Dalla Pennsylvania (Stati Uniti): Fabrizio, ricercatore

Silvia Costantini
#iorestoacasa #StayAtHome
3 min readApr 7, 2020

Lavorare a contatto con epidemiologi e virologi mi permette di avere un’idea, anche se molto limitata, di come stanno cercando di affrontare questa epidemia, sia dal punto di vista farmacologico che epidemiologico.

Mi chiamo Fabrizio, sono un ricercatore di matematica applicata e attualmente lavoro al Centro per la dinamica delle malattie infettive (CIDD) alla Penn State University in Pennsylvania, negli Stati Uniti.

Foto di Fabrizio Clarelli

Vivo da solo in una piccola città chiamata State College di circa 50000 abitanti, e da metà marzo lavoriamo quasi tutti da casa. La maggior parte delle attività sono chiuse, anche se qui è consentito uscire. In giro non si vedono molte persone, nonostante il numero dei contagi sia relativamente basso, rispetto al resto della Pennsylvania.

L’importanza di poter continuare a lavorare

Il mio lavoro richiede principalmente un computer, quindi svolgerlo da casa, non è affatto un problema e fortunatamente ho potuto proseguire senza perderlo, come accaduto a molte persone in questi giorni. Non avere un’occupazione qui negli Stati Uniti può significare anche il venir meno della copertura sanitaria, cosa non è proprio il massimo, soprattutto in questo periodo.

Foto di Fabrizio Clarelli

Essere un ricercatore al Centro per la dinamica delle malattie infettive mi porta a lavorare spesso a contatto con epidemiologi e virologi. Questo, in qualche modo, mi permette di avere un’idea, anche se molto limitata, di come stanno cercando di affrontare questa epidemia, sia dal punto di vista farmacologico che epidemiologico. E devo dire che per me è piuttosto stimolante.

Cambiamenti sociali e nuove abitudini: la birra virtuale e il piacere di leggere

Ovviamente, il principale cambiamento quotidiano è la mancanza di contatto umano, il vedersi con gli amici, con i colleghi, il prendersi un caffè. Ma, se questo è il principale cambiamento, devo dire che per ora non ho nulla di cui lamentarmi. Con i miei amici cerchiamo di rimediare sentendoci spesso tramite Skype, diciamo che ci prendiamo una birra virtuale: lunghe chiacchierate come quando si andava in birreria, ma stavolta ognuno a casa propria, con una birra ovviamente…

Le abitudini sono cambiate, stando tutto il tempo a casa posso dedicarmi un po’ di più ai miei passatempi. Sto leggendo con molto piacere un libro di Gert Nygårdshaug, che mi ha consigliato una mia amica norvegese, e un libro di Matthieu Ricard per rilassarmi.

Per il resto, è molto facile fare la spesa online, si può comprare di tutto e riceverlo sulla porta di casa, compresi gli alimentari e le medicine.

La risposta tardiva degli Stati Uniti e la speranza per il dopo

Molte cose stanno cambiando, ma è difficile per me quantificarle o avere un’idea delle ricadute. Mi ha stupito l’enorme ritardo nella reazione degli Stati Uniti. Pur avendo ottimi medici e centri, hanno aspettato moltissimo a prendere provvedimenti, anche se, è vero, diversi altri Paesi si sono comportati allo stesso modo. Resta comunque forte l’impressione che la nostra società non sia in grado di sopportare qualche mese di stop da ogni cosa: l’economia sembra crollare rapidamente.
Vedere questa fragilità mi dà tristezza.

Foto di Fabrizio Clarelli

Sarebbe bello se tutte queste difficoltà potessero spingere tutti noi a dare la giusta importanza alle cose, ristabilire le priorità, ma temo resterà solo una speranza, vedremo…

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