Il telescopio rifrattore da 12 pollici dell’Osservatorio di Dunsink, usato da Robert S. Ball per osservare il transito di Venere del 1882. Fu costruito nel 1868 [Dublin Institute for Advanced Studies]

Un viaggio nel passato: Robert S. Ball e i transiti di Venere (4/4)

Il testo seguente riporta nella mia traduzione italiana le pagine 142–162 dell’edizione 1886 di “The Story of the Heavens” (capitolo VIII — Venus), di Robert Stawell Ball. In questa parte finale Ball racconta la sua tormentata osservazione del transito di Venere del 1882 e fornisce le informazioni sul pianeta note alla fine del 19° Secolo

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
12 min readJan 22, 2019

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Mi avventuro ora a render conto della nostra personale esperienza dell’ultimo transito di Venere, che avemmo la buona fortuna di osservare dall’Osservatorio Dunsink durante il pomeriggio del 6 dicembre 1882.

La mattina del fatidico giorno le condizioni del tempo apparivano, com’era facile immaginare, del tutto sfavorevoli per un grande spettacolo astronomico. Un paio di pollici di neve coprivano il terreno ed altra neve cadde, con poche interruzioni, per tutta la mattinata. Sembrava impossibile che si potesse ottenere una visione del grande evento da quell’osservatorio, ma è bene tenere a mente in casi simili l’ordine dato agli osservatori di una famosa spedizione per un’eclissi. Essi furono istruiti, qualunque fossero state le condizioni del tempo, a compiere tutti i preparativi necessari, esattamente come avrebbero fatto in una splendida giornata di Sole. Di un simile consiglio hanno senza dubbio approfittato molteplici osservatori, e anche noi ci adeguammo al suggerimento con grande successo.

Abbiamo presso questo osservatorio due telescopi con montatura equatoriale: uno è uno strumento datato, ma ancora passabilmente buono, con un’apertura di circa sei pollici [intorno ai 15 centimetri], l’altro è il grande equatoriale South da dodici pollici di apertura [circa 30 centimetri. Il telescopio fu così chiamato in onore di sir James South, che ne finanziò e seguì la costruzione]. Alle undici in punto il tempo appariva peggiore che mai, ma procedemmo senza indugi affinché tutto fosse pronto. Misi il Signor Rambaut all’equatoriale piccolo, mentre io presi in carico lo strumento South. La neve stava ancora cadendo quando le cupole furono aperte, cosicché, seguendo il nostro programma prestabilito, puntammo i telescopi non direttamente sul Sole ma sul posto dove sapevamo che il Sole si trovava. Avviammo poi l’orologio, in modo da far ruotare i telescopi affinché puntassero costantemente verso il Sole invisibile. L’ora predetta del transito non era ancora giunta.

Il Signor Hind, l’esimio sovrintendente del Nautical Almanac, ci aveva gentilmente inviato i suoi calcoli, secondo i quali, visto da Dunsink, il transito sarebbe cominciato alle ora una 35 minuti 48 secondi, tempo di Dublino, e che il punto del disco solare in cui il pianeta sarebbe entrato si trovava a 147 gradi dal Nord del Sole in direzione Est. Questa tempestiva informazione ci fornì un duplice vantaggio. Ci disse, in primo luogo, il momento preciso in cui dovevamo aspettarci l’evento; e, cosa forse ancora più utile, ci indicò il punto esatto del Sole verso cui dirigere la nostra attenzione. Si tratta di un fattore di considerevolissima importanza, dal momento che per un grande telescopio è possibile vedere solo una porzione del Sole alla volta: se, pertanto, la parte appropriata del Sole non si trova nel campo visuale, il fenomeno può essere completamente perduto.

La cupola dell’Osservatorio di Dunsink presso Dublino, all’epoca dell’osservazione del transito di Venere del 1882 [R.S. Ball, “The story of the Heavens”, 1886]

Anche l’oculare impiegato presso l’equatoriale Sud merita di ricevere un breve cenno. Com’è ovvio, il pieno splendore del Sole deve essere fortemente mitigato prima che l’occhio possa osservarlo impunemente. La luce proveniente dal Sole cade su un pezzo di vetro trasparente inclinato di un certo angolo; la maggior parte del calore solare, come pure una certa quantità di luce, passano attraverso il vetro e si disperdono. Una certa frazione della luce, tuttavia, è riflessa dal vetro ed entra nell’oculare. Questa luce è già molto ridotta d’intensità, ma possiamo ancora diminuirla notevolmente, a nostro piacimento, grazie a un ingegnoso espediente. Il vetro che riflette la luce agisce a quello che è chiamato angolo di polarizzazione, mentre tra l’oculare e l’occhio si trova una lastra di tormalina, che può essere ruotata dall’osservatore. Nella posizione base non interferisce quasi per nulla con la luce, mentre, ruotata ad angolo retto, la blocca quasi totalmente. Con il semplice aggiustamento della posizione della tormalina, l’osservatore ha dunque in suo potere di rendere l’immagine della più conveniente luminosità, sicché le osservazioni del Sole possono essere condotte con l’appropriato livello di illuminazione.

