Una rappresentazione artistica del sistema binario PSR J1023+0038. La pulsar, non visibile nell’immagine, è circondata dalla sua luminosa magnetosfera, dalla quale si dipartono due fasci di radiazione (in verde), emessi in direzioni opposte. La compagna binaria, visibile sulla sinistra, ha acquisito una forma oblata, per via dell’attrazione gravitazionale esercitata dalla pulsar. Un flusso di materia si dirige dalla compagna binaria verso la pulsar, dove formerà a poco a poco un disco di accrescimento. Altra materia è persa dalla stella compagna in direzione opposta, per effetto dell’irraggiamento subito ad opera dalla pulsar [NASA Goddard’s Scientific Visualization Studio]

Una “montagna” alta 13 micron su una stella di neutroni distante 4500 anni luce

È possibile scoprire un’asimmetria di qualche millesimo di millimetro su una stella di neutroni lontana 42 milioni di miliardi di km dalla Terra? Per quanto possa sembrare incredibile, è possibile. Lo ha fatto un astrofisico indiano, usando in modo elegante e creativo i dati osservativi disponibili

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
9 min readSep 9, 2020

--

Pulsar al millisecondo

In direzione della piccola costellazione del Sestante, a cavallo dell’equatore celeste, c’è un sistema binario formato da una pulsar al millisecondo chiamata PSR J1023+0038 e da una compagna classificata con il tipo spettrale G6. Questo sistema è stato oggetto negli ultimi due decenni di numerosi studi per le sue caratteristiche piuttosto rare. PSR J1023+0038 è infatti una delle sole tre pulsar attualmente note ad essere stata osservata in due stati ben distinti: quello per così dire normale, in cui la pulsazione è chiaramente distinguibile nelle onde radio, e lo stato di accrescimento, nel quale intorno alla pulsar si forma un disco sul quale si depositano flussi di materia strappata alla stella compagna. Tali flussi interferiscono temporaneamente con il segnale pulsato, nascondendolo.

Per capire cosa accade in questo sistema binario, bisogna in primo luogo aver chiaro che razza di oggetto estremo sia una pulsar. Quando una stella di massa compresa approssimativamente tra 10 e 25 masse solari termina il proprio combustibile nucleare, esplode come supernova, espellendo violentemente il suo involucro esterno. Ciò che resta dopo l’esplosione è una stella di neutroni, cioè il nucleo compatto, ormai inattivo, della stella progenitrice, composto essenzialmente da un gas di neutroni degeneri. Tra 1,4 e 2 masse solari, talvolta anche più, finiscono racchiuse in una sfera di materia iperdensa, il cui raggio è di appena 11–12 km e la cui densità centrale può raggiungere valori incredibili, nell’ordine dei 10¹⁷ kg/m³.

Le stelle di neutroni ereditano il campo magnetico e il momento angolare della progenitrice, trasportati però alle dimensioni di un oggetto minuscolo, intorno a sei ordini di grandezza più piccolo rispetto alle dimensioni finali raggiunte dalla stella esplosa come supernova. Grazie alla conservazione del momento angolare, le stelle di neutroni più giovani possono compiere centinaia di rotazioni al secondo, trascinando in una vorticosa girandola anche il loro poderoso campo magnetico, la cui intensità superficiale può raggiungere e superare i 10¹⁰ Gauss. Dai poli magnetici emanano pertanto intensi flussi di radiazione, che si allargano formando due coni opposti, con i vertici puntati verso il centro dell’oggetto.

Quando i poli magnetici non sono allineati con l’asse di rotazione, si crea un effetto-faro: ad ogni rotazione della stella di neutroni, la radiazione proveniente dal polo magnetico rivolto verso la Terra produce una caratteristica pulsazione. La captazione di questo segnale, inizialmente attribuito per la sua sorprendente regolarità a un’ipotetica intelligenza aliena, portò, nel 1967, alla scoperta di quelle che furono chiamate appunto “pulsar”. Una pulsar al millisecondo è una stella di neutroni che compie una rotazione completa nell’arco di appena qualche millesimo di secondo, illuminando la Terra centinaia di volte al secondo con un inconfondibile segnale pulsato, rilevabile principalmente nelle onde radio.

L’effetto faro generato dalla rotazione dei poli magnetici della pulsar [Michael Kramer]

PSR J1023+0038, una pulsar “redback”

PSR J1023+0038 fu scoperta nel 2002 e scambiata inizialmente per una variabile cataclismica, cioè un sistema binario in cui una nana bianca strappa materia a una compagna meno evoluta, producendo brillamenti più o meno periodici. Osservazioni compiute a partire dal 2007 con il grande radiotelescopio di Green Bank in Virginia rivelarono, però, che l’oggetto compatto che strappava materia alla stella compagna non era una nana bianca, bensì una pulsar.

