L’illustrazione mostra il processo alla base dell’emissione dei getti bipolari osservati da ALMA: il gas della nube molecolare che alimenta la formazione di una nuova stella cade sul disco di accrescimento che circonda l’oggetto stellare in via di formazione. Una parte di questo gas, invece di aggiungersi alla massa della protostella, viene sparato via dai suoi poli, producendo due getti diretti in direzioni opposte, che possono estendersi per migliaia di unità astronomiche. Credit: Bill Saxton (NRAO/AUI/NSF)

Stelle che nascono sotto una cattiva stella

Sono state scoperte 11 protostelle in un raggio di appena 3 anni luce da Sgr A*, il buco nero supermassiccio da 4 milioni di masse solari che si trova al centro della Via Lattea

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
6 min readDec 7, 2017

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Nel centro esatto della Via Lattea, a circa 25.000 anni luce di distanza dal Sole, si trova Sgr A* (pronunciato “Sagittarius A star”), un buco nero supermassiccio da 4 milioni di masse solari. L’immenso campo gravitazionale di Sgr A* dovrebbe produrre nei parsec centrali della galassia forze di marea così potenti da fare a pezzi le nubi molecolari che transitano da quelle parti, impedendo così l’instaurarsi di quel lento processo di condensazione guidato dall’autogravità, che conduce infine alla formazione di nuove stelle.

Ma l’osservazione in questo caso non va d’accordo con la teoria. Nel raggio di appena 1,3 anni luce da Sgr A* — cioè entro meno di un terzo della distanza che separa il Sole dalla stella più vicina, Proxima Centauri — si contano un centinaio di luminosissime e massicce stelle di classe OB. Tutte quelle stelle in orbita a due passi dal buco nero provano che, a dispetto delle spaventose forze di marea prodotte da 4 milioni di masse solari concentrate in un volume minuscolo, la formazione stellare resta nonostante tutto possibile.

Gli astronomi ritengono che, circa 7 o 8 milioni di anni fa, una nube molecolare transitò nei pressi di Sgr A*, finendo catturata dalla sua gravità. La nube alimentò la formazione di un disco gassoso in orbita intorno al buco nero. Col tempo, il disco, raffreddandosi, divenne gravitazionalmente instabile e si frammentò in una serie di nuclei separati, che diedero origine alle numerose stelle di classe OB presenti oggi.

Ma sembra che non fu quello l’unico episodio di formazione stellare nei pressi del buco nero centrale della Via Lattea. Vi sono numerosi indizi che suggeriscono che la formazione stellare continui tuttora proprio a ridosso di Sgr A*. Nei parsec centrali della galassia sono stati osservati nelle onde radio e nelle lunghezze d’onda millimetriche maser di monossido di silicio (SiO); sono state scoperte inoltre sorgenti compatte che assomigliano ai bozzoli nei quali si formano nuove stelle; sono state osservate anche emissioni che richiamano il processo di fotoevaporazione dei dischi protoplanetari che circondano le stelle appena nate.

Tuttavia nessuno di tali indizi può essere considerato come una prova decisiva.

La vista verso il centro galattico è infatti pesantemente oscurata da immense cortine di gas e polveri, che causano un’estinzione luminosa di ben 30 magnitudini. Per di più, il centro galattico è un luogo a dir poco caotico, ricchissimo com’è di stelle, gas e polveri. Il caos e la scarsa visibilità impediscono di determinare l’esatta natura degli oggetti associati a quegli indizi di formazione stellare.

I maser, per esempio, potrebbero essere stati prodotti, non dalle onde d’urto causate dalle emissioni di giovani oggetti stellari, come capita in altre zone meno affollate della galassia, ma dalla semplice collisione di masse di gas presenti nella turbolenta regione intorno a Sgr A*. Quelle che appaiono, poi, come giovani e massicce protostelle avvolte in densi bozzoli di polveri, potrebbero essere invece stelle evolute, cioè stelle antiche, associate più o meno casualmente a banchi di polveri interstellari. E, infine, i nuclei di condensazione meno massicci, che potrebbero essere i bozzoli che avvolgono stelle di piccola massa in via di formazione, potrebbero essere semplicemente accumuli di polveri interstellari senza alcun oggetto stellare al loro interno. Alla distanza alla quale ci troviamo dal nucleo galattico e con gli ostacoli frapposti lungo la nostra visuale, non c’era modo, almeno finora, per risolvere tutte queste ambiguità.

Tuttavia, l’osservazione astronomica si giova di tecnologie che divengono di giorno in giorno più potenti e che consentono oggi di scandagliare con maggiore efficacia i segreti di quell’area caotica e nascosta al cui centro si trova Sgr A*. Uno di questi strumenti è ALMA, acronimo di Atacama Large Millimeter / submillimeter Array. Entrata in funzione nel 2011, ALMA è una rete integrata di 66 antenne, situata sulle ande cilene a oltre 5.000 metri di altezza, progettata per osservare il cielo nelle lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche con una precisione e una risoluzione che, almeno per ora, non hanno rivali.