Ma disporre di una simile strumentazione ci sembrava adesso avere un che di beffardo. La tormalina era lì pronta, ma fino all’una non c’era la benché minima traccia del Sole. Subito dopo l’una in punto, tuttavia, notammo che il giorno stava diventando più luminoso. Guardando verso Nord, da dove arrivavano il vento e la neve, vedemmo con nostro inesprimibile compiacimento che le nuvole si stavano aprendo. Con il trascorrere del tempo, il cielo verso sud cominciò a rasserenarsi e, alla fine, quando il momento critico era ormai prossimo, potemmo scorgere la macchia dove il Sole cominciava a diventare visibile attraverso le nubi. Ma il momento predetto dal Signor Hind arrivò e trascorse senza che il Sole riuscisse a fare capolino dalle nuvole, benché ad ogni momento la certezza che prima o poi sarebbe apparso aumentava. Il contatto esterno fu perciò perduto. Tentammo di consolarci riflettendo sul fatto che questa, dopo tutto, non era una fase molto importante, mentre speravamo che il contatto interno ci avrebbe riservato un maggiore successo.

Vista schematica del telescopio e della cupola dell’Osservatorio di Dunsink [R.S. Ball, “The story of the Heavens”, 1886]

Alla lunga un Sole combattivo riuscì a bucare le nuvole. Potei così osservare il nitido disco solare nel cercatore e avidamente gettai lo sguardo sul punto verso il quale la nostra attenzione era stata concentrata. Erano trascorsi alcuni minuti dal momento del primo contatto predetto dal Signor Hind e, con mia delizia, vidi il piccolo morso scuro sul bordo del Sole, che mostrava che il transito di Venere era cominciato e che il pianeta si trovava in quel momento per un terzo sul Sole. Ma il momento più critico non era ancora giunto. Con l’espressione “primo contatto interno” si intende il momento in cui il pianeta si trova per la prima volta esattamente all’interno del Sole. La tempistica prevedeva che il primo contatto occorresse ventuno minuti dopo il contatto esterno di cui abbiamo già riferito. Ma di nuovo le nuvole delusero la nostra speranza di assistere al contatto interno. Mentre il mio sguardo era fisso sulla squisita visione del graduale avanzamento del pianeta, divenni consapevole che c’erano altri oggetti accanto a Venere tra me e il Sole. Erano fiocchi di neve, che avevano cominciato a cadere nuovamente in gran copia. Erano — devo ammetterlo — della più singolare bellezza. Era uno spettacolo più che degno di ammirazione, che mi riportò alla mente la pioggia dorata che si vede talvolta durante i fuochi pirotecnici; ma avrei fatto volentieri a meno di assistervi, dal momento che ad esso necessariamente seguì che il Sole e Venere erano nuovamente scomparsi dalla vista. Le nuvole si chiusero e la tempesta di neve discese con la forza di sempre, sicché quasi non osavamo sperare di poter vedere qualcosa di più. Le ore una e 57 minuti vennero e passarono, il primo contatto interno era andato e Venere si trovava ormai interamente all’interno del disco solare. Avevamo ottenuto soltanto una breve visione, che non ci aveva consentito di fare misurazioni o altre osservazioni di una qualche utilità. Eppure, aver visto anche una sola parte di un transito di Venere è un evento da ricordare per tutta la vita, sicché provammo per quel lieve barlume di successo più piacere di quello che le parole possano dire.

Ma cose migliori erano in serbo. Il mio assistente venne a riferirmi che anche lui era riuscito a vedere Venere nella stessa fase che io avevo osservato. Ritornammo entrambi alle nostre postazioni e alle due e mezzo le nuvole cominciarono a disperdersi, mentre le probabilità di rivedere il Sole aumentavano. A questo punto non si trattava più di fare osservazioni sul contatto. Venere si trovava ormai ben dentro il Sole e ci preparammo perciò a fare osservazioni con il micrometro attaccato all’oculare. Alla fine le nuvole si dispersero e Venere era allora a tal punto dentro il disco solare che la distanza tra il bordo del pianeta e il bordo del Sole era circa il doppio del diametro del pianeta. Misurammo la distanza tra il bordo interno di Venere e il punto più vicino del margine solare. Ripetemmo queste osservazioni il più spesso possibile, ma va detto che potemmo eseguirle solo con grandissima difficoltà. Il Sole era adesso molto basso e i suoi bordi e quelli di Venere avevano del tutto perduto la nitidezza richiesta per una misurazione micrometrica. Il margine del Sole stava “bollendo” e Venere, che è senza dubbio pressoché circolare, appariva molto spesso così distorto da rendere le misure incertissime.

