La galassia a spirale UGC 2885 ripresa in tutta la sua magnificenza dal telescopio spaziale Hubble. UGC 2885, visibile in direzione della costellazione di Perseo, è vicina prospetticamente alla Nebulosa California, da cui dista meno di 1 grado. La galassia è un probabile membro del superammasso di Perseo-Pesci [NASA, ESA, B. Holwerda]

UGC 2885, le curve di rotazione delle galassie e la materia oscura

Il lavoro pionieristico della grande astronoma americana Vera Rubin sulle curve di rotazione delle galassie pose le basi per il riconoscimento dell’esistenza di una massa invisibile, che esercita la sua influenza solo attraverso la gravità: è la cosiddetta materia oscura. Parte del lavoro di Rubin e dei suoi collaboratori fu realizzato studiando una gigantesca galassia a spirale, UGC 2885, ripresa di recente da Hubble in una magnifica e dettagliatissima immagine

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
8 min readJan 28, 2020

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A giugno del 1980 uscì sull’Astrophysical Journal un articolo firmato da due astronomi americani, Vera Rubin e William Kent Ford Jr., e da un fisico di origine tedesca trasferitosi ventenne negli Stati Uniti, Norbert Thonnard. La collaborazione tra i tre, di cui l’articolo del 1980 faceva parte, rappresentò una parte importante del filone di ricerca che, nel corso degli ultimi decenni del Ventesimo Secolo, condusse gli scienziati ad ammettere l’esistenza di un tipo di materia che non emette luce e che non interagisce con la materia comune di cui sono fatte stelle e pianeti.

Da sinistra, W. Kent Ford Jr., Norbert Thonnard e Vera Rubin [Carnegie Science/DTM]

Questa forma esotica di materia, chiamata fatalmente materia oscura, lascia traccia della sua esistenza solo attraverso le interazioni gravitazionali con gli oggetti che possiamo vedere e misurare. Benché ancora nessun esperimento sia riuscito a trovare tracce dirette dell’esistenza di particelle di materia oscura, oggi sappiamo da numerose fonti di prova che tale forma invisibile di materia costituisce oltre l’80% della massa distribuita in galassie e ammassi di galassie, mentre la materia comune, cioè quella di cui sono fatti pianeti, stelle, buchi neri, nebulose e polveri interstellari, contribuisce per non più del 17–18% alla massa complessiva. In altre parole, solo 1/6 di tutta la massa esistente nell’Universo è visibile. Tutto il resto è materia oscura.

Le curve di rotazione delle galassie

Le ricerche di Vera Rubin e dei suoi collaboratori si concentrarono sulle cosiddette curve di rotazione delle galassie.

Lo studio delle orbite dei pianeti del Sistema Solare, così come quello delle orbite degli esopianeti scoperti di recente intorno ad altre stelle, mostra in modo inequivocabile che i corpi celesti si muovono seguendo orbite kepleriane. Essi obbediscono alle leggi definite da Keplero quattro secoli fa. In particolare, la velocità orbitale di un corpo è tanto minore quanto più esso è lontano dal centro di massa del sistema. Per esempio, la velocità orbitale media della Terra, a 1 unità astronomica di distanza dal Sole (nel quale è concentrato oltre il 99% della massa del Sistema Solare), è di 30 km/s. Invece, la velocità orbitale media di Nettuno, che dista 30 unità astronomiche dal Sole, è di soli 5,4 km/s.

Poiché la differenza tra i moti orbitali in un sistema planetario e quelli all’interno di una galassia è presumibilmente solo una questione di scala, sarebbe lecito attendersi che anche le velocità orbitali delle stelle intorno ai nuclei galattici fossero conformi alle leggi di Keplero e che, perciò, diminuissero con il crescere della distanza dal luogo in cui è concentrata la maggior parte della massa visibile. Ma Rubin, Ford jr. e Thonnard dimostrarono che le cose non stanno affatto così.

Nel loro articolo del 1980, i tre descrissero i risultati dell’analisi spettroscopica eseguita su 21 galassie a spirale Sc, tipo morfologico al quale appartengono galassie dotate di bracci ben delineati e molto aperti. Il campione esaminato da Rubin e colleghi andava dalla piccola NGC 4605, con un raggio di soli 4 kiloparsec (13.000 anni luce), alla gigantesca UGC 2885, accreditata di un raggio di almeno 122 kiloparsec, cioè qualcosa come 400.000 anni luce.