Grazie alla potenza di ALMA, un gruppo di ricercatori guidato da Farhad Yusef-Zadeh della Northwestern University, ha ottenuto finalmente la prova decisiva che vi sono stelle che si stanno formando nelle immediate vicinanze di Sgr A*. La scoperta è stata descritta in uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal il 28 novembre 2017.

Osservando con ALMA alla frequenza di 226 GHz le emissioni di ¹³CO (monossido di carbonio) provenienti dagli anni luce centrali della Via Lattea, Yusef-Zadeh e colleghi hanno scoperto ben 11 protostelle, cioè stelle in via di formazione, ancora nascoste dentro i loro bozzoli di gas e polveri.

Le prove stavolta sono inequivocabili: ALMA ha ripreso infatti i tipici getti bipolari (cioè a forma di clessidra), emessi da questi giovani oggetti stellari. Tali getti sono il prodotto di instabilità magnetoidrodinamiche che si verificano tra il disco di accrescimento che alimenta una protostella e la protostella medesima. Detto in parole povere, non tutta la materia che dalla nube molecolare finisce sulla stella in via di formazione va ad aumentare la massa dell’oggetto stellare. Una parte di questo gas, raffreddata dall’emissione di radiazione termica e fortemente magnetizzata, si frammenta in blocchi che vengono sparati verso l’esterno come proiettili, formando due getti contrapposti che si allontanano dalla stella nascente con velocità decine di volte superiore alla velocità del suono nella regione che attraversano.

Gli undici getti bipolari (BP sta per “bipolar”) osservati da ALMA nelle immediate vicinanze di Sgr A*. I segmenti bianchi nell’immagine di sinistra indicano l’orientamento dei getti. I colori nell’immagine di destra rappresentano i gradienti di velocità delle masse di gas presenti nella regione (il rosso rappresenta masse di gas in allontanamento da noi, il blu masse di gas in avvicinamento. Credit: F. Yusef-Zadeh et al 2017 ApJL 850 L30

I getti bipolari, che si estendono per migliaia di unità astronomiche a partire dall’oggetto che li emette, sono associati in modo inconfondibile al processo di formazione stellare. La loro osservazione da parte di ALMA costituisce perciò una prova molto forte che proprio al centro della galassia, in un raggio di 3 anni luce dal buco nero supermassiccio che vi è annidato, stanno nascendo nuove stelle.

La cosa è ancor più sorprendente, per il fatto che l’estensione, la densità e la velocità dei getti bipolari osservati indicano che quelle 11 stelle nascenti sono oggetti di piccola massa, non stelle grandi e massicce.

È sorprendente che stelle con una massa media stimata in appena 0,3 masse solari possano formarsi in un ambiente così ostile come quello che circonda Sgr A*. Le nubi molecolari che ne stanno alimentando la formazione non dovrebbero avere la densità sufficiente né per resistere alle forze di marea create dal buco nero centrale né per sopravvivere alla forza disgregante della radiazione altamente energetica, emessa dalle stelle più luminose che affollano la regione e, soprattutto, dalle masse di gas in caduta verso Sgr A*, riscaldate ad alte temperature da shock collisionali.

Vista ingrandita del getto bipolare numero 1 ripreso da ALMA. Il numero 1 è, tra gli 11 giovani oggetti stellari scoperti nelle vicinanze di Sgr A*, quello in cui la forma a clessidra è più chiaramente visibile. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Yusef-Zadeh et al.; B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)

Eppure le immagini di ALMA mostrano 11 giovani oggetti stellari di piccola massa in via di formazione, con un’età apparente calcolata in appena 6.500 anni. Gli autori dello studio pensano che la nascita di queste stelle abbia a che fare, paradossalmente, proprio con la presenza di Sgr A* nelle loro immediate vicinanze. È possibile, infatti, che in un passato relativamente recente il buco nero centrale della galassia abbia “ingurgitato” masse di gas catturate gravitazionalmente, emettendo nel corso di questi picchi di attività getti relativistici, generati sul disco di accrescimento intorno al buco nero.

I getti collimati emessi da Sgr A* in quelle occasioni, spazzando la materia disseminata nello spazio interstellare circostante, potrebbero aver così creato delle sacche di gas fortemente compresso, all’interno delle nubi molecolari che si trovano nelle sue vicinanze. La densità di quelle sacche avrebbe infine superato la soglia critica, oltre la quale l’autogravità comincia a far collassare la materia verso il centro della nube, innescando il processo di formazione stellare. È possibile perciò che le 11 protostelle i cui getti bipolari sono stati osservati da ALMA siano in un certo senso “figlie” di Sgr A* e conseguenze indirette di uno (o più) dei suoi “pasti” a base di gas interstellare.

Il prossimo passo dei ricercatori sarà scoprire se intorno a questi giovani oggetti stellari esistono dei dischi protoplanetari e se vi sia, dunque, la possibilità che intorno a quelle stelle si formino in futuro anche dei sistemi planetari.

In ogni caso, questo studio ha già dimostrato che i processi di formazione stellare sono molto più resilienti di quanto si fosse fino ad ora pensato.

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.