Da Roma (Italia): Bassirou, magazziniere e attore

Silvia Costantini
#iorestoacasa #StayAtHome
4 min readApr 9, 2020

Ogni mattina arrivano grandi camion e si inizia scaricando tutto: è una lunga e organizzata catena di montaggio, dallo scarico alla confezione, fino alla consegna ai corrieri per le farmacie. Prima di entrare tutti dobbiamo mettere una tuta di protezione, guanti, occhiali e mascherina, dopo esserci disinfettati con l’Amuchina. Siamo divisi in squadre a seconda della mansione: scarico, confezionamento, assemblamento e via dicendo.

Mi chiamo Bassirou, abito al Pigneto, un quartiere di Roma, e lavoro nella zona di Casal Bertone come magazziniere presso la società Comifar, principale operatore della distribuzione farmaceutica in Italia: in questi giorni mi bastano 5 minuti di motorino per arrivare sul posto.

Lavorare ora nella distribuzione farmaceutica

Mi occupo un po’ di tutto a seconda del bisogno: ho iniziato a fine 2017 come facchino e ho via via imparato tutti i vari ruoli. Secondo contratto dovrei lavorare 3 ore e mezza al giorno, ma in questo periodo c’è urgenza per maggiore richiesta, così hanno chiesto a chi sa già muoversi di fare più turni: capita che vado a casa e, dopo la pausa, abitando vicino sono richiamato. Forniamo di tutto, qualsiasi cosa si compra in farmacia dalle medicine ai para-farmaci ai sanitari, mascherine e guanti inclusi. È importante ancora di più in questo periodo lavorare bene ed essere pronti: a volte occorre rimanere aperti fino a tardi e così faccio anche 3 turni. La parte più delicata e faticosa è quando prepariamo le ceste per i corrieri: solo noi possiamo toccarle e dobbiamo controllare tutto dai codici alla sicurezza ed essere veloci perché sono tanti.

A volte a lavoro occorre cambiare la mascherina anche due volte al giorno: sono di diverso tipo, quelle con il ferretto sono le più comode perché le puoi fermare sul naso e puoi respirare bene, altre tolgono un po’ il respiro.

Oltre il lavoro: il sogno di continuare a fare l’attore e la vita sociale

Ho un contratto a tempo indeterminato ed è importante: il mio sogno e la mia passione è sempre quello di andare avanti come attore, ma occorre una base economica per poter pagare l’affitto, le bollette e mantenersi. Prima che tutto iniziasse avevo fatto altri due provini dopo l’ultimo ruolo nel film di Nanni Moretti: doveva uscire proprio per il Festival di Cannes, ma è stato tutto annullato. Avevo anche un progetto per un documentario per il programma Nemo della RAI, anche questo per ora rimandato.

Al Pigneto abito con altri ragazzi africani, che ora sono a casa da 15 giorni perché lavorano in un albergo che è chiuso. Per fortuna anche loro hanno un contratto a tempo indeterminato e così non hanno perso il lavoro. Noi viviamo all’africana e così quando durante la settimana torno, stanco morto, trovo sempre la cena o il pranzo pronto: la domenica è il mio giorno e mi piace cucinare per tutti e occuparmi della spesa.

Dalla finestra: foto di Bassirou Ballde

Roma è deserta, la mattina quando esco vedo poche macchine, sembra quasi assurdo pensando alla zona. Incontro poche persone: la maggior parte portano la mascherina e sono attenti, altri fanno un po’ come vogliono. Noi usciamo sempre uno alla volta perché non è giusto andare in due.

Nei supermercati vicino casa mi conoscono tutti e così quando vado faccio sempre due chiacchiere: ci diciamo come va e non va, come stiamo. La mia preoccupazione più grande è: quando tutto finirà, cosa succederà? Io vedo tutto questo come un insegnamento, nel senso che, sia che credi o non credi in qualcuno o qualcosa, stavolta non possiamo incolpare nessun altro di quel che sta accadendo: siamo tutti noi umani responsabili e deve farci riflettere su cosa è veramente importante, come ad esempio sulle spese per le armi invece che per aiutare le persone a stare bene.

Pensando alla mia Africa: al Senegal, alla mia famiglia e al modo di vivere diverso

La mia famiglia è in Senegal: io sono nato in Guinea perché i miei genitori sono commercianti, ma dopo la loro separazione sono cresciuto in Senegal con mia madre e mia sorella presso i miei zii.

In Senegal è stato imposto il coprifuoco: dalle 18 alle 6 non puoi uscire. Il presidente vorrebbe il lock-down, ma la maggior parte delle persone vive alla giornata e significherebbe perdere qualsiasi guadagno: è impossibile, si rivolterebbero tutti. Le scuole sono chiuse come alcuni mercati. Per ora ci sono 2 morti. Se il virus dovesse esplodere in Africa sarebbe tremendo, perché non esiste la tecnologia e le terapie che ci sono qui in Italia, ma non solo. Dire “stai a casa isolato” non ha senso: noi viviamo tutti insieme e in tanti, famiglie intere e molto numerose. Inoltre se una persona si ammala, non puoi restare da solo, vengono a trovarti anche i parenti lontani di altre città per vedere come stai e star vicino alla famiglia: se non fai così “non sei una buona persona”. E poi quando per strada ci si incontra, dobbiamo fermarci, darci la mano: è la nostra educazione, è impossibile pensarla diversamente.

Io ho una grande famiglia: siamo in tutto 7 fratelli e sorelle, ma alcuni non li ho mai visti perché ero già in Italia. Eppure mi sento con tutti allo stesso modo e ci scriviamo come se ci conoscessimo da sempre. Tutti si preoccupano per me perché stanno vedendo quello che succede in Italia: mamma mi chiama tutti i giorni, la notte quasi non dorme.

Il dopo…

Quando tutto sarà finito mi piacerebbe tornare al cinema e girare per il centro commerciale di Roma Est, come facevo prima tutte le domeniche.
Mi manca poter uscire tranquillo e libero, ma ora dobbiamo restare a casa pensando anche agli altri perché ci sono tante persone fragili che se si ammalano non possono farcela.

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