km a Nord di Portorico. Le successive ispezioni determinarono che il problema era stato causato da un diodo difettoso in una scheda elettronica.

Il giorno seguente, il 10 maggio, fu la volta dell’orbiter sovietico Kosmos 419, basato sul progetto M-71. Molto più pesante dei Mariner americani, aveva una massa di lancio di 4.549 kg, 2.385 dei quali erano costituiti da combustibile e gas. Il velivolo trasportava ben dieci strumenti scientifici:

  • un magnetometro;
  • un radiometro a infrarossi per studiare la distribuzione delle temperature sulla superficie di Marte;
  • un fotometro a infrarossi;
  • uno spettrometro per determinare la concentrazione di vapore acqueo nell’atmosfera marziana;
  • un fotometro per la luce visibile progettato per studiare la riflettività del suolo e dell’atmosfera;
  • un secondo radiometro per studiare la permittività del suolo;
  • un fotometro a ultravioletti per studiare l’alta atmosfera;
  • un rilevatore di raggi cosmici;
  • un rilevatore di particelle cariche e, infine,
  • due fotocamere con distanze focali di 52 e 350 millimetri.

Ma, in aggiunta ai suoi compiti scientifici, Kosmos 419 aveva, come sappiamo, anche un’altra importantissima funzione: fare da battistrada alle due sonde successive, fornendo loro le informazioni sulla posizione di Marte che avrebbero consentito di tracciare un corridoio d’ingresso nell’atmosfera del pianeta per i due lander.

L’orbiter Kosmos-419 era costruito sulla base del progetto M-71C. A differenza di Mars-2 e Mars-3 non trasportava un lander, ma una riserva di carburante in più, che — nei piani di Mosca — avrebbe dovuto consentirgli di ridurre significativamente il tempo di viaggio fino a Marte, arrivando prima dei Mariner 8 e 9 della NASA

Carico di carburante, di strumenti scientifici e delle aspettative di un’intera nazione, Kosmos 419 si sollevò dalla rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur alle 16:58 UTC del 10 maggio, sospinto da un razzo Proton-K/D. La prima fase del lancio andò a meraviglia. Il Proton-K e lo stadio superiore Blok D funzionarono secondo le attese, immettendo lo stesso Blok D e l’orbiter in bassa orbita terrestre.

Dopo un’ora e mezza i motori dello stadio superiore si sarebbero dovuti riaccendere, per fornire la spinta che avrebbe lanciato finalmente il Kosmos 419 in direzione di Marte. Purtroppo, però, non si accesero affatto e, nonostante tutti i tentativi fatti dal controllo missione, il velivolo cominciò rapidamente a perdere quota, finché due giorni dopo, il 12 maggio, rientrò in atmosfera tra lo sgomento di Perminov e di tutti coloro che avevano lavorato duramente per il successo di quell’impresa.

Le indagini che seguirono il disastro rivelarono che la causa del fallimento non era stata un guasto tecnico, ma il più incredibile degli errori umani. La riaccensione dei motori dello stadio superiore era comandata da un timer, che veniva impostato con l’immissione di un comando basato su un codice di otto cifre. Il tecnico addetto a immettere quel comando aveva inserito le otto cifre al contrario, nell’ordine inverso a quello previsto. Il risultato dell’errore fu che il timer risultò impostato per accendere i motori dello stadio superiore del razzo, non un’ora e mezza dopo il primo spegnimento, come sarebbe stato necessario, ma un anno e mezzo dopo! Non so cosa sia capitato a quell’operatore, ma sicuramente non deve aver vissuto momenti facili dopo la scoperta del suo errore…

Un’immagine di Marte acquisita dall’orbiter Mars-3 verso la metà di dicembre del 1971. La tempesta globale che si era scatenata già da alcuni mesi rende indistinguibili le caratteristiche superficiali del pianeta

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.