Il micrometro filare del telescopio rifrattore da 36 pollici dell’Osservatorio Lick dà un’idea del tipo di dispositivo usato da Ball per misurare lo spostamento di Venere sul disco solare [Sky & Telescope]

Riuscimmo a prendere in tutto sedici misurazioni, ma il Sole era ormai veramente basso e le nuvole cominciavano di nuovo a interferire, sicché ci rendemmo conto che dovevamo lasciare il completamento del transito a quelle migliaia di astronomi in avida attesa che si trovavano sotto climi più felici. Ma, prima che il fenomeno fosse cessato, decisi di sottrarre alcuni minuti al lavoro piuttosto meccanico al micrometro per godere di una visione del transito nella forma più pittoresca che il campo largo del cercatore poteva offrirmi. E fu davvero una vista squisita e memorabile. Il Sole stava già cominciando a indossare le tinte rosseggianti del tramonto e lì, ben dentro la sua faccia, si trovava — nitido, rotondo, nero — il disco di Venere. Fu facile allora comprendere la suprema gioia di Horrocks, quando, nel 1639, fu per primo testimone di un simile spettacolo. L’intrinseca bellezza del fenomeno, la sua rarità, il compimento della predizione, il nobile problema che il transito di Venere ci consente di risolvere: tutto ciò era ben presente nei nostri pensieri, mentre il nostro sguardo era fisso su quella gioiosa immagine, il cui simile non capiterà di nuovo fino a quando i fiori si schiuderanno nel giugno del 2004.

L’occasione di un transito di Venere offre anche l’opportunità di studiare la natura fisica del pianeta. Indicheremo qui pertanto brevemente i risultati che sono stati ottenuti. In primo luogo, un transito getta qualche luce sulla questione se Venere sia accompagnato oppure no da un satellite. Se un piccolo corpo seguisse Venere nelle immediate vicinanze, è ragionevole pensare che in circostanze ordinarie la brillantezza del pianeta cancelli il fioco fascio di luce proveniente dal minuto compagno, rendendone impossibile la scoperta. Era perciò una questione di grande importanza scandagliare attentamente i dintorni del pianeta nell’atto di transitare sul disco solare. Se un satellite fosse esistito, cosa che è stata spesso sospettata, sarebbe stato possibile allora rilevarne la presenza contro lo sfondo brillante del Sole. Un’attenzione speciale fu riservata a questo tema durante il recente transito, ma non è stato trovato alcun satellite. Sembra, perciò, davvero improbabile che Venere possa avere un satellite di dimensioni apprezzabili.

Le osservazioni dirette all’investigazione dell’atmosfera che circonda Venere hanno avuto più successo. Se il pianeta fosse privo di atmosfera, sarebbe totalmente invisibile appena prima di cominciare l’ingresso sul Sole e ricadrebbe nella totale invisibilità subito dopo aver lasciato il Sole. Le osservazioni compiute durante i transiti non si conformano a tali supposizioni. Una speciale attenzione, in verità, è stata riservata alla questione durante i recenti transiti. I risultati sono stati davvero notevoli e hanno provato nel modo più conclusivo che Venere possiede un’atmosfera. Mentre il pianeta usciva gradualmente dal Sole, il bordo circolare del pianeta che si estendeva esternamente verso l’oscurità fu visto circondato da un arco di luce anch’esso circolare. Il Dottor Copeland, che osservò questo transito sotto circostanze eccezionalmente favorevoli, fu infatti in grado di seguire il pianeta fino a che non fu uscito completamente dal disco solare, momento nel quale il globo, benché invisibile, era distintamente marcato da una ghirlanda di luce che gli faceva corona. Questo cerchio luminoso non può essere spiegato in altro modo, se non supponendo che il globo di Venere sia circondato da uno scudo atmosferico analogo a quello della Terra.