La precisa misurazione dell’angolo di parallasse permise di determinarne la distanza: la pulsar e la sua compagna binaria si trovano a ben 1.368 parsec dalla Terra, cioè a poco meno di 4.500 anni luce [1]. Numerose osservazioni compiute con vari telescopi terrestri e spaziali in diverse bande dello spettro elettromagnetico permisero poi di definire con notevole precisione le caratteristiche del sistema binario. La pulsar ha una massa pari a 1,71 masse solari [2] e un raggio di circa 14 km. Compie ben 592,42 rotazioni al secondo. L’intensità del campo magnetico alla superficie stellare è stimata nell’ordine dei 10⁷ gauss. La luminosità nei raggi gamma varia da un minimo di 1,2 × 10²⁶ W quando la pulsazione nelle onde radio è ben distinguibile, fino a un massimo di 7,8 × 10²⁶ W durante la fase di accrescimento, in cui la stella di neutroni è circondata da un disco rifornito da materia strappata alla compagna binaria. Durante la medesima fase, la luminosità nei raggi X può aumentare fino a raggiungere circa 2 × 10²⁷ W. Si tratta di valori tra 2 e 5 volte maggiori della luminosità solare, prodotti non da luce visibile, ma da radiazioni ad alta ed altissima energia.

Rimanere esposti a un simile bombardamento non è salutare, come dimostra la sorte toccata alla compagna della pulsar. Questa stella, che ha caratteristiche spettrali simili al Sole, era probabilmente in origine dotata di una massa non di molto inferiore a quella solare. Essa orbita intorno al centro di massa del sistema con un periodo di sole 4,75 ore, dal quale si ricava il semiasse maggiore dell’orbita, che, da centro a centro delle due stelle, risulta di appena 1.235.000 km (3,2 volte la distanza media tra la Terra e la Luna). A una distanza così breve dalla pulsar, la stella compagna è stata a poco a poco “mutilata” dalla stella di neutroni, fino a perdere gran parte della propria massa, che è stimata attualmente in appena 0,2 masse solari.

La “mutilazione” avviene in due modi. Innanzitutto, la stella è esposta a un continuo bombardamento di particelle cariche e radiazioni ad alta energia provenienti dalla pulsar, le quali agiscono come una sorta di “raggio della morte”, causando l’innalzamento di temperatura dell’emisfero irradiato [3] e l’ablazione progressiva dell’involucro stellare. In concorso con questo “trattamento”, la tremenda forza gravitazionale della pulsar strappa periodicamente flussi di materia alla compagna binaria, i quali si depositano su un disco di accrescimento che orbita intorno alla stella di neutroni. Il risultato di questa azione combinata è la progressiva distruzione della compagna binaria da parte della pulsar. L’efficienza con cui PSR J1023+0038 sta facendo a pezzi la compagna ha indotto gli astrofisici a classificarla come una pulsar redback, nome che deriva da una specie di vedova nera, un ragno australiano noto per il suo letale veleno [4].

Il vento di particelle cariche proveniente dalla magnetosfera della pulsar — rappresentata sulla sinistra dell’illustrazione come un punto luminoso — crea un’onda d’urto che comprime il mezzo interstellare e il vento stellare della compagna binaria [NASA/CXC/M.Weiss]

Una “montagna” alta pochi micron

Ma di pulsar redback ne sono state scoperte più d’una. Ciò che rende PSR J1023+0038 speciale, almeno per il momento, è un altro fattore: è l’unica pulsar attualmente nota per la quale sia stato misurato il rallentamento della velocità di rotazione sia nello stato “normale”, in cui non risucchia materia dalla compagna binaria, sia durante la fase di accrescimento. Si tratta di variazioni di frequenza nelle pulsazioni captate nell’ordine dei milionesimi di miliardesimo di Hertz, eppure sono state misurate con grande precisione. Quando la pulsar non è circondata da un disco di accrescimento, la variazione di frequenza è di −1,89 × 10⁻¹⁵ Hz/s. Quando, invece, il disco è presente, la variazione è leggermente maggiore: −2,50 × 10⁻¹⁵ Hz/s.

Sulla base di tale differenza e dei numerosi dati osservativi disponibili, l’astrofisico indiano Sudip Bhattacharyya ha elaborato una teoria che spiega il rallentamento della velocità di rotazione della pulsar attraverso vari meccanismi, uno dei quali è l’emissione di onde gravitazionali, causata dalla presenza di una lievissima asimmetria nella distribuzione della massa. Lo studio che riporta la sua analisi è stato pubblicato il 18 agosto 2020 su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Il punto di partenza dell’argomentazione presentata da Bhattacharyya è l’esame delle fonti di momento meccanico, cioè di forze di torsione, in grado di rallentare la rotazione della pulsar. Tali forze devono prevalere sul suo elevatissimo momento d’inerzia [5], che, per una sfera di 14 km di raggio in cui sono concentrate 1,71 masse solari, è nell’ordine dei 10³⁸ kg per m². Nello stato di non accrescimento, le fonti di momento meccanico possono essere soltanto due:

  1. l’attività magnetosferica della pulsar, consistente nell’emissione di radiazioni gamma e di un vento di particelle cariche accelerate a velocità relativistiche dalla rotazione del campo magnetico, e
  2. l’emissione di onde gravitazionali.