Le osservazioni spettroscopiche erano mirate a misurare le variazioni della velocità radiale nelle regioni H II delle galassie del campione, a varie distanze dal centro galattico. Ordinando in relazione alla distanza i valori di velocità dei numerosi campionamenti eseguiti, si ottenevano le curve di rotazione delle galassie osservate, cioè le variazioni della velocità radiale del gas a partire dal centro galattico fino all’estrema periferia. Se gli oggetti si muovono nelle galassie seguendo orbite kepleriane, tali curve avrebbero dovuto avere un andamento declinante.

Ma Rubin, Ford jr. e Thonnard ricavarono curve di rotazione che mostravano un andamento completamente differente. Le velocità orbitali aumentavano rapidamente dal centro galattico fino a circa 5 kiloparsec di distanza. Da lì in poi, continuavano ad aumentare più o meno costantemente, anche se in modo meno rapido, fino alla massima distanza in cui era possibile campionarle in modo affidabile. Solo nelle galassie più grandi come NGC 801 e UGC 2885, le curve di rotazione mostravano, dopo la salita iniziale, un andamento piatto.

Le curve di rotazione delle 21 galassie a spirale analizzate da Rubin, Ford jr. e Thonnard nello studio del 1980 [Astrophysical Journal, Vol. 238, p. 471–487 (1980)]

La comparazione delle curve di rotazione delle 21 galassie del campione mostrava che l’andamento delle velocità orbitali contrastava in modo inconciliabile con la distribuzione della materia visibile. L’analisi della luce proveniente da quelle galassie suggeriva, infatti, che la massa fosse concentrata principalmente nel nucleo e nel disco galattico. Le curve di rotazione indicavano invece che la massa cresceva ininterrottamente a mano a mano che ci si allontanava dal centro. E, poiché l’aumento delle velocità orbitali continuava fino all’estrema periferia delle galassie esaminate, ciò implicava che vi era massa — molta massa — anche al di là del confine visibile delle galassie. Per usare le parole di Rubin e colleghi,

L’inevitabile conclusione è che esiste della materia non luminosa al di là della galassia visibile.

I risultati ottenuti da Rubin, Ford jr. e Thonnard sono stati ampiamente confermati da una gran quantità di ricerche successive. Oggi sappiamo per certo che la massa visibile delle galassie, compresa la Via Lattea, è solo una frazione minoritaria della massa totale. L’elusiva materia oscura, localizzata per buona parte negli aloni galattici, là dove la materia comune è più rarefatta, rappresenta la frazione di massa di gran lunga maggiore.

La luminosità in una galassia a spirale diminuisce in modo più o meno regolare a mano a mano che ci si allontana dal nucleo galattico, dove la concentrazione delle stelle è massima. Sarebbe lecito pertanto attendersi una corrispondente diminuzione delle velocità orbitali, partendo dal presupposto che le stelle all’interno di una galassia seguano orbite kepleriane (non c’è ragione di immaginare il contrario). Le curve di rotazione dimostrano invece che le velocità orbitali aumentano con l’aumentare della distanza dal centro galattico o, quantomeno, non diminuiscono. Deve dunque esistere una gran quantità di massa invisibile distribuita nelle regioni più esterne delle galassie a spirale [immagine: Michael Richmond]

UGC 2885, una spirale fuori misura

Una parte dello studio di Rubin e colleghi era dedicata alla più interessante delle 21 galassie del loro campione, la gigantesca UGC 2885. I tre autori erano colpiti dalle sue inusuali dimensioni:

Si può avere un’idea dell’immensità di questa galassia, se si considera che le sue dimensioni angolari, 5,5 × 2,5 minuti d’arco, sono simili a quelle delle altre galassie del nostro campione, mentre la sua velocità sistemica, Vc = 5887 km/s, è cinque volte maggiore di quella delle altre galassie di grande dimensione angolare.

UGC 2885 aveva una dimensione angolare simile a quella delle galassie più grandi del campione, ma la sua velocità di recessione indicava che, mediamente, era circa cinque volte più lontana.

A un solo kiloparsec di distanza dal centro della galassia (3.260 anni luce), la velocità di rotazione misurata era di 208 km/s. Ciò implicava che in quel volume erano racchiuse almeno 10 miliardi di masse solari. Rubin, Ford jr. e Thonnard stimarono la massa e la luminosità totale di UGC 2885 pari rispettivamente a 2.000 miliardi di masse solari e 200 miliardi di luminosità solari. Il diametro di Holmberg raggiungeva l’impressionante misura di 350 kiloparsec, cioè oltre 1.100.000 anni luce: più di dieci volte il diametro della Via Lattea!