Una caricatura di Robert Stawell Ball realizzata da Leslie Ward. Fu pubblicata nel 1905 su Vanity Fair

È lecito domandarsi a questo punto quale vantaggio derivi dal dedicare così tanto tempo e fatica a un fenomeno celeste come il transito di Venere, così poco rilevante a fini pratici. Cosa importa in fondo se il Sole è lontano 95 milioni di miglia o soltanto 93 milioni o una qualsiasi altra distanza? Bisogna riconoscere apertamente che questa ricerca ha un impatto limitato su materie di utilità pratica. Senza dubbio una persona fantasiosa potrebbe argomentare che, per compilare gli Almanacchi Nautici con perfetta accuratezza, occorre conoscere la distanza del Sole con precisione. I nostri estesi commerci dipendono da un’abile navigazione e uno dei fattori alla base di una navigazione di successo è l’affidabilità dell’Almanacco Nautico. L’accresciuta perfezione dell’almanacco deve perciò pure avere qualche relazione con l’accresciuta perfezione della navigazione. Ora, dato che le autorità della materia ci insegnano che nell’affrettarsi verso un porto in una notte tempestosa o in altre emergenze critiche anche un solo metro di spazio di manovra è spesso di grande importanza, potrebbe in teoria accadere che la salvezza di un coraggioso vascello sia dovuta all’infinitesimale influenza del transito di Venere sull’Almanacco Nautico.

Ma il tempo, la fatica e il danaro spesi nell’osservare il transito di Venere vanno in realtà giustificati su un terreno del tutto differente. Noi scorgiamo in esso una fruttuosa fonte di informazioni. Ci fornisce la distanza del Sole, che è la base di tutte le grandi misurazioni dell’universo. Gratifica la curiosità intellettuale umana con la visione delle effettive dimensioni del maestoso sistema solare, nel quale la Terra appare giocare un ruolo dignitoso, sebbene ancora subordinato. E ci insegna a concepire l’immensa scala alla quale questo grande universo è stato edificato.

Per la dovuta considerazione ai limiti del presente volume, non possiamo indugiare oltre nella trattazione del transito di Venere: (…) solo uno dei metodi per trovare la distanza del Sole, senza dubbio famoso, ma forse non il più affidabile. Non ci sembra improbabile che la determinazione finale della distanza del Sole sarà ottenuta in modo del tutto differente (…).

Non ci resta ora che chiudere la nostra descrizione di questo bel pianeta; ma prima consentiteci di aggiungere, o in alcuni caso di ripetere, alcuni dati statistici relativi alle sue dimensioni e alla sua orbita.

Il diametro di Venere è circa 7.660 miglia [12.327,5 km. Stima corrente = 12.103,6 km]. Il pianeta non mostra alcuna misurabile deviazione dalla forma sferica, benché sia indubbio che il diametro polare debba essere in realtà un po’ più breve del diametro equatoriale [secondo le misurazioni moderne i due diametri sono invece esattamente uguali]. Questo diametro è di solo circa 258 miglia [415 km. Differenza corrente = 653 km] minore di quello della Terra. La massa di Venere è pari a circa tre quarti della massa terrestre [stima corrente = 0,815]; o se, come è più comune, la paragoniamo alla massa del Sole, essa è rappresentata dalla frazione 1 diviso 425.000 [stima corrente = 1/408.522]. Va osservato che la massa di Venere non è così grande come le sue dimensioni lascerebbero immaginare: la sua densità è infatti circa 0,850 volte quella della Terra [stima corrente = 0,951] (Venere peserebbe 4,81 volte più di un globo d’acqua delle medesime dimensioni [stima corrente = 5,24 volte]). La gravità superficiale è leggermente inferiore a quella terrestre. Mentre un corpo qui accelera di 16 piedi per secondo, un corpo lasciato cadere sulla superficie di Venere cadrebbe tre piedi più lentamente [dati lontani dai valori correnti e corretti: l’accelerazione di gravità sulla Terra equivale a 32 piedi al secondo quadrato, cioè 9,8 m/s², a 29 piedi (8,87 m/s²) su Venere. Ma la differenza di tre è corretta]. Il periodo di rotazione del pianeta è un elemento intorno al quale esiste ancora una considerevole incertezza. Si suppone che sia di ventitré ore e ventuno minuti [è in realtà molto più lungo, essendo pari a 243 giorni terrestri].

L’orbita di Venere è notevole per la sua somiglianza a un cerchio: la distanza massima dal Sole non supera l’un per cento in più della distanza minima [1,35% in più secondo la stima corrente]. La distanza media dal Sole è di circa 67 milioni di miglia [107,8 milioni di chilometri, più o meno corrispondente alla stima attuale] e il moto orbitale ha una velocità media di quasi 22 miglia per secondo [circa 35,4 km/s], compiendo il pianeta l’intero percorso in 221,70 giorni [probabilmente un refuso: il valore corretto, corrispondente alla velocità orbitale indicata poco sopra, è 224,70 giorni. Il dato fu aggiornato nelle edizioni successive].

Un’illustrazione artistica che mostra un ipotetico velivolo usato per esplorare le nuvole di Venere ad alcune decine di chilometri di altitudine [Jason De Villiers]

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Michele Diodati
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Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.