Nello stato di accrescimento, alle due fonti suddette se ne aggiunge una terza: la materia strappata alla compagna binaria, depositata sulla pulsar o espulsa dal sistema. I dati sulla luminosità acquisiti durante la fase di accrescimento suggeriscono che il contributo di quest’ultimo fattore al rallentamento della pulsar è minimo, non superiore al 5% del budget energetico totale necessario a spiegare il rallentamento osservato. Per entrambi gli stati della pulsar, dunque, le variazioni di frequenza registrate devono essere attribuite quasi esclusivamente all’attività magnetosferica e alla possibile emissione di onde gravitazionali.

Il passo successivo dell’analisi condotta dall’autore è stato quello di verificare se la luminosità della pulsar nei raggi gamma, alimentata dalla sua energia rotazionale, fosse sufficiente a spiegare il rallentamento misurato sia durante la fase di accrescimento sia al di fuori di essa, senza la necessità di ricorrere all’emissione di onde gravitazionali. Per ragioni legate alla differenza di luminosità nei raggi gamma tra i due stati (da 5 a 6,5 volte maggiore durante la fase di accrescimento) e all’efficienza nella loro emissione, Bhattacharyya conclude che è inevitabile includere l’emissione di onde gravitazionali nel budget energetico necessario a rallentare la rotazione della pulsar nei due stati osservati.

Ma una pulsar perfettamente sferica non emette onde gravitazionali. Affinché ci sia tale emissione, il momento di quadrupolo della massa non deve essere nullo. In parole più semplici, deve esistere un’asimmetria nella distribuzione della massa intorno all’asse di rotazione della pulsar. Il dato incredibile è che l’ellitticità — cioè il grado di deviazione dalla sfericità — necessaria a produrre un’emissione di onde gravitazionali, tale da integrare della misura richiesta il rallentamento della rotazione di PSR J1023+0038 causato dalla sola attività magnetosferica, è minore di un miliardesimo. Per la precisione, il valore di ε [6] calcolato da Bhattacharyya è (0.48 − 0.93) × 10⁻⁹. Ciò vuol dire che sulla pulsar PSR J1023+0038 deve esistere una “montagna” alta tra 6,7 e 13 micron (millesimi di millimetro). La minuscola asimmetria nella distribuzione della massa prodotta da questa “montagna” è sufficiente a generare una costante emissione di onde gravitazionali, che sottraggono energia rotazionale alla pulsar.

Purtroppo, gli interferometri LIGO e Virgo non dispongono della sensibilità necessaria a captare le onde gravitazionali emesse da questa pulsar lontana quasi 4.500 anni luce da noi. Pertanto, la possibilità di verificare se la teoria di Bhattacharyya è corretta si avrà solo quando, e se, saranno costruiti gli osservatori di onde gravitazionali di terza generazione Cosmic Explorer ed Einstein Telescope, la cui sensibilità promette di essere almeno un ordine di grandezza maggiore di quella raggiunta da LIGO e Virgo.

La formazione del disco di accrescimento intorno alla pulsar “spegne” temporaneamente la caratteristica pulsazione registrata nelle onde radio. Parte dell’energia che si deposita sul disco viene incanalata nei due getti relativistici, sparati in direzioni opposte [NASA Goddard’s Scientific Visualization Studio]

Note

[1] 1.368 parsec corrispondono esattamente a 4.462 anni luce. Poiché un anno luce equivale a 9,461×10¹² km, PSR J1023+0038 dista da noi 4,221×10¹⁶ km, cioè circa 42 milioni di miliardi di chilometri. Alla attuale velocità eliocentrica di 13,93 km/s, la sonda New Horizons impiegherebbe 96 milioni di anni per coprire la distanza che ci separa da PSR J1023+0038: è quasi una volta e mezzo il tempo che è trascorso dall’estinzione dei dinosauri.

[2] Una massa solare equivale a 1,988×10³⁰ kg. Dunque, 1,71 masse solari corrispondono a 3,4×10³⁰ kg. Occorrono 569.000 pianeti come la Terra per formare una simile quantità di materia. Il fatto che una massa così grande sia racchiusa in un oggetto con raggio di poco più di 10 km aiuta a farsi un’idea dell’incredibile densità della materia in una stella di neutroni.

[3] L’irradiazione della compagna binaria da parte della pulsar produce un aumento di temperatura di circa 360 K sull’emisfero irradiato.

[4] A differenza delle stelle di neutroni, che sono composte di materia degenere, le compagne binarie delle pulsar redback sono stelle in cui sono ancora attive le reazioni di fusione nucleare. Esse vengono a poco a poco ridotte a corpi di massa planetaria dalla potenza distruttrice della vicina stella di neutroni.

[5] Il momento d’inerzia è la resistenza con cui un corpo si oppone alla variazione della sua velocità angolare. Dipende dalla massa del corpo e da come essa è distribuita.

[6] La lettera greca epsilon, con cui si indica l’ellitticità.

--

--

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.