Basta con questo stoltiloquio! Ovvero come mi sono rotto il cazzo dei “secondo me”.
Un giorno, durante una riunione particolarmente lunga, inconcludente e insensata mi sono alzato dal tavolo e, sommessamente, ho detto: “scusate, ma mi sono veramente stancato di queste baggianate”. Poi sono uscito col mio zainetto tranquillo, senza sbattere la porta e sono tornato a casa.
No. Non è vero. Purtroppo la convenzione sociale mi impedisce quasi sempre di agire così. Ma Dio solo sa quanto a volte sarebbe necessario. Mi capita soprattutto quando, nel bel mezzo di riunioni che decidono — o dovrebbero decidere — la futura strategia di comunicazione di un’azienda, o come ridisegnare il sito della compagnia, fioccano i “secondo me”.
Io odio il “secondo me”. In primo luogo perché fin dai temi di italiano alla medie mi hanno insegnato che se scrivo o parli tu, è piuttosto ovvio che il punto di vista sia il tuo. E poi perché quando si tratta di prendere delle scelte, di imboccare una strada anziché l’altra, io vorrei delle prove oggettive per riuscire a scegliere la migliore.
Allo stesso modo se devo decidere come comunicare un concetto, un brand, un prodotto al pubblico, preferirei che nella discussione si portassero anche dei dati a supporto. Certo, questo cozza inequivocabilmente con la creatività. Ma fa parte dell’eterna lotta fra ciò che “è bello” e ciò che “piace”.
