Il cerchio rosso indica la posizione della nebulosa planetaria IRAS 18333–2357 in M22. Credit: NASA / ESA / O. De Marco

Una bizzarra nebulosa planetaria

Sono note solo quattro nebulose planetarie negli ammassi globulari della Via Lattea. Una di queste si trova in M22 e ha caratteristiche a dir poco insolite

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
4 min readJan 11, 2016

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Nel 1983 il telescopio spaziale IRAS fece la prima mappatura del cielo negli infrarossi, scoprendo circa 350.000 sorgenti, molte delle quali attendono ancora di essere identificate. Tra le sorgenti scoperte, ce n’è una in M22 chiamata IRAS 18333–2357 (i numeri fanno riferimento alle coordinate di ascensione retta e declinazione). Uno studio pubblicato nel 1986 su The Astrophysical Journal fece una prima analisi dell’oggetto, indicando la sua appartenenza pressoché certa a M22. La sua luminosità nell’infrarosso era pari a circa 700 luminosità solari e poteva essere una nebulosa planetaria (cioè una nebulosa a emissione, destinata a scomparire nel giro di alcune migliaia di anni, formata da gas e polveri espulsi nelle violente fasi finali della vita di una stella).

Studi successivi hanno confermato che la sorgente infrarossa, nota anche come GJJC 1, è forse davvero una nebulosa planetaria, ma di un tipo piuttosto inusuale.

Innanzitutto, sono note solo quattro nebulose planetarie all’interno di ammassi globulari (le altre tre sono Pease 1 in M15, JaFu 1 in Palomar 6 e JaFu 2 in NGC 6441). In secondo luogo, GJJC 1 è insolitamente del tutto priva di idrogeno, una caratteristica che condivide con tre sole altre nebulose planetarie. Infine, è fortemente asimmetrica, un segno che gli astronomi hanno interpretato come una prova del fatto che l’attrito con il mezzo interstellare, attraverso il quale M22 sta passando a circa 200 km/s, la sta letteralmente spazzando via. Sono in tutto tre le nebulose planetarie che mostrano interazioni analoghe con il mezzo interstellare, un segno tipico delle quali è la presenza di un’onda d’urto, come in Abell 35.

Le caratteristiche spettrali più appariscenti di GJJC1 sono le righe di emissione dell’ossigeno e del neon doppiamente ionizzati ([O III] e [Ne III]). Secondo quanto riportarono Gillett e colleghi in uno studio del 1989, l’ossigeno e il neon appaiono in questa piccola nebulosa almeno 500 volte più abbondanti in rapporto all’idrogeno e 30 volte in rapporto all’elio rispetto alle analoghe proporzioni di questi elementi che si riscontrano mediamente nelle stelle di M22.

La massa di GJJC 1 è molto modesta: contiene meno di 1 millesimo di massa solare in gas e circa 8,4 decimillesimi di massa solare in polveri. In totale è circa 100 volte meno massiccia di una tipica nebulosa planetaria.

L’estensione dell’oggetto, misurata nel filtro in grado di rilevare la presenza di ossigeno, è di circa 12 × 6 secondi d’arco, con il lato maggiore in direzione Nord-Sud. Alla distanza dell’ammasso, questa dimensione angolare si traduce in una grandezza lineare di circa 0,6 × 0,3 anni luce. Considerando l’ampiezza attuale, è probabile che la sua origine risalga a non più di 6.000 anni fa.

Ci sono due stelle nei pressi di GJJC 1 che, in virtù della loro posizione apparente, potrebbero aver originato la nebulosa: una gigante rossa a Nord e una stella blu molto calda a Sud. La gigante rossa è stata presto esclusa, principalmente per via della sua velocità radiale, completamente differente da quella di M22. Con ogni probabilità si tratta di una stella di sfondo, parzialmente oscurata da polveri interposte lungo la nostra linea di vista.

La stella, invece, che con più probabilità è associata a GJJC 1 e la illumina è la più meridionale delle due. Si tratta di una stella molto blu e molto calda, con temperatura superficiale superiore a 50.000 K, una massa di circa 0,57 masse solari e una luminosità almeno 2.000 volte maggiore del Sole. Le caratteristiche di questa stella, soprattutto per la presenza di righe di emissione dell’elio, non si conciliano comunque del tutto con quelle della nebulosa planetaria.

La stella marcata con il numero 145 è la probabile origine di GJJC 1. Credit: DSS2/NASA/ESA/HST

Ci sono due teorie che potrebbero spiegare le peculiari caratteristiche di GJJC 1.

In base alla prima, la nebulosa potrebbe essere stata originata da una normale stella post-AGB, cioè una stella giunta al termine della sua vita, dopo aver percorso il cosiddetto ramo asintotico delle giganti. La nebulosa oggi visibile, ricca di ossigeno e neon ma senza idrogeno, sarebbe in questo caso il risultato di un pulso termico (thermal pulse, in inglese), una specie di spasmo finale della stella, nel corso del quale riparte brevemente la fusione dell’elio in un guscio esterno al nucleo. In seguito a ciò, del materiale già processato, ricco di elementi pesanti, viene risucchiato dal nucleo della stella verso la superficie (un evento chiamato dredge up) e poi espulso attraverso un intenso vento stellare. La mancanza di idrogeno si spiegherebbe in questo caso con il fatto che gli strati più esterni della stella, ricchi di idrogeno e di elio, sarebbero già stati espulsi in passato e ormai dissipati dall’attrito con il mezzo interstellare.

La seconda teoria prevede che GJJC 1 non sia propriamente una nebulosa planetaria, cioè il “testamento” spaziale di una stella morente, ma l’esito della fusione di due stelle in un sistema binario ravvicinato, una delle quali era una nana bianca ricca di ossigeno e neon. I dati a sostegno di questa teoria sono la completa mancanza di idrogeno nella nebulosa e le particolari caratteristiche della stella con la quale la nebulosa è molto probabilmente associata.

GJJC 1 è una inusuale nebulosa planetaria situata a circa 1 minuto d’arco dal centro di M22. Il ritaglio è tratto da una delle osservazioni eseguite da Hubble nell’ambito della proposta 11558. Credit: NASA / ESA / O. De Marco

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Michele Diodati
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Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.