Il nucleo e il disco di UGC 2885, ripresi con straordinario livello di dettaglio da Hubble. In primo piano, sulla sinistra, si nota una stella luminosissima. È HD 279085, una subgigante di classe spettrale K0 che fa parte della Via Lattea. La sovrapposizione con la galassia è solo un gioco della prospettiva. L’angolo di parallasse misurato da Gaia ci dice che HD 279085 dista da noi poco più di 2.600 anni luce: praticamente nulla rispetto ai quasi 300 milioni di anni luce che ci separano da UGC 2885 [NASA, ESA, B. Holwerda]

Alla luce di ciò che sappiamo oggi, possiamo dire che i tre autori avevano sovrastimato, non per colpa loro, le dimensioni di UGC 2885. All’epoca in cui scrivevano, la stima della distanza, basata sul redshift delle righe spettrali della luce proveniente dalla galassia, era ricavata ponendo la costante di Hubble, che misura la velocità di espansione dell’Universo, pari a 50 km/s per megaparsec. Con un simile valore, si otteneva per UGC 2885 una distanza di 117,8 megaparsec, cioè circa 384 milioni di anni luce. A una tale distanza, il rapporto tra la grandezza angolare e quella lineare corrisponde a 532 parsec per secondo d’arco.

Ma gli studi cosmologici realizzati negli ultimi decenni hanno cambiato il valore della costante di Hubble, elevandolo a circa 70 km/s per megaparsec. Con il nuovo valore, la distanza di UGC 2885 si riduce a 84 megaparsec (274 milioni di anni luce). Si riduce di conseguenza anche il rapporto tra la grandezza angolare e quella lineare della galassia, che è ora di circa 420 parsec per secondo d’arco. Tenendo conto di tutto ciò, il diametro di Holmberg scende intorno ai 275 kiloparsec, cioè l’equivalente di 900.000 anni luce. Resta evidentemente una galassia colossale.

Il 3 febbraio 2002 la supernova SN 2002 F esplose all’interno di UGC 2885 [George Normandin, KAS]

UGC 2885 è però un oggetto interessante non solo per le dimensioni. Rubin, Ford jr. e Thonnard calcolarono che, alla distanza di 122 kiloparsec dal centro, le regioni più esterne della galassia impiegavano circa 2 miliardi di anni per una rotazione completa intorno al nucleo galattico. Ciò implicava che, per quanto UGC 2885 potesse essere antica, i suoi bracci a spirale dovevano aver compiuto in tutto meno di 10 rivoluzioni complete dall’epoca della loro formazione in poi. Eppure il loro aspetto era estremamente regolare; e regolare era anche la distribuzione delle velocità radiali al loro interno. I tre autori osservarono in proposito:

La regolarità delle velocità su larga scala unita a così poche rivoluzioni significa che uno schema a spirale globale ben ordinato deve essersi stabilito subito dopo la formazione della galassia; non può essere il prodotto del livellamento introdotto da molte rotazioni differenziali.

In altre parole, i bracci di UGC 2885 hanno eseguito un numero di rivoluzioni intorno al centro troppo esiguo perché il meccanismo delle rotazioni differenziali possa spiegare la loro regolarità. È come se questa galassia fosse nata con un modello già impresso per la struttura dei suoi bracci a spirale. Ciò ci ricorda quanto siano ancora limitate le nostre conoscenze sulle condizioni iniziali che determinano la storia evolutiva delle galassie.

Thonnard, Rubin e Kent Ford Jr. riuniti ancora una volta a maggio 2013 nel corso di una cerimonia che celebrava l’importanza storica del loro lavoro sulle curve di rotazione delle galassie [Janice Dunlap/DTM]

Comunque sia, l’interesse per UGC 2885 è rifiorito di recente, grazie a una richiesta di tempo di osservazione per il telescopio spaziale Hubble da parte di Benne Holwerda, un astronomo dell’Università di Louisville nel Kentucky. L’intento di Holwerda era duplice: da un lato studiare la popolazione di ammassi globulari di UGC 2885, dall’altro offrire un tardivo tributo a Vera Rubin attraverso le spettacolari immagini di Hubble.

La Rubin fu una grande scienziata e di certo avrebbe meritato il Nobel per le sue ricerche sulle curve di rotazione delle galassie e il suo contributo alla scoperta della materia oscura. Purtroppo, come è capitato a molte altre donne di valore in campo scientifico, è morta senza ricevere il giusto riconoscimento della sua grandezza. Resta la magnifica immagine con cui Hubble ha catturato la solenne maestosità di UGC 2885 a ricordarci lo stretto legame che unì Vera Rubin a questa remota, affascinante galassia.

UGC 2885 in un’immagine tratta dalla survey PanSTARRS1

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.