Belladonna
Correva l’anno 771, quando si verificò una delle morti più inaspettate di quel periodo. Carlomanno, Re dei Franchi e dei territori di Burgundia, Provenza, Gotia, Alsazia l’Alemannia e parte dell’Aquitania, dopo giorni di improvvise sofferenze, morì.
Io, Jean Martinez, allora convocato dal capo delle guardie, scrivo oggi in vecchiaia che fui incaricato dello svolgimento delle indagini dal Re Carlo Magno, fratello maggiore del defunto.
Giunto dopo un lungo e tortuoso viaggio a Salmontiago, arrivai al castello di Carlomanno e accolto dalla corte fui portato nelle mie stanze. Il giorno successivo svegliatomi di buon’ora, notai subito che per tutto il suo perimetro il castello era adornato di piante con dei piccoli fiori violacei piene di piccole e lucide bacche nere, la “Pianta della vanità”, comunemente utilizzata dalle dame di corte per truccarsi il volto e mettere in risalto la lucentezza degli occhi. In questa situazione notai un giovanotto di bell’aspetto a piedi nudi con indosso una sola tunica bianca, intento a raccogliere le bacche di quella pianta dal nome voluttuoso: ne restai colpito, essendo il mese di dicembre. Alle mie spalle un anziano giardiniere sussurrò: “Povero ragazzo non finirà bene. È il figlio minore del defunto Carlomanno” e andandosene frettolosamente sussurrò una frase che non compresi.
Cominciai così a visitare la dimora. Rimasi colpito da tutto quello sfarzo e grandezza, da tutti i particolari abbellimenti che erano stati curati nei minimi dettagli e dall’immenso soffitto decorato da affreschi; tutto era in perfetto ordine. Nella camera del fratello del re era un’enorme scrivania e sopra, aperto, un grande libro di piante officinali con postille ai margini.
Nel mentre osservavo le rappresentazioni grafiche e le annotazioni, urtai una penna che cadendo rotolò sotto il tavolo; chinandomi per raccoglierla, mi accorsi di una piccola bacca nera, la raccolsi in un fazzoletto di stoffa e la riposi in tasca.
La mattina seguente mi recai nella biblioteca reale per capire i gusti letterari e gli approfondimenti che il fratello del re stava facendo sulle erbe officinali. Incontrai il bibliotecario Franz che mi raccontò delle preoccupazioni del suo Signore e della sintomatologia che nell’ultima settimana lo affliggeva: tachicardia, secchezza delle fauci, sbalzi di umore, e addirittura allucinazioni. Spesso appariva a Franz con le pupille fortemente dilatate. Uscito dalla biblioteca, un particolare delle sintomatologie mi fece pensare…alla “Pianta della vanità”. Chiesi allora quali altre piante adornassero la corte: erano diverse, ma soprattutto la “Pianta della vanità”, detta anche “Ciliegia della pazzia” o “Belladonna” nel codice fisiologo che avevo rinvenuto sul tavolo di Carlomanno.
Corsi in giardino, tirai fuori dalla tasca la bacca nera rinvenuta sotto alla scrivania per compararla con quelle della pianta dai piccoli fiori violacei e.… era lei.
Inviai una lettera al Re Carlo raccontando del mio operato, dei miei progressi e dei miei dubbi. La “Belladonna” qualcuno l’aveva somministrata al fratello qualcuno voleva causarne la morte, questo qualcuno era ancora a palazzo, ma non era il figlio, non era la moglie che colta dal dolore era partita dal padre, Re Desiderio dei Longobardi.
Questo continuo pensare mi aveva distolto da una delle necessità umane: il mangiare. Andai nelle cucine per provvedere senza tanti convenevoli al mio bisogno ed entrando notai come queste erano un luogo affollato, inebriato dai mille odori: una donna bassa e panciuta stava preparando la marinatura del cinghiale. Rimasi di ghiaccio: sul piano della cucina in un barattolo erano conservate le piccole bacche nere della “Belladonna”. Afferrai il barattolo, ma la signora panciuta me lo tolse sgarbatamente dalle mani dicendo “Non toccare! Sono le palline nere per addolcire le pietanze del Re, quelle che gli piacciono tanto!”.
(Alessandra)